di Alia K. Nardini
Che la strategia del contrattacco di Mitt Romney stesse funzionando, lo si è visto subito dopo il dibattito del 23 gennaio a Tampa, Florida. Gli 8-9 punti di vantaggio che Gingrich sembrava aver accumulato dopo la vittoria in Carolina del Sud si sono sgretolati rapidamente, a fronte degli attacchi del non-più-Massachusetts-moderate, che ha contestato vivacemente all’ex speaker le sue dimissioni dalla Camera “per condotta poco etica” ed il suo passato da lobbyista con la società parapubblica Freddie Mac. A mettere in ulteriore difficoltà Gingrich, le dichiarazioni della ex moglie (la prima, questa volta), che ha descritto il loro matrimonio come “puramente di facciata” e ha raccontato il divorzio perseguito alacremente dall’allora consorte mentre lei era in cura contro il cancro.
A soli cinque giorni dalla South Carolina, dove Gingrich aveva conquistato il 40,4% dei consensi e staccato l’ex Governatore del Massachusetts di ben 12 punti, Romney era nuovamente in pari (secondo Quinnipiac) o addirittura in vantaggio di qualche punto (CNN/Time). Dopo il secondo dibattito, quello di Jacksonville del 26 gennaio, Romney era già avanti di nove punti, per poi accumulare un distacco a due cifre su Gingrich secondo tutti i principali sondaggi – vantaggio che ancora oggi detiene. Al declino di Gingrich ha contribuito anche Rick Santorum, candidato che potrebbe ambire autorevolmente alla vicepresidenza, in quanto portavoce dei valori del conservatorismo religioso più tradizionalista. Quando l’ex Senatore della Pennsylvania, a nome del popolo, chiede a Romney e Gingrich di andare oltre ai pettegolezzi e alle schermaglie personali per concentrarsi sui temi, gli “issues” che realmente preoccupano gli americani, si rivela altresì prezioso nel riportare l’attenzione su ciò che realmente deciderà le elezioni di novembre: l’occupazione, il debito pubblico, le politiche economiche e sociali e la politica estera. È proprio qui, sugli issues, come rimarca Michael Gerson in un intervento davvero notevole sul “Washington Post”, che Gingrich è più in difficoltà: quando passa dalla brillante e acuta diagnosi dei problemi che affliggono il paese, al suggerire soluzioni a scenari immancabilmente “urgenti” e “catastrofici”, dove ogni proposta diversa dalla sua “porterà alla rovina il paese”.
Gingrich intanto colleziona imperdonabili gaffes, suggerendo di impiegare i ragazzi che più hanno difficoltà a scuola come addetti alle pulizie, proponendo di risolvere il problema del riscaldamento globale con la geoingegneria e rilanciando un’improbabile base statunitense sulla luna – idea che Romney non ha difficoltà a liquidare con una battuta sprezzante (“se l’avesse proposta un mio dipendente quando ero amministratore delegato, l’avrei licenziato in tronco”). Poi Newt avanza implicitamente per la vicepresidenza il nome di Marco Rubio, il giovane e carismatico senatore della Florida rimasto neutrale nella sfida delle primarie – il quale tuttavia, chiamato in causa riguardo ad una pubblicità che dipingeva Romney come “anti-immigrazione”, non esita a difendere l’ex governatore del Massachusetts definendo Gingrich “sobillatore” e “inaccurato”. Persino la commentatrice politica Ann Coulter (che, a dire il vero, è parecchio simile a Gingrich nei toni e nelle argomentazioni) ha dichiarato che “se proprio volete un conservatore dei valori, posso capire che votiate Santorum; ma è Romney il candidato migliore per battere Obama”.
Nel frattempo, giunge a Newt Gingrich anche l’appoggio di Herman Cain, l’ex amministratore delegato della catena di ristoranti Godfather’s Pizza, ritiratosi dalle primarie all’inizio di dicembre a causa di scandali legati alla sua vita sentimentale ma ancor più alla sua abissale incapacità di affrontare qualsiasi tematica non economica. Gingrich ha riconosciuto a Cain “grandi capacità di leadership”, che potrebbero giovare alla sua campagna; “Cain sa creare posti di lavoro”, ha aggiunto l’ex speaker alla Camera, “ed ha notevole esperienza manageriale”. Anche se Gingrich è a favore di una tassa universale del 15% sul reddito, e dunque non adotterà il sistema fiscale 9-9-9 (originale e popolare cavallo di battaglia di Cain), sembra peraltro certo che, se l’ex speaker alla Camera dovesse vincere la sfida presidenziale, l’uomo d’affari della Georgia parteciperà ad un’eventuale governo.
Intanto, nel sunshine state si combatte per il consenso dei “latinos”, preferenza che potrebbe essere indicativa di un trend che deciderà il voto in altri stati del paese ed in parte anche le elezioni di novembre. I candidati Repubblicani in lizza cercano di collocarsi a metà tra la linea ortodossa del partito, che vuole porre un fermo all’immigrazione clandestina, ed il conservatorismo compassionevole: “Non siamo anti-immigrazione. Non caricheremo gli irregolari sugli autobus per rimandarli a casa”, dichiara Romney, mentre Gingrich promette permessi speciali a tempo, perché “tutti hanno il diritto di inseguire il sogno americano”. Con la stessa passione, si discute se abrogare del tutto o modificare profondamente l’Obamacare, lasciando ai singoli stati l’opportunità di scegliere.
Seppur Mitt Romney voli alto nei sondaggi e la Florida si preannunci una sfida senza grandi sorprese, questo appuntamento non chiuderà certo la corsa alla nomination. Si tratta di ridefinire i temi della campagna presidenziale, nonché di scegliere il vicepresidente (sotto i riflettori al momento ci sono Rubio e Santorum), ed in modo più informale stipulare eventuali collaborazioni (si mormora che Romney vedrebbe bene John McCain come segretario alla difesa). Ancora più importante, si corre per ridefinire gli equilibri nel partito, e stabilire quanto alla convention di agosto conteranno i valori tradizionali della destra religiosa, con Santorum, nonché Ron Paul e i libertari. Anche in questo caso, c’è chi dice che Paul voglia accumulare delegati per far voce grossa sulle politiche economiche dei Repubblicani, nonché decretare una linea di successione per il figlio Rand all’interno del partito.
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