di Federico Donelli

In occasione dell’inaugurazione di un nuovo impianto sportivo nella città di Trabzon, nel nordest della Turchia, il Primo Ministro Recep Tayyip Erdoğan ha dichiarato che «la Turchia non si erge contro il popolo egiziano ma contro i leader golpisti». La frase del premier turco, ripresa da diversi organi di informazione tra cui la “CNN”, arriva a poche ore di distanza dall’espulsione egiziana dell’ambasciatore turco al Cairo; scelta che ha sancito una (forse) insanabile frattura nelle relazioni tra due storici alleati degli Stati Uniti in Medio Oriente.

I rapporti tra Turchia ed Egitto erano deteriorati a partire dal 3 luglio scorso quando, a seguito della deposizione da parte dei militari del Presidente egiziano Mohammad Morsi, la Turchia rifiutò di riconoscere il nuovo governo ad interim, rivendicando la legittimità del precedente in quanto liberamente eletto dal popolo. La ferma posizione turca portò al richiamo da parte di entrambi gli Stati dei rispettivi ambasciatori per alcune settimane e al congelamento della collaborazione congiunta in alcuni delicati scenari di crisi, tra cui quello siriano. Gli sviluppi degli ultimi giorni mostrano come la situazione sia più che mai compromessa; difficilmente basteranno le buone intenzioni di alcune “colombe” turche, su tutti il Presidente della Repubblica Abdullah Gül che parlando in diretta alla televisione di Stato Trt ha cercato di stemperare i toni augurandosi il presto ristabilirsi delle relazioni. Infatti, l’espulsione dell’ambasciatore turco ha solamente reso ufficiale una situazione che perdurava ormai da mesi.

L’interesse della Turchia nel schierarsi al fianco del deposto Presidente Morsi e dei suoi sostenitori, movimento dei Fratelli Musulmani compreso, non trova ragioni in una qualche solidarietà tra partiti a carattere islamico ma, piuttosto, in una precisa strategia politica volta a rilanciare il ruolo centrale di Ankara nei futuri (instabili) equilibri regionali. Il riposizionamento turco nel contesto globale, iniziato con l’ascesa al potere dell’attuale partito di governo (Akp), ha necessitato un aggiustamento a seguito dello scoppio delle cosiddette primavere arabe del 2011. La revisione, seppure parziale, ha toccato uno dei pilastri della nuova impostazione geopolitica turca elaborata dall’attuale Ministro degli Esteri Ahmet Davutoğlu, ossia la normalizzazione delle relazioni con gli altri Stati della regione. Una politica, questa, conosciuta come “zero problemi con i vicini” e diventata un marchio indelebile dell’agenda degli esecutivi guidati da Erdoğan.

Diversi osservatori e analisti hanno giudicato l’impotenza mostrata dalla Turchia a fronte della crisi siriana come il fallimento di tale politica e, in maniera più ampia, delle ambizioni internazionali dell’Akp. Un filone di pensiero ulteriormente rafforzatosi negli ultimi mesi a seguito del raffreddamento dei rapporti turchi proprio con l’Egitto. In realtà, osservando le ultime scelte del governo turco, compresa la rottura con i militari garanti della stabilità egiziana, emerge come ci si trovi di fronte non ad un abbandono della politica “zero problemi” bensì ad un suo riadattamento o aggiornamento; non più relazioni cordiali unicamente a livello “inter-state” ma priorità a quelle “inter-society”. Semplificando: se fino al 2011 l’urgenza turca era quella di mantenere rapporti solidi ed equilibrati con i propri vicini politici (governi, istituzioni, partiti), a partire dall’estate dello stesso anno, la dimensione politica ha in parte lasciato posto ai legami tra governo e componenti della società turca con le popolazioni dei Paesi vicini, in particolare quelle coinvolte nella difficile transizione democratica a seguito delle rivolte (Egitto, Libia, Siria).

Acquisendo consapevolezza di questo cambiamento nell’impostazione della propria politica estera, è possibile comprendere la scelta della Turchia, ferma e decisa, di schierarsi al fianco di un popolo, quello egiziano, che considera illegittimamente defraudato della propria libertà politica. Le dichiarazioni di Erdoğan hanno quindi avuto non solamente un forte peso politico ma soprattutto simbolico, andando a colpire le menti e, perché no, i cuori della popolazione egiziana e non solo. La Turchia oggi mira alla creazione di solide relazioni con le società ad essa vicine, geograficamente e culturalmente, piuttosto che con governi precari dalla discutibile liceità. Una posizione perfettamente in linea con l’ambizione di ergersi a guida dell’ Afro-Eurasia che comporta e comporterà inevitabili rotture nonché scelte politiche impensabili fino a pochi mesi fa.

 

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