di Stefano Pelaggi
Le elezioni presidenziali venezuelane si avvicinano e i due temi cruciali della campagna elettorale sono la salute del presidente Chavez e la crescente escalation di violenze nel paese.
Per la prima volta l’opposizione si presenta compatta e con un candidato credibile. Henrique Capriles è stato scelto dagli elettori attraverso le primarie tra i partiti anti chavisti; avvocato, originario di Caracas, di religione cattolica pur essendo di origini ebraiche si posiziona su una linea di destra sociale. Capriles ha espresso la sua simpatia per le politiche di Lula; durante i suoi comizi usa spesso la definizione “né destra, né sinistra” e ha più volte elogiato alcuni progetti chavisti, in particolare quelli diretti ai ceti più disagiati. Insomma un candidato nuovo, che non baserà tutta la sua campagna sulla demonizzazione di Chavez ma che propone una via politica alternativa e solida.
Già le elezioni legislative del 2010 hanno visto una notevole avanzata dell’opposizione e l’insuccesso del Partido socialista unido de Venezuela (PSUV) che, pur confermandosi partito di maggioranza, ha mancato la conquista dei due terzi dei seggi del parlamento. Risultato che avrebbe consentito una maggiore autonomia politica e una garanzia di continuità della rivoluzione bolivariana. Ora l’opposizione, con un fronte politico coeso e con una rinnovata credibilità, può rappresentare un serio pericolo per il governo alle prese con un inflazione fuori controllo e una grave recessione. Mentre la salute del presidente resta ancora un’incognita; da più di un anno e mezzo le notizie sulla malattia di Chavez costituiscono l’ago della bilancia elettorale. C’è molta incertezza sulla possibile risposta della popolazione; in molti credono ad una ondata di empatia nei confronti del presidente mentre alcuni analisti evidenziano come le frequenti assenze dal paese finiranno per nuocere alla causa bolivariana. Molto dipenderà dalle condizioni di Chavez da ora in poi; certo che un nuovo ricovero a Cuba vicino alla scadenza elettorale di Ottobre metterebbe a serio rischio la rielezione.
Secondo Marco Ruzza, autore di “L’America Latina sulla scena globale” il Venezuela è l’unico tra i principali paesi latinoamericani a non aver ancora trovato una via d’uscita dalla crisi economica generalizzata. Ma il vero allarme interno è rappresentato dalla dilagante violenza per le strade del paese. Il Venezuela ha registrato più di 18.000 omicidi durante il 2011 e Caracas è considerato una delle città più pericolose del mondo. Il Venezuela Violence Observatory ha dichiarato che la violenza è notevolmente cresciuta dalla salita al potere di Chavez. Qualsiasi tentativo di monitorare il fenomeno si scontra inevitabilmente con le esigenze delle diverse parti politiche: le statistiche ufficiali stimano il fenomeno con una percentuale di 48 su 100.000 cittadini mentre alcune ONG, secondo la BBC, si attestano su 60 casi ogni 100.000 persone. Una percentuale tra le più alte al mondo; certo è che il crimine urbano è percepito come il più grande problema del paese e il governo è corso ai ripari. Chavez ha annunciato una legge che vieta la vendita di armi da fuoco e munizioni e una amnistia per i possessori di armi non registrate. Il governo ha dato grande risalto alla nuova norma, a riprova dell’importanza del tema per l’esito delle elezioni di Ottobre. L’opposizione ha ribattuto con scetticismo sull’efficacia della legge ed in particolare sulla possibilità che le forze dell’ordine applichino la legge.
I risultati sul breve termine di questa nuovo corso politico di Chavez, che fino ad ora aveva sostanzialmente minimizzato l’allarme violenza, costituiranno uno degli indicatori che sposteranno la bilancia elettorale. In una competizione fortemente ideologizzata saranno gli indecisi a decidere sul futuro cammino del Venezuela; proprio l’emergenza criminalità e la salute del presidente sono i due temi capaci di influenzare l’elettorato ancora incerto.
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