di Antonio Capitano

In un recente e arguto articolo di Domenico De masi apparso su Style, il mensile del Corriere della Sera, campeggia in primo piano uno splendido dipinto di Jean Huber che raffigura Denis Diderot, Voltaire e atri filosofi che si scambiano idee allo stesso tavolo.

Aggiunge l’autore, che nel dipinto veniva rappresentato un consesso di menti che servirebbe anche oggi, poiché nel Settecento gli illuministi sfidarono la morale e il potere di Chiesa per dare un nuovo modello di vita a un’Europa in crisi, sospesa fra passato e futuro.

Gli illuministi non praticavano l’idea di una rottamazione, ma di un modello di riferimento diverso, basato su concetti altissimi e su un vero riformismo che potesse cambiare le sorti della loro nazione e dell’Europa. Il loro ragionamento, infatti, guardava lontano, ad una società globale migliore, senza badare ai campanilismi tipicamente italiani.

Purtroppo, la nostra realtà è ben diversa. E poco illuminata. Se proviamo ad indagare il periodo in cui nacque la nostra Costituzione, ci accorgiamo che l’Italia, devastata dalla guerra feroce, aveva in sé notevoli germi di pensiero che poi hanno permesso di depositarsi su quella stessa Carta rendendola la strada maestra della nostra storia recente. Parole scritte con patriottismo e senso di responsabilità. Nomi autorevoli, novelli illuministi se pensiamo a Calamandrei o a La Pira e a quei tanti nomi dalle idee così diverse ma da una elevata unità di intenti: costruire una nuova Italia.

E ancora, tornando indietro nel tempo: dove è finito oggi il federalismo di Carlo Cattaneo? Si puo’ parlare oggi di giustizia sociale? Potrà mai arrestarsi l’emorragia corruttiva? Possono i mercati rovinare famiglie e futuro? Il nostro Paese oggi insegue una Terza Repubblica, ma ha perso di vista le proprie radici. Non si riescono a fare le vere riforme che servono per rimettere l’Italia sul giusto binario. Riforme che non si fanno perché non si vogliono fare. E anche perché non si possono fare. E ciò in relazione all’assenza nel panorama politico attuale di figure di spicco che riportino il Paese al rango di nazione credibile e stabile.

C’è un’instabilità cronica tutta italiana. Un emblema di precarietà che si riscontra in ogni istituzione nazionale e locale. Precarietà che sta minando ogni contesto con conseguente smarrimento generale nel quale ogni improvvisatore può essere il “re per una notte”. Di una notte molto lunga. Nei “cieli bui” della brutta politica.

Oggi più che mai occorre un riformismo illuminato e un ricambio non solo generazionale, ma anche di pensiero. Un vento davvero nuovo. Non so se questo ci potrà salvare. Ma sicuramente ci potrà aiutare a camminare a testa alta nell’Europa forse mai nata e mai voluta del tutto, da tutti.