di Manlio Lilli
Il “particulare” con il quale il Guicciardini connotava l’italiano non solo dei suoi tempi, permette ancora di dare spiegazione di comportamenti e di scelte. E’ una bussola per orientarsi tra divisioni di ogni tipo, geografiche ed anche politiche. Che affonda le sue radici nell’antichità. Come dimostra il nome stesso di Italia. La sua storia si presenta a prima vista come un processo di espansione del termine geografico di una regione ristrettissima, limitata all’estrema punta dello stivale, ad una più ampia.
Prima dell’estendersi del dominio di Roma ed anche dopo, l’Italia ha continuato a mantenere le peculiarità che le sono proprie. Con divisioni che sono in parte anche particolarismi, i quali non possono che accentuarsi in fasi di transizione, come in quelle che sembrano preannunciare cambiamenti sostanziali. Come accade ora. Come é già accaduto nel 1992-93, quando la grande crisi repubblicana disgregò il sistema partitico per ricomporne un altro. Quando, proprio come sta accadendo oggi, irruppero, contemporaneamente, sulla scena nazionale l’attacco della speculazione internazionale, il discredito della politica, la debolezza dei partiti, le istituzioni in conflitto, la scoperta di vere e proprie reti di corruzione. Quando si avvertì forte il rischio di crollo dell’intero sistema. Luciano Cafagna, studioso di cultura socialista, nei primi mesi del 1993, con La grande slavina analizzava i momenti cruciali che precedettero il “crollo”. Sembra del tutto attuale la chiave della “crisi morale” prodotta dalla “finanza partitica” anche se con alcune differenze. Prima fra tutte la localizzazione della principale “base imponibile” della politica, spostatasi dai piani alti di un’economia pubblica a quelli inferiori di un neostatalismo municipale. Ben differente é invece il ruolo del Quirinale. Da un lato lo sforzo di stabilizzazione operato da Giorgio Napolitano e dall’altro Oscar Luigi Scalfaro, protagonista della crisi.
Non sembra difficile riconoscere anche nella crisi politica del 2011 i sintomi di un sistema politico destinato a implodere. Rispetto alla fine della Prima Repubblica il logoramento di molti dei contenitori politici appare perfino accentuato e, soprattutto, al momento, sembrano mancare narrazioni politiche alternative. Prima ancora di Fi, la Lega, la Rete, i Referendari. Prodromi di una nuova fase impostata sul bipolarismo. Che tuttavia é andato lentamente, ma in maniera progressiva, auto-distruggendosi. Eroso anche da aggregazioni impossibili, da sodalizi che alla lunga hanno mostrato la loro fragilità. Affossato da leader troppo egocentrici o troppo poco autorevoli.
Correnti piccole e grandi all’interno dei due maggiori partiti, il Pdl e il Pd, stanno minando alle radici la loro unità. Le “case comuni”, nate dalla diaspora dei tanti rappresentanti dei partiti della prima Repubblica, mostrano tutta la loro inadeguatezza. Le differenze originarie tra soggetti all’interno di una medesima composizione politica si ingigantiscono dimostrando l’illusorietà del progetto iniziale. Richiamare all’interno del Pdl i nomi di Pisanu e Scajola o, ancora, di Alemanno e Formigoni significa entrare in aree critiche del partito. Vuol dire soffermarsi su arrembanti protagonisti della politica pidiellina che ambirebbero, contando sulla forza che gli viene dalle loro differenti origini, ad una leadership prossima ventura. Quanto questo processo, accompagnato da sempre più frequenti rumors, sia prepotentemente in fieri, lo indizia sopra ogni cosa il restyling avviato dal Presidente del Consiglio con l’investitura di Alfano. Se sul fronte Lega emerge chiaramente la difficoltà del senatur nel rinsaldare le diverse anime del partito, a sinistra la gestione Bersani ha dimostrato in più occasioni la sua incapacità di opporsi in maniera efficace e propositiva.
Errori di costruzione e poi di strategia politica hanno finora segnato il percorso di una gran parte dei soggetti politici italiani. L’incapacità a conciliare il necessario consenso con scelte che non mortificassero lo sviluppo del Paese può ritenersi uno dei limiti del sistema partiti in questa, deludente, seconda Repubblica. L’esito finale di questo autunno, lungamente annunciato, dei partiti molto probabilmente sarà una loro disgregazione ed una nuova ricomposizione. Disagevole riconoscerne le modalità ed i tempi considerando l’evolversi impetuoso degli eventi ed il loro continuo sovrapporsi.
Idee ed interessi saranno probabilmente ancora decisivi nel coagulo delle nuove forze politiche. Il prevalere dell’uno o dell’altro dei due elementi ne segnerà il loro cammino futuro e, probabilmente, anche le sorti del Paese.
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