di Raimondo Galvano

Cinquant’anni fa, con la pubblicazione de Il fenomeno burocratico, Crozier descriveva dopo attenta osservazione, la vita interna di due grandi organizzazioni statali. In quest’opera, come anche nelle successive, Crozier esalta l’individuo definendolo soggetto attivo nella vita delle organizzazioni, poiché capace di elaborare e implementare strategie in grado di modificare il funzionamento delle organizzazioni medesime. L’individuo agisce, a suo parere, per uno scopo egoistico, con il fine di confermare e implementare il proprio potere all’interno dell’organizzazione. Crozier, infatti, osservava che il personale dedicava gran parte del tempo ad attività irrilevanti, a volte addirittura ostacolando il compito affidatogli. Ciascuna categoria di funzionari o operai era impegnata nel tentativo di conquistare più potere, utilizzando a proprio vantaggio le regole formali, cercando scappatoie o ricorrendo a regole e comportamenti informali con la conseguente lotta di classe. Secondo Crozier, tutto ciò si tradurrebbe in un senso di frustrazione, distacco, non partecipazione, determinando l’inefficienza della macchina burocratica. La dirigenza viene chiamata in causa, ma non ha la cultura e i mezzi per cambiare, al punto che non gli resta che rivolgersi ai livelli gerarchici superiori. Questi ultimi, non possono conoscere i problemi in via diretta e reagiscono emanando nuove norme generali, contro ogni forma di favoritismo e di arbitrio. La conseguenza è un ulteriore ingessamento dell’amministrazione, senza via d’uscita, in una sorta di circolo vizioso.

Siamo quindi alla presenza di una critica immanente a Weber, che era stato fino allora l’indiscusso ideatore della teoria di una burocrazia razionale rispetto allo scopo, un’organizzazione guidata dalla ricerca dei mezzi migliori per raggiungere fini prestabiliti, quali l’efficienza, l’efficacia e la riduzione al minimo dei costi e degli errori, con una valenza prettamente positiva del termine. L’autore francese, invece, descriveva il termine “burocrazia”, associandolo all’idea di un apparato lento, complicato, pesante e poco efficiente. Le organizzazioni francesi da lui studiate erano delle vere e proprie fabbriche di comportamenti irrazionali. Innovativa è la definizione di potere. Poiché per Crozier, l’incertezza è lo strumento decisivo per il controllo del potere, egli afferma che quello che gli individui fanno all’interno di un’organizzazione è creare incertezza: non importa la gerarchia interna dato che, anche chi si trovi alla base della piramide, se riesce a creare incertezza, ha potere. Di contro, chi subisce l’incertezza si trova disarmato, privo di mezzi, non sapendo come reagire e verrà sopraffatto. Nasce così una differenza importante tra gruppi flessibili, che riescono ad agire con elasticità, che non hanno regole prestabilite e quindi possono creare incertezza, ovvero un senso schiacciante d’insicurezza e gruppi che sono costretti ad agire entro quadri normativi prestabiliti. I primi avranno il potere e cercheranno con ogni mezzo di mantenerlo e incrementalo, mentre i secondi poco potranno fare ed inesorabilmente saranno paralizzati dal mezzo schiacciante e decisivo in possesso dei gruppi flessibili, cioè l’insicurezza che diventa la madre di tutte le altre diseguaglianze. Chi è vicino alle fonti d’incertezza ha il potere. I gruppi flessibili cercheranno di deregolamentare la propria posizione e nel frattempo cercheranno di imporre le loro regole agli altri gruppi subordinati per non lasciargli altra scelta che accettare remissivamente la routine che i loro superiori intendono imporgli.

Secondo il sociologo Zygmunt Baumann, Crozier ha scoperto e documentato la strategia universale di ogni lotta di potere. Le lotte di potere avvengono, ormai, in contesti profondamente diversi rispetto al passato. Secondo lo stesso Baumann la società è passata dallo stato solido all’era moderna definita liquida composta da legami deboli, informali, facilmente adattabili senza preavviso in un mondo in rapido movimento, in continua trasformazione, vago, incerto e ambiguo. Le stesse organizzazioni aziendali moderne tendono a essere liquide per adattarsi tempestivamente alle mutate esigenze, sfruttando le occasioni che si presentano senza perdere tempo, dal momento che arrivare per primi, può fare la differenza tra vivere, sopravvivere o perire. I nuovi manager preferiscono ormai il caos di un’organizzazione destrutturata, senza regole certe, rispetto al passato, dove si prediligevano strutture monolitiche difficilmente modificabili. Per rendere le organizzazioni liquide, occorre un potere senza limite da parte dei manager, senza il quale non sarebbe possibile cambiare in tempi brevi o senza preavviso. Il gioco di potere, osservato cinquant’anni fa, sembra ripetersi ed ecco che i manager e le lobby economiche chiedono sempre maggiore deregolamentazione del mercato e allo stesso tempo chiedono una riforma del lavoro che porti inesorabilmente i dipendenti nell’incertezza di una vita da precari.

Dati alla mano, i contratti di lavoro definiti atipici, un tempo pensati dal nostro legislatore per incrementare l’occupazione giovanile, vengono ormai utilizzati dalle aziende in modo improprio, a volte per cercare un risparmio economico sulle risorse umane, altre volte, secondo la mia opinione, per creare forme d’incertezza, quella di tanti lavoratori che si vedono negare un contratto a tempo indeterminato, nella speranza di continuare il proprio lavoro dopo una data prestabilita. La speranza di poter vivere un futuro normale, come quello dei propri genitori, nati in un tempo solido, che ormai appare sempre più lontano quando spesso una carriera lavorativa finiva nella stessa azienda dove era cominciata, dove la pensione era un diritto riconosciuto. Adesso sembra invece che si viva proprio nell’era dell’incertezza, quella stessa che, secondo Crozier, è il miglior strumento osservato per creare potere.

 

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