di Francesca Varasano
Lo scorso 14 gennaio Günter Grass, premio Nobel per la letteratura, ha dichiarato ad un giornale tedesco che probabilmente non scriverà altri romanzi: la salute di un 86enne, sostiene l’autore, non permette di portare avanti le ricerche necessarie alla buona riuscita di un libro. Soltanto due mesi prima usciva invece in Italia (edizioni Aldelphi) il libro più recente di un altro celebre scrittore della stessa generazione: La festa dell’insignificanza di Milan Kundera.
I personaggi de La festa dell’insignificanza si incontrano e bisbigliano reciproco disprezzo nel cuore di Parigi, fra i giardini di Lussemburgo e i maestosi palazzi circostanti; i loro nomi sono Alain e Charles e non già gli Jaroslav o Tomáš che avevano popolato la più nota produzione letteraria di Kundera, a compimento di quel processo di francesizzazione dell’autore accolto con poco favore dai commentatori cechi.
Durante la festa parigina non avviene nulla o quasi degno di nota – si tratta, appunto, di una festa insignificante a cui partecipano borghesi di mezza età, organizzata per di più da un individuo improbabile: un ex attore francese che per ragioni incomprensibili ha deciso di fingersi ad ogni costo pachistano, recitando così costantemente davanti ad un pubblico ignoto. È per la verità una festa il cui invito si spera di poter declinare, fosse anche a favore del compleanno della prozia novantenne.
Lo sviluppo infruttuoso del ricevimento è interrotto dalla narrazione parallela di congetture ed aneddoti sulla vita di Stalin ed altri dirigenti del Partito Comunista Sovietico, per lo più ispirati dalle memorie di Nikita Kruščëv, nonchè da una lunga digressione sulle vicende della città di Kaliningrad, tutt’oggi exclave russa sul Mar Baltico.
La festa è invece l’occasione dei personaggi per riflettere non solo sull’inutilità ma sulla dannosità di essere brillanti, per rifiutare la possibilità di ogni senso esistenziale e celebrare l’assurdo ed il futile. Già ne La Lentezza, il primo romanzo in lingua francese di Kundera, l’autore accennava alla possibilità di scrivere un intero libro privo di parole serie, corteggiando così aspetti meno seri dell’espressione artistica e della vita stessa: un progetto esplorabile nella maturità letteraria, il cui tentativo è incarnato da La festa dell’insignificanza.
Fra i lettori, il libro sembra aver raccolto reazioni contrastanti: vale la pena ricordare che nell’ottobre 2008 lo scrittore fu travolto dall’inchiesta pubblicata dal settimanale ceco Respekt che lo accusava di essere un informatore del partito comunista e di aver denunciato il giovane pilota Miroslav Dvořáček, poi condannato a 22 anni di carcere. Soltanto due anni prima lo stesso Günter Grass si era difeso dall’accusa (poi confermata dallo stesso autore) di essere stato membro delle SS naziste; l’immagine pubblica di entrambi gli scrittori, la cui prosa è fra la più significativa dell’Europa contemporanea, è uscita senza dubbio danneggiata da questi scandali. Il pensiero politico dello scrittore ceco è stato infatti segnato da una netta critica al comunismo dei paesi del patto di Varsavia sin dal suo esordio con il romanzo Lo scherzo – forse per ironia del destino, storia di una delazione – e il pubblico sembra aver accolto con diffidenza la decisione dell’autore di non rispondere alle accuse rivoltegli, se non attraverso le riflessioni sull’identità politica (e linguistica) di individuo ed artista formulate nella raccolta Un incontro, pubblicata in Italia nel 2009.
Forse oggi lo scrittore ceco non sarebbe più l’eroe letterario dell’amico estetico che leggeva la Repubblica e appunto i libri di Kundera celebrato dalla canzone di Antonello Venditti nel 1986, due anni dopo l’uscita de L’insostenibile leggerezza dell’essere.
L’insignificanza, la celebrazione dell’assurdo e la tragedia dell’ingegno sono temi ricorrenti nella produzione di Kundera: da Lo scherzo ad Amori ridicoli, dal Libro del riso e dell’oblio alla stessa Insostenibile leggerezza dell’essere che arriva a scomporre la dottrina dell’eterno ritorno di Nietszche per riflettere sul peso della caducità della vita, del minuto che passa inesorabile senza concedere repliche. Conclusione necessaria di queste premesse è la bellezza ineluttabile del caso e dell’insensato, del ridicolo e dell’amara ironia della rapidità della vita che accomunano le vicende umane e che lo scrittore ceco ha colto nella sua opera con uno stile unico la cui eco arriva fino a La festa dell’insignificanza.
Se il senso delle nostre vite è indubbiamente imperscrutabile forse davvero l’ironia, la leggerezza, la ribellione ai gesti calcolati a favore dell’assurdo e magari del ridicolo possono esserci di sollievo, vera celebrazione dell’insignificanza. Se accettiamo che l’esito dell’esistenza sia segnato sin dal suo esordio, se davvero il mondo è impossibile da cambiare, l’unica forma di resistenza è non prenderlo troppo sul serio – suggeriscono dei distinti signori parigini dalle stanze festose di un palazzo elegante.
Commento (1)
Andrew Carey
Yet another informative piece from Francesca Varasano. I would just like to reiterate that while many critics in the Czech Republic condemned Kundera as a “police informer”, there were also many voices which sharply criticised the Respekt weekly for publishing a badly researched piece. This will be debated for many years to come.