di Alessandro Campi

In Italia la politica è ovunque e occupa, per quanto screditata, ogni spazio della nostra vita collettiva, a smentita di coloro che parlano di una separazione o distanza tra il Palazzo e la Piazza, che sono alla fine divenuti un’unica cosa. L’informazione politica, a sua volta, si diffonde ormai attraverso ogni possibile canale, mentre prima aveva i suoi luoghi ufficiali e deputati. È così toccato all’intrattenitore Massimo Giletti – nella sua arena domenicale su Rai 1, in una collocazione televisiva che un tempo era consacrata esclusivamente al relax e al divertimento – ospitare le esternazioni politiche di Angelino Alfano alla vigilia di una scadenza parlamentare che potrebbe cambiare la storia del centrodestra italiano.

Alfano ha parlato delle ragioni che lo hanno portato a non aderire alla rinascente Forza Italia, a dare vita ad un nuovo raggruppamento e a scegliere di sostenere l’esecutivo in carica. Ha dato per scontato il passaggio all’opposizione del nuovo (vecchio) partito berlusconiano, a dimostrazione di quanto la frattura con il Cavaliere sia stata reale e profonda. E ha inoltre invitato Letta e Renzi ad un patto di governo che dovrebbe portare, entro la fine del 2014, alla realizzazione di alcune importanti riforme (dalle nuova legge elettorale all’abolizione dell’attuale bicameralismo perfetto, dal taglio strutturale della spesa pubblica improduttiva al conseguente abbassamento delle tasse sul lavoro).

Ma il tema del giorno, naturalmente, era come si comporterà il Nuovo centrodestra di Alfano in vista del voto che il prossimo 27 novembre sancirà la decadenza di Silvio Berlusconi da senatore. Dopo aver escluso qualunque partecipazione alle manifestazioni di protesta animate dai falchi del berlusconismo in occasione del voto, Alfano ha ribadito il suo affetto personale per il Cavaliere e ha aggiunto che “un uomo con la carriera e la biografia di Silvio Berlusconi meriterebbe di non essere sottoposto ai servizi sociali. Anzi dovrebbe beneficiare di un provvedimento di grazia, anche se non l’ha richiesta” (soluzione peraltro negata con forza da Napolitano anche ieri sera). Ciò significa che anche l’ala moderata e dissidente del centrodestra voterà compattamente contro la decadenza del Cavaliere.

Una posizione scontata, viene da dire, non foss’altro per allontanare da sé l’ombra del tradimento o dell’irriconoscenza. C’è tuttavia una cosa che Angelino Alfano e i suoi non potranno mai sostenere in pubblico e forse nemmeno in privato, ma che rappresenta il nodo autentico dello psicodramma che sta per consumarsi. E riguarda il senso di liberazione – dal punto di vista politico e forse anche personale – determinato dall’uscita di scena di Berlusconi. Quasi che la decadenza di quest’ultimo sia il prezzo da pagare, non privo di risvolti umilianti e dolorosi, per consentire al centrodestra di rinascere su basi nuove e all’intera politica italiana di voltare pagina. L’unica gioia che, anche come cittadini, può provarsi per quello che sta per accadere è per la rimozione del principale blocco (politico, fisico, emotivo) che ha lentamente condotto l’Italia alla paralisi. Il Cavaliere potrà naturalmente continuare a fare politica fuori dal Parlamento, ma il 28 novembre segna l’inizio reale del post-berlusconismo.

Berlusconi ha ragione quando dice che c’è qualcosa di incredibile e inaudito nella vicenda politico-giudiziaria che lo vede protagonista: un politico con la sua storia, ai vertici per anni delle istituzioni, conosciuto in tutto il mondo, leader attuale dell’opposizione, messo fuori dal Parlamento col voto a maggioranza dei suoi avversari è qualcosa che non si mai visto nelle grandi democrazie contemporanee. Ma in queste ultime nemmeno si è mai visto un capo politico così tenacemente abbarbicato al potere, così tanto convinto che il destino di un intero Paese, di un’intera parte politica debba coincidere con quello suo personale. Convinto altresì di essere il migliore in ogni campo, una specie di miracolo della natura. E incapace di immaginare un futuro per il centrodestra italiano e per l’Italia senza la sua persona.

In questo Berlusconi è davvero sempre rimasto un imprenditore-padrone (malato di titanismo) che non si è mai piegato alla politica e alle sue eterne regole di condotta. Tra le quali c’è quella che mostra come il destino fatale dei grandi leader sia di dover prima o poi abbandonare la scena che li ha visti protagonisti. E la loro immagine dinnanzi alla storia, la loro eredità al prossimo, dipendono molto dalla maniera con cui affrontano e gestiscono questo passaggio inevitabile.

Berlusconi, animato da un vitalismo che negli anni è sconfinato in una sorta di senso d’onnipotenza, afflitto da un’evidente egolatria, circondato da collaboratori che non hanno mai smesso di esaltarlo accentuandone l’autostima e la convinzione di essere insostituibile, non ha mai fatto nulla per dare continuità politica alla sua avventura. Ha bruciato i suoi potenziali eredi uno dopo l’altro. Ha inibito nel suo partito qualunque forma di competizione politica, plasmandolo organizzativamente in modo da poterne disporre a piacimento, arrivando a disfarlo e a ricomporlo secondo le convenienze del momento. Ha premiato la fedeltà personale e snobbato i vincoli di obbligazione politica.

Insomma, mai per un solo momento ha pensato di fare un passo indietro o di lasciare il posto ad altri. Ha sempre trovato un argomento – spacciato come una necessità o un interesse collettivo – per restare sulla scena, indifferente al fatto che in questi vent’anni è accaduto di tutto nel mondo e che nelle altre democrazie nuovi capi politici e nuovi gruppi dirigenti si sono affacciati al comando. Tra tre giorni Berlusconi non pagherà solo l’accanimento persecutorio della magistratura o l’ostilità ideologica dei comunisti nei suoi confronti, ma anche la sua ostinata presunzione, la sua mancanza di realismo, di senso della misura e di lungimiranza politica.

Un centrodestra a misura dell’Italia di oggi e dei problemi che l’affliggono si sarebbe potuto sviluppare col suo concorso. È dovuto nascere contro di lui, attraverso un gesto di ribellione dettato dall’esasperazione, e finirà per prendere corpo a partire da un rito sacrificale pubblico che lo stesso Berlusconi ha reso ineluttabile.

* Articolo apparso sul “Il Messaggero” (Roma) e “Il Mattino” (Napoli) del 25 novembre 2013.

 

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