di Giancristiano Desiderio

In Europa gli italiani sono i meno prolifici: fanno meno figli. Gli immigrati, anche e soprattutto in Italia, hanno un tasso di nascita superiore a quello nazionale. Dunque? Semplice: o facciamo più figli o riconosciamo come italiani i nati in Italia da genitori stranieri. E’ questa la situazione demografica che ha indotto il presidente della Repubblica a dire durante l’incontro con la federazione delle chiese evangeliche in Italia che “è una follia che i figli di immigrati nati in Italia non siano italiani”. Si può tranquillamente aggiungere che è una evidente follia demografica e nazionale. La via dell’integrazione è una necessità proprio per difendere la nazionalità italiana e la nostra cultura. Al contrario, la via dell’estromissione, del non-riconoscimento, della difesa della nazionalità su basi di sangue e terra è un palese autogol: gli immigrati aumentano e gli italiani diminuiscono.

La Lega con l’ex ministro Calderoli si è opposta alle parole del capo dello Stato e si dice pronta a fare le barricate in Parlamento e nelle piazze: “La vera follia sarebbe quella di concedere la cittadinanza basandosi sullo ius soli e non sullo ius sanguinis, come prevede invece oggi la legge”. Se questa è la linea difensiva della Lega, allora, se ne può trarre la conclusione che il leghismo si avvia a diventare lepenismo. Una posizione che sfugge al buon senso prim’ancora che al principio dell’accoglienza e della tolleranza. Il presidente della Repubblica, infatti, ha posto un tema cruciale proprio in difesa della nazione italiana: o lo Stato italiano investe sulla sua cultura e sul diritto alla cittadinanza italiana oppure gli italiani sono destinati alla decadenza. E’ un problema cruciale che è all’ordine del giorno da molto tempo ma ogni volta che si prova a “metterlo a tema” si scivola sulla polemica inconcludente. Questa volta, invece, si deve concludere.

Non a caso il presidente Napolitano lo ha sottolineato dicendo che oggi c’è “la possibilità di fare in Parlamento quello che non si è potuto fare negli anni passati”, certo – ha aggiunto – “il mare è ancora un po’ mosso ma credo ci siano maggiori possibilità di dialogo e confronto tra gli schieramenti”. La Lega no. La Lega si è già tirata fuori da questo dialogo e, in pratica, è già salita sulle barricate.

In pochissimo tempo il partito di Bossi – e soprattutto il partito di Maroni – sta buttando a mare il profilo istituzionale che aveva costruito in tanti anni di governo. Da partito che ambiva a riformare lo Stato è passato ad essere quasi un partito anti-sistema e i suoi stessi elettori, come ha documentato un sondaggio di Renato Mannheimer, non ne condividono le politiche. Ha scelto, legittimamente, di non sostenere il governo Monti. Ma questa scelta di stare all’opposizione deve sempre e comunque dettare le sue idee , azioni, parole su ogni altro “problema nazionale”? E’ curioso, ma la scelta di difendere il principio di nazionalità arriva da un partito che ha messo in discussione l’esistenza stessa della nazione italiana, fino al punto di inventarsi un’altra nazione – la Padania – e di invitare a fare un uso da toilette della bandiera bianca, rossa e verde. Ma, forse, questa estremizzazione del leghismo non stupisce più di tanto: in fondo è proprio dall’ideologia della tribù regionale e pre-unitaria che nasce l’idea piccola e xenofoba di difendere la nazione sulla purezza del sangue. Una cultura nazionale grande , matura, sicura non teme di accogliere e di integrare: la “conquista” degli altri nei nostri confini nazionali non può non avvenire attraverso la cultura, il diritto, la storia. I bambini nati in Italia da genitori immigrati sono naturalmente italiani se lo Stato italiano è in grado di accoglierli prima di tutto negli asili e nelle scuole. Questo, di fatto, già avviene e sottolinea l’importanza strategica della scuola nella formazione dei “nuovi italiani”.