di Gabriele Gunnellini

Da una ricerca della Conflicts Armament Research, un’agenzia londinese che si occupa del traffico di armi a livello mondiale, emerge che in mano allo Stato Islamico ci sono attualmente armamenti di varia provenienza, da missili anticarro jugoslavi a fucili statunitensi.

L’agenzia nello specifico ha individuato almeno dieci tipi di armamenti diversi: razzi anticarro M79 fabbricati nella ex-Jugoslavia, mitragliatrici PKM di fabbricazione cinese, fucili di precisione Elmech EM-992 di fabbricazione croata, pistole HS-9 croate, pistole Glock G-19 di fabbricazione austriaca, M16 statunitensi, pistole Herstal Browning 9×19 di provenienza belga, fucili M15 statunitensi, oltre i vari tipi di kalashnikov russi.

La ricerca dell’agenzia londinese non è volta a stabilire la responsabilità per la fornitura di armi, ma solo a fare il punto sulle armi a disposizione dei jihadisti. Quindi da dove provengono queste armi?

La maggior parte di esse deriva dalle confische che l’IS ha perpetrato durante la sua avanzata; molti armamenti fanno parte dei residuati bellici della guerra Iran-Iraq dell’88 (in quel conflitto USA e URSS erano alle spalle di entrambi gli stati, che rifornivano direttamente); gli M16 forse arrivano proprio da quella guerra, dato che la Colt non aveva ancora elaborato i più recenti M4 ed M15 che sono stati prodotti solo a partire da 1994.

Altri armamenti derivano sicuramente dalla guerra in Iraq nel 2003, ma soprattutto dal periodo seguente in cui i paesi Occidentali hanno cercato di operare una transizione democratica cercando di addestrare le forze di polizia locali. Gli armamenti forniti in quell’occasione sono in gran parte finiti all’Is, con lo sbandamento o la diserzione di molti di coloro che erano stati addestrati dagli Stati Uniti e dai loro alleati.images

Molte armi e veicoli statunitensi sono stati confiscati durante l’avanzata in Iraq ed in particolare a Mosul, dove non solo sono state conquistate le postazioni della resistenza irachena, ma è stata attaccata con successo anche una base americana. L’evento ha fatto talmente tanto scalpore nelle file dei jihadisti che ne è nata una caricatura di Michelle Obama che regge un cartello con su scritto “#bringback our humvees” (vedi la foto allegata), parafrasando una foto della first lady con un cartello dove originalmente c’era scritto “#bringback our girls”.

Altra fonte di approvvigionamento di armi sono stati i mercati neri ed i trafficanti di armi; l’ISIS nella sua avanzata ha inglobato tutti i mercati di armi presenti al confine Siria-Iraq e si è assicurato pure il controllo della tratta Libano-Siria-Iraq, che notoriamente collega i porti libanesi con Baghdad (vedi le due cartine a corredo di quest’articolo).

Allegato 1 Siria-IraqAllegato 2 Libano-SiriaAltra tratta che contribuisce al rifornimento di armi del Califfato è quella che viene dallo Yemen. Uno dei mercati di armi più grandi e famosi è quello di Jihana, una piccola cittadina che si trova a mezz’ora di macchina dalla capitale Sana’a; il traffico in quest’area è così tanto alla luce del sole che svariate testate giornalistiche se ne sono occupate, con foto cifre e testimonianze. (vedi la foto in basso).

Le tratte più importanti arrivano però dall’Africa ed in particolare da Mali e Sudan; in Mali la circolazione delle armi è il frutto della condizione geopolitica di sostanziale anarchia in cui versa tutta l’area nord-orientale del paese, dato che il governo centrale non riesce più ad imporre la propria autorità in quella zona. La conformazione di questo stato è d’altronde funzionale ai trafficanti: il Mali infatti ha una struttura a “collo di bottiglia” proprio prima che inizi l’area desertica del paese. Oltre quella linea immaginaria il controllo statale diventa molto più labile e difficile da assicurare.

Il Sudan invece è tradizionalmente sede di fabbriche artigianali di armi, che Israele ha a più riprese bombardato. I bombardamenti sono stati anzi talmente frequenti che se si cerca su internet “Israeli airstrikes”, il primo risultato è una voce di Wikipedia.

I traffici in Africa passano tutti per l’Egitto, dove aiutati da connivenze e da funzionari corrotti i jihadisti riescono a passare più o meno indisturbati, specialmente dopo gli eventi della primavera araba, che hanno contribuito ad allentare i controlli militari e di polizia che esistevano in queste zone.

Arms dealer displays a rifle in his shop at an arms market in Jihana, around 30 km (19 miles) east of the Yemeni capital SanaaLo Stato Islamico sa bene quanto sia importante possedere o controllare le tratte dei traffici illeciti, tanto che proprio in questi giorni sta dirigendo la propria avanza verso la Giordania e l’Egitto. Ed è proprio sulle linee di approvvigionamento che forse bisognerebbe intervenire per ridurre il potenziale offensivo, dal punto di vista militare, dell’Is.

 

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