di Damiano Palano*
Un aneddoto racconta che quando, negli anni Settanta, Henry Kissinger inviò al Washington Post un pezzo sulla ‘geo-politica’ americana, il redattore pensò si trattasse di un refuso, e che lo studioso intendesse in realtà parlare di una ‘ego-politica’. Per quanto la storiella non sia troppo attendibile, dà comunque un’idea della sinistra fama che ha accompagnato la ‘geopolitica’, bandita dall’accademia occidentale per il suo legame con la Geopolitik nazista almeno fino al termine della Guerra fredda.
Questo legame effettivamente esiste, ed è ricostruito accuratamente da un recente volume di Mario G. Losano, La geopolitica del Novecento. Dai Grandi Spazi delle dittature alla decolonizzazione (Bruno Mondadori, pp. 322, euro 25.00). «La geopolitica» – ha scritto Lucio Caracciolo, recensendo proprio il volume di Losano – «è di moda. Questo termine, impiegato a vanvera per significare tutto, rischia di non significare nulla. Eppure per quasi mezzo secolo, tra la fine della seconda guerra mondiale e la fine della guerra fredda, parlare di geopolitica era tabù. Attraverso un cortocircuito interpretativo, una disciplina diffusa almeno dall’inizio dello scorso secolo venne identificata con i totalitarismi, in specie con il nazismo. Il più famoso fra i geopolitici novecenteschi, Karl Haushofer, fu sbrigativamente identificato come ispiratore dell’espansionismo hitleriano. La geopolitica come dottrina del Terzo Reich. Dunque impresentabile dopo il suo catastrofico tramonto. Nel mondo bisecato della guerra fredda, il ragionamento geopolitico soccombeva al determinismo ideologico binario: Est/Ovest, Male/Bene, comunismo/liberalismo» (L. Caracciolo, Così la geopolitica ci fa capire il mondo, in «la Repubblica», 31 maggio 2011, p. 65).
Al di là delle declinazioni dirette verso la legittimazione di politiche espansioniste, ci fu anche una riflessione approfondita sulle risorse spaziali del potere. E, soprattutto, lo stesso Carl Schmitt si concentrò con intensità negli anni Trenta proprio sulla nozione di ‘grande spazio’, oltre che sulla strutturale contrapposizione fra ‘Terra’ e ‘Mare’, iniziando a elaborare quella riflessione sulle dimensioni spaziali del potere che avrebbe condotto, dopo la fine della guerra, alla stesura del Nomos der Erde, senza dubbio una delle opere più importanti di tutta la teoria politica del Novecento. La dottrina geopolitica elaborata da Karl Haushofer dopo la Prima guerra mondiale ebbe però effettivamente un’influenza sulla politica estera del nazismo e, in generale, sulla cultura tedesca degli anni Venti e Trenta. La teoria dei ‘Grandi Spazi’ e il concetto (molto più ambiguo) di ‘Spazio Vitale’ registrarono inoltre un enorme successo anche al di fuori dei confini tedeschi. Così sorsero rapidamente varianti nazionali della disciplina, spesso incoraggiate dai regimi autoritari.
In Italia, secondo la ricostruzione svolta da Losano, la geopolitica ebbe precursori, come il generale Giacomo Durando, a metà dell’Ottocento, e cultori piuttosto entusiasti, come Giorgio Roletto ed Ernesto Massi, fondatori della rivista «Geopolitica» (destinata peraltro a chiudere la propria breve parabola in soli tre anni, dal 1939 al 1942), oltre che un personaggio dal profilo piuttosto indefinibile come Giorgio Douhet, studioso – negli anni Venti e Trenta – delle trasformazioni prodotte sulla guerra dal mutamento tecnologico (e soprattutto dall’aeronautica) e «cinico teorico del bombardamento strategico» (M. Losano, La geopolitica del Novecento, cit., p. 173).
Infine, Losano dedica due ricchi capitoli alla geopolitica coltivata in Spagna e in Portogallo, dall’Ottocento fino alla caduta dei regimi autoritari. Il motivo dell’interesse per la geopolitica da parte delle dittature degli anni Trenta, su cui si concentra gran parte dell’attenzione di Losano, nasceva soprattutto dall’obiettivo di ridisegnare l’assetto definito a Versailles: «Se il diritto internazionale è lo strumento con il quale le grandi potenze soddisfatte e dominanti organizzano lo spazio geografico, la geopolitica» – ha scritto Vittorio Parsi a questo proposito – «rappresenta la sfida lanciata dalle potenze insoddisfatte e revisioniste. Alle argomentazioni che si basano sulla forza statica del diritto, sulla consacrazione di ciò che è e sulla sua trasformazione sacrale, la geopolitica oppone un’organizzazione dinamica, quasi prospettica, dello spazio, che quasi sembra contestare l’esistente in nome del possibile» (V.E. Parsi, I mari sono più forti dei dittatori, in «TuttoLibri – La Stampa», 29 ottobre 2011, p. V).
