di Michele Marchi

In un Paese con tutti i suoi principali fondamentali economici in crisi, guidato da un Presidente che sette francesi su dieci giudicano non all’altezza del ruolo e con la destra repubblicana prima dilaniata dallo scontro Fillon-Copé sulla successione a Sarkozy e oggi tentata dall’ipotesi di tornare a puntare proprio sull’ex Presidente, non deve stupire il ruolo sempre più centrale del FN.

Il FN guidato da Marine Le Pen ottiene ottimi risultati da un duplice punto di vista. Da un lato mette costantemente in difficoltà i due principali partiti di governo, accomunati nella formula “UMPS”. A destra sui temi della sicurezza, del mariage pour tous, dell’immigrazione imponendo all’UMP una radicalizzazione che mal si sposa con la sua originaria vocazione di unire i centristi e i conservatori in un unico grande soggetto partitico. Sul fronte socialista non solo il FN cerca di imporre i suoi temi di dibattito, ma arriva con sempre maggior frequenza a parlare con efficacia, e raccogliere il consenso, degli strati più popolari del Paese, solitamente orientati a sinistra. Si sta insomma consolidando quel “gauchelepenisme” che già negli anni Novanta Pascal Perrineau aveva descritto come emergente. Peraltro i toni catastrofici e antipolitici, sul modello del poujadismo anni Cinquanta del Novecento, trovano nell’attuale congiuntura di crisi terreno fertile.

A questi elementi si devono poi aggiungere quelli legati all’immagine del Fronte e del suo nuovo leader Marine Le Pen. La figlia dello storico leader ha portato il partito, in circa quattro anni dall’8,5% di buone opinioni all’attuale 23%. Un livello di popolarità di sei punti percentuali maggiore a quello del FN alla metà degli anni Novanta, quando la figura chiave era il “moderato” Bruno Mégret, con la sua proposta di alleanza con la destra repubblicana. La stessa Marine Le Pen ha più volte sfondato il tetto del 30% di giudizi positivi, anche se ora non sembra riuscire ad andare oltre questa immagine positiva per tre francesi su dieci.

La “normalizzazione” del FN ha raggiunto il punto di non ritorno? Il FN si sta trasformando o almeno si tramuterà a breve in un soggetto politico “normale” e “legittimato” ad assumere, almeno potenzialmente, la guida del Paese? Qui il discorso si complica. È vero che la percezione del FN come vero e proprio pericolo per il sistema democratico transalpino è costantemente cresciuto dagli anni Ottanta sino a raggiungere il suo acme dopo il clamoroso ballottaggio Chirac-Le Pen del 2002. Da allora però, e in maniera più accentuata da quando Marine Le Pen ha iniziato a svolgere un ruolo, anche mediatico, di primissimo piano, questo dato ha cominciato un costante calo. Oggi meno di un francese su due pensa che il FN possa mettere a rischio il sistema democratico.

Marine Le Pen ha dunque portato a termine quell’operazione che, dal suo punto di vista, definisce di “dédiabolisation” del FN e gli osservatori indicano normalizzazione o ancor meglio banalizzazione del Fronte, delle sue idee e delle sue principali tematiche? Marine Le Pen in realtà ha ancora molta strada da percorrere. Il punto critico per il Fronte resta il giudizio da parte dell’elettorato quando il discorso si sofferma sulle reali capacità di governo della compagine frontista. Solo tre francesi su dieci lo giudicano infatti un partito in grado di assumersi responsabilità di gestione diretta della cosa pubblica. Peraltro il dato è confermato anche a livello locale. Se si escludono gli exploit del periodo 1995-1997, la creazione di un “frontisme municipa”l è ancor ben lungi dall’essere completato e da questo punto di vista le municipali della prossima primavera saranno un banco di prova ben più probante delle successive europee.

Questo scetticismo sulla trasformazione del FN da forza antisistema a forza di governo responsabile va di pari passo con le difficoltà a far accettare all’elettorato UMP la possibilità di alleanze con candidati frontisti, anche se limitate a casi particolari.

L’attuale tornante sembra davvero decisivo per il consolidarsi del ruolo del FN nello spazio della crisi socio-economica, ma anche politica, che sta attraversando il Paese. Le due recenti elezioni parziali di marzo e giugno hanno sicuramente certificato l’inconsistenza della logica del “blocco repubblicano” da contrapporre al candidato frontista al secondo turno. Una scelta di questo genere oggi si ripercuote negativamente sui due partiti di governo, che finiscono per offrire un’immagine “consociativa” non lontana a quella della formula UMPS. Ma le due recenti elezioni suppletive hanno anche dimostrato, tra le altre cose, che l’elettorato gollista è pronto a mobilitarsi tra un turno e l’altro pur di sconfiggere quello che reputa ancora come un minaccioso candidato frontista.

Non resta altro che affrontare un terzo e ultimo passaggio, per cercare di avanzare qualche ipotesi sulle reali possibilità del FN di completare il suo percorso di normalizzazione. E questo è direttamente legato all’evoluzione del FN dalle origini di Ordre Nouveau degli anni Settanta, sino all’attuale svolta di Marine, passando per la traumatica scissioni di fine anni Novanta. Per scoprire che in realtà le continuità sono più delle rotture e che se è certamente errato parlare della storia del Front come quella di soggetto monolitico e legato soltanto alle consuete parole d’ordine dei movimenti di estrema destra xenofobi e antisistema di tradizione europea, è allo stesso modo fuorviante parlare di profonda discontinuità nel comparare Jean-Marie alla figlia Marine.

Questi punti saranno materiale per il terzo e ultimo contributo, che cercherà di fare un po’ di chiarezza proprio a proposito della reale novità del FN a guida Marine Le Pen.

(2 continua)

 

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