di Alessandro Campi
Fondare un partito o dare vita ad un’aggregazione di forze, assumerne la guida politica, gettarsi nella battaglia elettorale con la speranza di vincerla, trovare le parole giuste per galvanizzare i propri seguaci e per conquistare nuovi adepti, menare fendenti e riceverne.
Fare politica, perché di questo stiamo parlando non di rivestire una carica ministeriale, a parole è assai facile, sembrerebbe una scelta alla portata di chiunque abbia intelligenza, capacità materiali e una minima ambizione, ma nella realtà è molto più complicato. Guardate, d’altronde, a coloro che negli ultimi due decenni hanno avuto la forza di imporsi all’attenzione pubblica con una loro autonoma proposta politica senza per questo essere degli eroi della storia – uomini come Umberto Bossi, Silvio Berlusconi, Antonio Di Pietro e, più di recente, Beppe Grillo e Matteo Renzi – e subito noterete, di là dalle ovvie differenze, un tratto antropologico comune: un misto di spregiudicatezza e volontarismo assoluto, di autostima sconfinata e di resistenza fisica fuori dal comune, di capacità a guardare lontano e di capacità a governare gli uomini e le loro pulsioni, di pelo sullo stomaco e di attitudine a cambiare opinione se le circostanze lo richiedono. Tratti che non sono comuni tra coloro che frequentano le stanze del potere, ma che appaiono indispensabili a chi di quelle stanze voglia possedere le chiavi o decidere gli accessi.
Ci si chiede, in queste ore, se e quando Mario Monti e in subordine Luca Cordero di Montezemolo si decideranno per il grande passo; e quale sia, eventualmente, la ragione delle loro titubanze, che è l’argomento preferito di discussione di giornali e cittadini nel mentre si avvicina inesorabile la data del voto e dunque l’ora delle scelte decisive e irrevocabili.
Del primo – invocato come leader naturale dai centristi ormai da mesi, sollecitato all’impegno elettorale da molte cancellerie europee e ora richiesto di porsi alla guida dei moderati italiani addirittura da Berlusconi – si dice che prenda tempo e faccia il vago avendo in testa traguardi più ambiziosi di quelli che gli vengono offerti: più che la guida di un nuovo esecutivo, la poltrona del Quirinale o un incarico di assoluto prestigio a livello internazionale. Per quale ragione gettarsi nella mischia – con le incognite che ciò inevitabilmente comporterebbe – quando i suoi reali obiettivi possono essere raggiunti tenendosi in disparte, mantenendo il suo attuale profilo di uomo al di sopra delle parti?
Del secondo – dato per candidato alla guida del movimento che ha fondato da almeno tre anni – si dice invece che le incertezze e i ripensamenti, il tira e molla mediatico, nascano dall’oggettiva situazione di stallo in cui al momento si trova il fronte centrista: perché se è vero che si si sta cercando di capire cosa farà Monti è anche vero, nel caso quest’ultimo dovesse alla fine defilarsi, che rischiano di essere tante le personalità intenzionate a contendersi la guida di quell’area. Ma la sua ritrosia, secondo altre letture, potrebbe anche nascere dalla consapevolezza d’incarnare anch’egli – considerati i suoi numerosi impegni imprenditoriali e finanziari – un conflitto d’interesse assai simile a quello che per due decenni è stato rinfacciato a Berlusconi. E la Terza Repubblica, chiunque sarà ad inaugurarla, va da sé che non può nascere con i vizi strutturali della Seconda.
Ma se il nostro incipit è sensato forse sono altre le ragioni che rendono oggettivamente difficile la decisione di lasciare i panni del tecnico o dell’imprenditore di successo per vestire quelli del politico e dunque del partigiano, dell’uomo di parte.
Insomma, non è tanto una questione di calcoli e convenienze a frenare uomini come Monti o Montezemolo. La loro indecisione (sicuramente sofferta) nasce dal fatto che fare politica in senso proprio (entrare cioè nei suoi meccanismi non sempre virtuosi e che non sempre rispondono alla logica e al buon senso, scegliere un campo contro l’altro tirandosi addosso gli insulti e i sospetti degli avversari, perdere tempo con quelle cose noiose e prosaiche che sono la gestione delle liste elettorali prima del voto, gli accordi sottobanco con amici e competitori, i comizi conditi inevitabilmente di propaganda e i bagni di folla) richiede un temperamento, un carattere, una struttura mentale e psicologica che non tutti possiedono e che non s’improvvisa nel giro di qualche settimana.
Per chi è abituato, per ragioni professionali, a muoversi in ambienti governati da regole convenzionali e da un linguaggio codificato, a esercitare le proprie virtù dialettiche con i parigrado e a sentirsi circondato nella sfera pubblica da un universale rispetto (al massimo condito da invidia e da qualche inevitabile malizia), entrare nella competizione politica, dove nessuno ti regala nulla in virtù della considerazione e della stima che ti circondano, rappresenta un salto abissale. Che non tutti sono in grado di compiere, o hanno voglia di realizzare. Il che significa, ad esempio, che l’eventuale decisione di Monti di candidarsi non sarebbe “moralmente discutibile”, come ieri ha sostenuto Massimo D’Alema. Forse la scelta di darsi alla politica attiva e concreta – di scegliere una parte contro l’altra, di mettersi alla testa di un esercito che in caso di vittoria richiederà inevitabilmente compensi (materiali e simbolici) e prebende, di cominciare ad utilizzare un linguaggio che talvolta è costretto a sacrificare la verità – richiede un senso lasco della moralità che il professore probabilmente non possiede.
La lotta politica è per definizione aspra e dura. Immaginiamo, alla luce della difficile situazione in cui versa l’Italia, cosa saranno le prossime elezioni. Quanto frontale e senza esclusione di colpi sarà lo scontro tra forze politiche. Mettersi a capo di un partito o di una coalizione, esserne il leader o la guida in modo convinto e autorevole, motivare le truppe in vista della vittoria nelle urne – tutto questo richiede caratteristiche personali che Monti e Montezemolo probabilmente non possiedono, e che dunque non possono improvvisare. Loro stessi, nell’intimo, ne sono consapevoli. E questo spiega i loro indugi e il fatto che – se può interessare l’opinione dello scrivente – alla fine né l’uno né l’altro faranno il salto dall’altra parte della barricata che in molti chiedono loro.