di Emanuele Schibotto*

L’Oriente cerca l’Occidente. Seoul ha deciso di scommettere sul futuro dell’Unione Europea e degli USA proprio mentre questi sono alle prese con una persistente crisi economica ed un senso generale di declino relativo. Gli accordi di libero scambio (ASL) firmati con Bruxelles e Washington costituiscono un passaggio fondamentale verso una maggiore integrazione della Republic of Kora (ROK) nel sistema economico globale ed allo stesso tempo rispecchiano una strategia volta a rafforzare le relazioni con l’Occidente. I motivi principali di questa scelta sono tre.

Anzitutto, il capitolo crescita economica. L’accordo UE-ROK, entrato in vigore lo scorso 1 luglio, si prevede spinga l’interscambio commerciale bilaterale verso il raddoppio nell’arco dei prossimi vent’anni, generando un aumento del 5 percento per le export coreane e dello 1,4 percento per le esportazioni UE e creando dai 300.000 ai 600.000 posti di lavoro. Il 15 marzo scorso è invece entrato in vigore l’accordo firmato con gli USA, il quale porterà un aumento del pil coreano stimato tra i 0,3 e 2,4 punti percentuali, mentre il gigante nordamericano beneficerà di un aumento del pil compreso tra 0,02 e 0,2%.

In secondo luogo, il miglioramento della competitività internazionale. Se vi è uno Stato tra le economie avanzate che ben ha compreso l’importanza della massimizzazione della competitività internazionale nel contesto di un mondo globalizzato, questo è certamente la Corea del Sud. A seguito della grave crisi finanziaria del 1997, il Paese ha iniziato ad intraprendere un percorso di riforme che gli ha consentito di muovere notevoli passi avanti in molteplici campi: dalla lotta alla corruzione alla facilitazione del business per gli operatori economici stranieri . La Commissione presidenziale sulla competitività nazionale prevede una crescita economica potenziale del 7%; per raggiungere tale obiettivo la ROK necessita di imprese e capitali stranieri, la presenza dei quali funge da volano per l’incremento di competitività.

La terza ragione risiede nella sfiducia che la Corea del Sud nutre verso la Cina. L’influenza e economica e politica che la Cina sta maturando nella regione non è particolarmente benvenuta in un Paese, quale è la ROK, estremamente orgoglioso della propria indipendenza e dei propri successi economici recenti. Le relazioni commerciali volano (Pechino è già il primo partner commerciale di Seoul e nel 2011 il volume dell’interscambio commerciale bilaterale superava la somma degli scambi effettuati con USA e Giappone) e la continua crescita economica cinese ha portato benefici innegabili al tessuto industriale sudcoreano – e quindi allo stesso sviluppo economico. Tuttavia, Seoul manifesta il timore di divenire troppo dipendente dalla Cina nel lungo periodo. I decisori politici sudcoreani ritengono che una dipendenza economica eccessiva nei confronti di Pechino possa essere trasformata da quest’ultima in capitale politico. Basti osservare la relazione di quasi vassallaggio – in termini economici – in essere tra la Cina e la Corea del Nord (si calcola che Pechino detenga almeno il 75% del valore totale degli scambi commerciali con l’estero intrapresi da Pyongyang) e si comprende bene la logica sudcoreana. Occorre inoltre ricordare che Corea del Sud e Cina furono nemici durante la Guerra di Corea (i due Paesi hanno stabilito relazioni ufficiali solamente nel 1992) e che Pechino è tuttora l’alleato principale di Pyongyang.

Per questi motivi la classe politica sudcoreana (il partito al potere è filo-occidentale) ha iniziato a coltivare legami sempre più solidi con dei partner che considerano affidabili, quali Washington e Bruxelles; ma non solo: Seoul sta negoziando ASL con ASEAN, Australia, Canada, India e Messico. Il raggiungimento di una intesa di libero scambio con Tokyo non appare invece ipotizzabile (almeno nel breve periodo), la normalizzazione dei rapporti politici essendo ancora lontana.

In un momento nel quale il multilateralismo viva una fase di stallo (si pensi alla Organizzazione Mondiale del Commercio e segnatamente al Doha Round), utilizzare la leva bilaterale si rivela per Seoul una strategia vincente: non solo aumentano gli scambi commerciali e la competitività del Paese (un imperativo nazionale) ma allo stesso tempo vengono ridimensionati i timori generati dalla forza economica cinese.

 

*Dottorando di ricerca in Geopolitica Economica presso l’Università Marconi e Coordinatore Editoriale del Centro Studi di Geopolitica e Relazioni Internazionali Equilibri.net

 

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