di Federico Donelli

Osservando una recente carta geopolitica della regione si nota la presenza di Stati che attraversano fasi diverse di uno stesso processo di trasformazione politica; analizzando i caratteri peculiari dei tre diversi stadi di cambiamento si evidenzia come i contorni siano in realtà molto labili, contraddistinti da un forte dinamismo. Così, una situazione come quella egiziana fino a poco tempo fa etichettata come di “transizione in corso” può nel giro di pochi giorni tramutare in “scontri violenti” (caso Yemen) con il rischio di degenerare in una radicalizzazione dello scontro tra due schieramenti opposti non sempre ben definiti, ossia una “guerra civile” (Siria).

Dopo il grande successo di popolarità ottenuto dal Presidente Mohammad Morsi grazie al ruolo di intermediario avuto con Hamas, la situazione interna egiziana è improvvisamente peggiorata trasformando rapidamente una difficile ma comunque positiva transizione democratica in una situazione dominata da instabilità e scontri violenti. Le tensioni hanno riportato in piazza migliaia di manifestanti critici nei confronti di Morsi e de i Fratelli Musulmani, colpevoli di aver arbitrariamente attribuito ulteriori poteri al Presidente giustificandosi con la necessità di proteggere i risultati conseguiti dalla rivoluzione, sono scelte – a loro dire – prese nell’interesse del nuovo Egitto e del suo popolo. Ad essere colpita dai nuovi provvedimenti presidenziali è stata soprattutto la magistratura a cui è stato tolto il potere di valutare e mettere in discussione la legittimità delle scelte del Presidente. Una scelta che segue di poche settimane l’arresto del procuratore generale Abdel Mahmud reo di aver pubblicamente criticato l’operato di Morsi.

La piazza di queste settimane è però completamente diversa da quella del 2011; se allora erano presenti tutte le anime dell’opposizione egiziana gente di ogni fede politica e religiosa, ora lo scontro coinvolge due stesse anime di quella piazza: la maggioranza islamica al potere e la minoranza composta da liberali e laici. Seppure non espresso apertamente, le critiche rivolte dall’ex procuratore generale contenevano una implicita accusa al Presidente di non aver perseguito con i giusti mezzi e con la giusta efficienza i molti colonnelli e generali vicini a Mubarak, colpevoli di brutali repressioni durante i convulsi giorni di Piazza Tahir. In realtà al centro della contesa vi è l’inevitabile nodo di qualsiasi Paese musulmano, cioè il peso della shari’a, la legge islamica, in un progetto costituzionale di stampo democratico. La situazione egiziana rischia a due anni dal crollo di Mubarak di precipitare ulteriormente, vero ago della bilancia risultano essere – ancora una volta, come già accaduto in passato – i militari, il cui organo di rappresentanza è il Consiglio Supremo delle Forze Armate (SCAF).

La posizione dei militari appare ad oggi quanto mai inaspettata; in molti credevano che lo SCAF avrebbe funzionato come limite all’azione politica dei Fratelli Musulmani contrastandola anche violentemente se necessario. In realtà lo scenario che emerge in questi giorni fonda le proprie radici in un più lungo processo iniziato probabilmente a pochi giorni di distanza dalla caduta di Mubarak, i cui primi esiti si sono avuti durante l’ultima estate con la decisione del Presidente Morsi di ‘decapitare’ l’establishment di sicurezza nazionale tra cui l’influente Generale Mohamed Hussein Tantawi già a capo dello SCAF. Molti osservatori avevano ritenuto – erroneamente – che le scelte di Morsi riflettessero una nuova realtà in cui l’autorità civile fosse riuscita a subordinare i poteri militari. Invece, già allora è probabile che le scelte fossero frutto di un precedente accordo tra Morsi, i Fratelli Musulmani e la dirigenza militare volto ad aumentare la popolarità del Presidente e, allo stesso tempo, presentarlo come istituzione del tutto autonoma dal vecchio establishment di potere. Oggi, con la situazione che rischia di precipitare verso scenari non del tutto imprevedibili, ossia una futura guerra civile tra anima laica e anima islamica del Paese, i militari stanno mostrando, nuovamente, di essere l’unico arbitro della stabilità futura d’Egitto.

In una visione più a medio-lungo termine i militari sono consapevoli di poter mantenere il proprio potere, i privilegi e i molti interessi economici solamente conservando un partner politico espressione della società civile che possa mitigare il loro reale potere. Considerando al momento i Fratelli Musulmani come l’unica forza politica forte e credibile, è possibile spiegare questa nuova e strana alleanza.