di Roberto Valle
Sopravvivrà la democrazia nell’era delle diversità sociali ed etniche? È questa la suspense interrogativa che è risuonata al Global Policy Forum che si è tenuto a Jaroslav il 7 e l’8 settembre 2011. Quest’anno il Global Policy Forum è stato dedicato al tema The Modern State in the Age of Social Diversity e si è articolato in una sessione plenaria (alla quale hanno partecipato tra l’altro anche Brzezinski e Krugman) e in tre sessioni di lavoro dedicate alle istituzioni democratiche nelle società multietniche, al crescente divario tra ricchi e poveri e alle strategie economiche per combattere le ineguaglianze su scala globale, alla sicurezza globale e ai conflitti locali al fine di rendere più efficiente la cooperazione tra i governi e le istituzioni globali e regionali per risolvere quei conflitti locali che, sia pur congelati, possono risultare esiziali per l’ordine internazionale.
Nel discorso tenuto in occasione della sessione plenaria, il presidente russo Dmitrij Medvedev ha affermato che la struttura della società contemporanea è diventata “radicalmente” più complessa: in passato, la diversità economica e sociale riguardava soltanto le megalopoli, dove la vita era autenticamente pulsante e vigorosa; nel XXI secolo tale diversità è penetrata nelle piccole città e nelle aree del mondo più lontane dai centri della globalizzazione.
La diversità sociale, secondo Medvedev, è ormai un “fattore decisivo” nello sviluppo degli individui, dei gruppi e delle nazioni e ha cominciato modificare la morfologia socio-politica degli Stati democratici. Nell’era della globalizzazione compiuta la progressiva stratificazione economica è stata meno evidente nel periodo dell’apparente inarrestabile e infinita crescita economica, ma è diventata un fattore di disintegrazione sociale e di degrado nel periodo della crisi più acuta del capitalismo che sembra aver perso anche lo slancio della distruzione creatrice.
Le tensioni sociali, i conflitti etnici, l’immigrazione illegale appaiono, secondo Medvedev, come problemi insolubili e la diversità sociale è percepita come un “caos insensato”, come crollo della “unità nazionale” e della “solidarietà sociale”. Il caos organizzato e stratificato favorisce l’affermazione di forze populiste che, come una sorta di richiamo della foresta, fanno appello agli impulsi primitivi delle folle democratiche al fine di proteggere la cultura tradizionale.
D’altro canto, per Medvedev, la dottrina della lotta di classe è stata resuscitata in molte regioni del mondo, ricomparendo come un revenant sotto le spoglie di rivolte, di attacchi terroristici e di guerre civili. La povertà, infatti, è diventata un “potente catalizzatore” dei conflitti interetnici; l’intolleranza e la xenofobia si diffondono, inoltre, più rapidamente tra i ceti sociali più poveri. Nell’era della globalizzazione compiuta, la democrazia e l’economia di mercato non sembrano avere alternative, perché, come ha affermato Medvedev, l’esperimento socialista sovietico è catastroficamente finito nella stagnazione, nella povertà e nel crollo dello Stato.
Tuttavia, vent’anni dopo la disintegrazione dell’Urss, la democrazia liberale sembra anch’essa rifluire verso una stagnazione economica e politica. Al forum di Jaroslav, Valerij Zorkin, presidente della corte costituzionale della Federazione Russa, ha affermato che le sorti della democrazia dipendono dalla salvezza dello Stato di diritto e della sua sovranità che deve darsi una nuova base concettuale multiculturale e multiconfessione, affinché la diversità etnico-sociale non sfoci nel caos insensato evocato da Medvedev. Secondo Zorkin, nel primo decennio del XXI secolo abbiamo assistito al simultaneo fallimento del melting pot, del multiculturalismo e delle strategie di integrazione civica del liberalismo classico che fanno appello all’individualismo.
La società post-democratica si è atomizzata in comunità etnico-religiose ed etnico-culturali. Nel XXI secolo la democrazia post-liberale oscilla tra lo scontro di civiltà e la separatezza etnica, culturale e religiosa. Negli Stati Uniti, per Zorkin, la crescente sfiducia nelle istituzioni della democrazia politica si manifesta nel desiderio dei vari gruppi etnici di preservare la loro identità culturale, religiosa, linguistica e socio-economica. La disintegrazione del melting pot è diventata più evidente con la crisi economica, rivelando, al di là dell’uguaglianza formale dei cittadini, una stratificazione sociale che assume delle connotazioni etniche e razziali.
Dal canto suo, il multiculturalismo sembra condurre a una erosione della sovranità dello Stato, perché, secondo Zorkin, il multiculturalismo, nelle sua estrema deriva, è giunto a negare l’esistenza di una società unificata e ad affermare l’idea del “conglomerato di comunità”. Il fallimento del multiculturalismo è stato attestato da Merkel, da Cameron e da Sarkozy: tale attestazione di fallimento dimostra, per Zorkin, che nei paesi occidentali sviluppati manca un progetto di lungo periodo che si configuri come una alternativa al multiculturalismo.
In un saggio dedicato al declino del multiculturalismo (pubblicato nel 2011 su Russia in the Global Affairs) , Emil Pain, studioso russo di questioni etno-politiche, afferma che il multiculturalismo da idolo tout court della cultura post-moderna è diventato un idolo polemico, sia dei conservatori sia dei liberali, nell’era della crisi della diversità etnica e sociale. Pain fa anche riferimento al tentativo di Medvedev di porsi oltre il multiculturalismo e l’integrazione civica sostenuti dalle democrazie occidentali anche alla luce della disintegrazione multiculturale del Caucaso settentrionale: tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, il presidente russo ha promosso l’idea del “patriottismo panrusso”, quale tentativo di creazione della nazione russa su basi pluriculturali e pluriconfessionali. In Russia il movimento dalla separatezza multiculturale alla “integrazione multiculturale” sembra inevitabile. Tuttavia, l’integrazione multiculturale, quale versione modernizzatrice dell’idea di Grande Russia, non appare forse come un’ ulteriore manifestazione del caos insensato e organizzato in cui versa la democrazia nell’era delle diversità globali e omologate?