Ovviamente, Losano è ben consapevole che la geopolitica non è connessa in modo necessario con tentazioni imperiali o espansioniste, né con l’idea del Lebensraum. Il suo sguardo sulla geopolitica del Novecento è però fortemente influenzato da questo nesso, che finisce col proiettarsi – quantomeno come rischio – anche sugli sviluppi odierni della riflessione. Nelle pagine introduttive, scrive infatti: «Niente è più realistico della scena del film di Chaplin, Il grande dittatore, in cui Hitler danza usando il mappamondo come una palla. Sembrava un’allegoria; invece nello studio di Hitler c’era proprio un grande mappamondo come nel film: ma, ad ammonimento per chi gioca con il mondo, quel globo mostra oggi i fori aperti dalle baionette dei soldati sovietici. Niente è più realistico della ‘neolingua’ del Grande Fratello, usata da Orwell in 1984 per formulare gli slogan senza senso del ‘bispensiero’ dittatoriale: ‘La guerra è pace; la libertà è schiavitù; l’ignoranza è forza’. Quegli slogan non sono un artificio letterario: nelle pagine seguenti si vedrà che ‘autodeterminazione’, ‘sovranità’, ‘amicizia’, ‘prosperità’ possono significare anche il loro esatto contrario. La prossimità di una certa geopolitica alle dittature portò, nel dopoguerra, all’ostracismo di tutta la geopolitica. Da qualche anno, però, la geopolitica è uscita dalla quarantena postbellica ed è tornata ad essere studiata come un settore specializzato della geografia generale. Ricostruirne la storia più recente aiuta, da un lato, a riprendere il filo di un discorso scientifico ma anche, dall’altro, a mettere in guardia contro le possibili degenerazioni di questa disciplina: quando politici e militari ricompaiono con le masse geografiche sotto il braccio è sconsigliabile distrarsi» (ibi, pp. 1-2).
La storia della geopolitica inizia però prima di Haushofer, e, soprattutto, non si può ridurre questo intero campo di studi – che pone al centro la relazione fra spazio e potere – alla parziale declinazione che ne diede il nazismo. Per molti versi, questa riflessione – come spiega Emidio Diodato in Che cos’è la geopolitica (Carocci, pp. 127, euro 10.50) – nasce infatti negli ultimi decenni dell’Ottocento, con lo svedese Rudolf Kjellen (1848-1922), con l’ammiraglio statunitense Alfred Thayer Mahan (1840-1914) e con il geografo britannico Halford John Mackinder (1861-1947). E sono proprio Mahan e Mackinder a fissare le coordinate di un nuovo modo di pensare il mondo. La geopolitica è infatti un prodotto della fine delle scoperte geografiche e procede dalla consapevolezza che il pianeta è ormai destinato a essere ‘unificato’ sempre più strettamente dalle nuove tecnologie di trasporto e comunicazione. Per questo – è la tesi di Diodato – la geopolitica può davvero essere considerata come la ‘scienza del globale’: la scienza che pensa – per la prima volta – il mondo come un’unità, come un insieme di parti in costante relazione (a questo proposito cfr. anche il suo testo Il paradigma geopolitico, Meltemi, Roma, 2010). Se la vecchia tradizione europea aveva concepito la politica internazionale come il regno dell’equilibrio di potenza, fra Otto e Novecento lo sguardo si sposta invece sulle grandi masse continentali. E, dunque, come suggeriva Mahan, sul rapporto fra ‘Terra’ e ‘Mare’, fra potenze terrestri e potenze marittime.
Nei primi decenni del Novecento, la fortuna della geopolitica fu sollecitata anche dal timore che la Germania – grazie alle strade ferrate – potesse conquistare stabilmente l’Eurasia, o meglio quella regione che Mackinder definiva Heartland, il ‘cuore della terra’: un’area che si riteneva decisiva per il controllo della politica mondiale. L’unico modo per contrastare l’ascesa della potenza terrestre tedesca appariva allora un’alleanza fra le due grandi potenze atlantiche, Stati Uniti e Impero britannico. E, d’altronde, sebbene nel corso del tempo Mackinder avesse rivisto le proprie posizioni, proprio l’atlantismo rimane il principale progetto geopolitico anche durante la Guerra fredda. Non è però casuale che l’interesse per la geopolitica sia rinato dopo il 1989. Da quel momento diventa chiaro che la mappa del mondo costruita sul conflitto tra Usa e Urss diventa quasi inservibile. E per questo diventa anche indispensabile tornare a riflettere sul rapporto fra il potere e lo spazio: uno spazio inteso non solo in termini geografici, ma anche come insieme di rappresentazioni.
