di Andrea Beccaro

Nei giorni scorsi si sono verificati due eventi che, sebbene ancora non del tutto chiariti, devono farci riflettere su un aspetto importante della conflittualità contemporanea: ci riferiamo in particolare all’attacco che ha colpito i vertici politici e militari siriani a Damasco e a quello che ha, invece, preso di mira un gruppo di turisti israeliani in Bulgaria.

Nella capitale siriana già da giorni si stavano svolgendo aspri combattimenti tra lealisti del governo di Assad e ribelli, l’attacco ha colpito al cuore il governo dal momento che ha causato la morte del ministro della Difesa, del suo vice che era anche il cognato di Assad, del capo della cellula di crisi che coordina le azioni contro i ribelli e del ministro degli Interni. In Bulgaria, invece, è stato colpito il primo autobus di una colonna di quattro che stavano portando turisti israeliani dall’aeroporto di Burgas alla stazione balneare Sunny Beach, sempre nei pressi della cittadina di Burgas. In questo frangente sono morti una decina di israeliani. La Bulgaria era diventata una meta turistica importante per i turisti israeliani da qualche anno a questa parte, ovvero dopo la crisi diplomatica con la Turchia che aveva di conseguenza bloccato il flusso turistico.

Anche se la dinamica di tali attentati non è ancora stata del tutto chiarita è giusto fermarsi un attimo a riflettere. Infatti, la pista più probabile per entrambi è quella dell’attentatore suicida, ovvero una della tattiche di attacco più utilizzate nelle guerre irregolari del mondo contemporaneo. Non è una novità visto che i primi attacchi di questo genere risalgono all’inizio degli anni ’80 (ad esempio l’attacco contro i Marines a Beirut nel 1982), ma nel corso del tempo il loro numero e il loro impatto “strategico” è aumentato. I teatri di guerra in cui questa tattica è stata maggiormente impiegata sono stati quello iracheno e afghano. Nel primo caso possiamo dire che la tattica dell’attacco suicida è stata quella prediletta, non tanto perché fosse quella predominante nel teatro ma perché in sette anni di conflitto (dal marzo 2003 al 2010) ha contato quasi la metà degli attacchi suicidi a livello globale a partire dal 1981: 2.713 sono quelli globali, 1.321 quelli registrati in Iraq. Anche il caso afghano è interessante da questo punto di vista poiché, pur essendo testimone di un minor numero di attacchi, ne ha contati circa 110 nel 2011 con un picco di circa 130 nel 2009.

Questa tattica spiega in modo esemplare la conflittualità contemporanea che il più delle volte vede contrapporsi da un lato un esercito regolare spesso altamente tecnologico o comunque con un livello tecnologico e di disponibilità belliche decisamente superiori al nemico, dall’altra un avversario irregolare, ovvero per dirla alla Schmitt che non rientra nella regolarità espressa dalla forma Stato. In tali contesti l’irregolare non solo deve saper sfruttare ciò che ha, ma deve anche riuscire a prolungare il conflitto e a renderlo particolarmente sanguinoso per l’avversario in modo che esso non possa vincere. Kissinger, a proposito della guerra del Vietnam, colse perfettamente il punto dicendo che l’esercito regolare perde se non vince, l’irregolare vince se non perde.

L’attacco suicida, visto il livello minimo di tecnologia che richiede e l’impatto mediatico che spesso riesce a ottenere, si sposa perfettamente con questa strategia di logoramento. Ma altre due le caratteristiche strategiche che appaiono, anche alla luce di questi attacchi, più importanti e inquietanti: la capacità di colpire con precisione l’obiettivo nemico e quella di farlo in profondità. La prima, la precisione, è esemplarmente dimostrata dall’attacco a Damasco in cui sono stati colpiti leader di spicco del regime: certamente non è stata una vera decapitazione del regime ma è stato senza dubbio un duro colpo. Non tutti gli attacchi suicidi riescono in questo intento, ma non ci sono dubbi che in tale tattica ci sia questa possibilità visto che sia in Iraq sia in Afghanistan è stato spesso utilizzata per attaccare all’interno edifici militari o politici sensibili. La seconda caratteristica, la profondità, è invece evidente nell’attacco contro i turisti israeliani colpiti non in Israele ma in luoghi lontani, e quasi inaspettati. Una potenza occidentale per condurre lo stesso attacco in profondità avrebbe dovuto impiegare o i tecnologici missili cruise o operazioni ad alto rischio con Forze speciali, ma l’attentatore suicida si dimostra egualmente efficace alla luce di risorse, economiche e tecnologiche, più ridotte.

 

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