Rispetto agli anni Settanta del Novecento, oggi la situazione è notevolmente mutata, e il successo del termine che il redattore del Washington Post considerava solo un refuso è diventato tale da offuscare lo stesso significato del concetto. Questi anni di successo, ha scritto Caracciolo, «hanno generato una varietà di correnti teoriche di impronta accademica che, non rinunciando alla pretesa scientifica, mancano di cogliere il tratto insieme analitico e pragmatico del ragionamento geopolitico, contribuendo a banalizzare un termine troppo speso» (L. Caracciolo, Così la geopolitica ci fa capire il mondo, cit., p. 65).
Anche alla luce della scarsa chiarezza che segna l’utilizzo del concetto, è estremamente utile la «bussola» fornita da Diodato, che riconduce la riflessione geopolitica a due elementi principali: «al fatto che ogni comunità nazionale si trova in una particolare località geografica o territorio», e «al fatto che ogni comunità nazionale è il prodotto dell’ambiente complessivo di cui è parte, ossia di una struttura di potere che coincide con il mondo intero e, quindi, poggia su una certa configurazione spaziale» (E. Diodato, Che cos’è la geopolitica, cit., p. 20). Con questa delimitazione ovviamente il problema non è affatto risolto, ma piuttosto viene definito il campo problematico dell’indagine geopolitica, che Diodato esprime con la metafora di una «torre» di livelli e concetti: alla base della torre stanno le immagini geopolitiche popolari proprie di ciascuna comunità nazionale; al gradino superiore le tradizioni geopolitiche nazionali (diffuse e consolidate dai think tanks che si occupano di politica estera); su un livello più in alto gli attori e gli agenti geopolitici; e, infine, proprio sulla cima della torre, si trova la conformazione geopolitica del mondo, con la condizione spazio-temporale in cui agiscono i protagonisti della politica internazionale.
Proprio quest’ultimo gradino è ovviamente quello più difficile da salire, o, per meglio dire, quello più difficoltoso per quegli studiosi che intendano innalzare una torre davvero simile, sotto questo profilo, alla biblica torre di Babele. Una simile impresa richiede quantomeno – almeno al principio del XXI secolo – di comprendere quale sarà il prossimo destino dell’egemonia americana. Se la geopolitica del Novecento è stata segnata dall’ascesa degli Stati Uniti, è infatti piuttosto scontato che oggi il dibattito – ricostruito nei suoi snodi principali da Diodato – sia dedicato alle dimensioni geopolitiche del declino americano e dell’ascesa cinese. Ma naturalmente la riflessione geopolitica contemporanea non può evitare di interrogarsi anche sul futuro di quello che è stato per secoli il centro del mondo, chiedendosi se l’Europa possa diventare davvero uno ‘spazio’ politico, o se non sia invece condannata a discendere definitivamente dal palcoscenico della politica globale. Diodato dedica infatti l’ultimo capitolo del suo volume proprio al Vecchio continente, sia pur in una stretta connessione con le trasformazioni globali. E proprio a questo proposito Diodato ha il merito di segnalare un punto importante, sovente soggetto a equivoci e fraintendimenti, che concerne il rapporto – tutt’altro che di opposizione – fra geopolitica e globalizzazione. «Non si capisce» – scrive Diodato – «perché mai la geopolitica debba essere posta in contrasto con la globalizzazione, quando l’analisi geopolitica è sempre stata la quintessenza di una vera prospettiva globale. Semmai è vero che, nell’ottica della geopolitica, la distribuzione ineguale del potere può divenire il presupposto per trasformare l’anarchia internazionale in ordine politico» (ibi, p. 99). Lo spazio continua infatti a rimanere una risorsa di potere per gli Stati, ma subisce una trasformazione nel corso del processo di globalizzazione, e il potere inizia per questo a passare dal controllo dei flussi economici e comunicativi che attraversano il pianeta. Proprio per l’attenzione posta sulla problematica relazione fra il potere e lo spazio – materiale e immateriale, ‘naturale’ e ‘immaginato’ – «l’approccio geopolitico», come scrive Diodato, può rivelarsi straordinariamente «utile a decifrare l’attuale complessità del mondo» (ibi, p. 8). E, probabilmente, anche per scoprire quanto sta scritto nel destino del Vecchio continente.
* Professore associato di Scienza politica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano