di Marco Granato
L’attuale contesto politico della Tunisia è caratterizzato da un tentativo di sviluppo delle istituzioni democratiche, in un momento nel quale la situazione economica rimane poco rassicurante. I tre tradizionali argomenti di discussione sono il rapporto tra lo Stato e l’Islam, la condizione della donna e la libertà di informazione. Quest’ultimo tema è il più sentito: la transizione democratica è in atto, quindi l’importanza di avere un’informazione che svolga il ruolo di controllore è crescente.
Proprio in tal senso, l’esigenza maggiore sembra essere legata alla difficoltà di reperire dati certi sulla portata e le fonti di finanziamento dei partiti, laddove la legge non prevede obblighi precisi per questi ultimi. Da interviste alla popolazione si può anche evincere che una delle principali preoccupazioni dell’opinione pubblica è il ritorno di un regime autoritario. Il recente scandalo sui maltrattamenti verso detenuti sospettati di legami con il terrorismo ha aggravato questa percezione.
Il primo partito è al momento Nidaa Tounes, con 86 dei 217 seggi nel Parlamento monocamerale. Il secondo partito è invece Ennahda, con 69 seggi. I due partiti governano in coalizione insieme ad altri gruppi minori. Nelle commissioni parlamentari i seggi sono così ripartiti: nove al partito Nidaa Tounes, sette per Ennahda e due all’Union Patriotique Libre, che ha 16 seggi in Parlamento. A Nidaa Tounes appartiene il Capo di Stato, Beiji Caid Essebsi, fondatore dello stesso partito e da tempo in politica come avversario degli estremisti islamici. Esponente della vecchia borghesia tunisina, è stato Ministro ai tempi di Bourghiba e Capo del Parlamento sotto Ben Ali. Il Capo del Governo è Habib Essid, indipendente.
Nidaa Tounes è stato definito da Khemaïs Ksila più un progetto che un partito». E’ di orientamento liberale e si contrappone nettamente all’islamismo estremo e transnazionale proponendo valori nazionali. Si può dire che abbia due anime: una rappresentata da liberali, leader sindacali, ecc., l’altra da uomini d’affari e militanti più giovani. Il modello di società che propone è caratterizzato da un Islam aperto e certamente non estremo, da uno Stato di diritto e democratico e dalla lotta alla discriminazione tra uomo e donna. Per quanto riguarda l’economia, si pone l’obiettivo di uscire dalla crisi economica attraverso la riduzione dell’intervento dello Stato nell’economia, il miglioramento dell’efficacia delle banche pubbliche, il risanamento delle imprese statali e una riforma della gestione dei fondi destinati al sociale. Allo stesso tempo, la linea economica del partito prevede il supporto ai settori a forte valore aggiunto, allo sviluppo di tecnologie d’avanguardia per l’industria e all’ambito delle energie rinnovabili. Anche il turismo è un settore nel quale si vuole investire. A supporto delle politiche appena elencate, il partito ritiene indispensabile portare avanti lo sviluppo di infrastrutture che permettano anche il progresso economico a livello locale.
Tra le figure di rilievo nel partito si annoverano Khemaïs Ksila, oppositore durante il periodo di Ben Ali, Karim Guellaty, giornalista, Saïd Aïdi, attuale Ministro della Sanità, Mohsen Marzouk, impegnato nel campo dei diritti umani e Bejid Caid Essebsi, il Capo di Stato.
Ennahda è un partito islamico sunnita moderato e non violento, membro della Fratellanza Musulmana. E’ stato fondato nel 1981. L’orientamento è conservatore e in economia il partito tiene posizioni liberiste, quindi contrarie a grandi interventi dello Stato. Il capo e fondatore del partito è Rached Ghannouchi, il quale fu un oppositore del regime di Ben Ali e trascorse un ventennio della sua vita in esilio a Londra. Ennahda si definisce un partito politico più che religioso; trae ispirazione dall’Islam ma lo applica in un contesto di democrazia. Ha dichiarato di non voler introdurre la Sharia, né di volere che la Tunisia faccia passi indietro per quanto riguarda l’emancipazione delle donne.
Un’altra forza politica di cui si deve tenere conto nel contesto attuale della Tunisia è rappresentato dai salafiti. Il 29 marzo 2012 nasce Jabhet el-Islah (Fronte delle riforme); il fondatore è Mohammed Khouja. Sostanzialmente, il partito, al momento non rappresentato in Parlamento, mostra alcuni aspetti più conservatori dal punto di vista religioso: è favorevole all’introduzione della Sharia nell’ordinamento giuridico e si dice favorevole alla democrazia purché questa non si traduca nella possibilità per il popolo di fare delle scelte contrarie all’Islam. Per certi aspetti è invece alquanto aperto e innovativo: sulla tematica dell’emancipazione della donna, questa viene considerata pari all’uomo, e il velo non rappresenterebbe un obbligo. Inoltre, il partito rifiuta il ricorso alla violenza nel Jihad, e ritiene di dover raccogliere consenso attraverso il dialogo e la persuasione. E’ necessaria a questo punto una precisazione: non bisogna confondere il partito di ispirazione salafita appena descritto e le correnti salafite presenti in Tunisia. Il movimento salafita, conservatore sul piano religioso, è suddiviso in diversi sottogruppi, ma si può fare una distinzione tra due posizioni contrapposte: i salafiti “della Scrittura” (Salafiyya ‘Almiyya) e i salafiti “del Jihad” (Salafiyya Jihadiyya). Entrambi i movimenti dimostrano avversione nei confronti dell’attività politica, ma i salafiti della Scrittura sono più conservatori nello stile di vita e tendono a resistere alla corruzione dei costumi dell’Islam attraverso la condotta di una vita retta da un punto di vista personale, mentre i salafiti del Jihad sentono la necessità di sfidare la corruzione dilagante nelle istituzioni, agendo sull’opinione pubblica e seguendo una linea più decisa e meno individualista. Alcuni dei salafiti avrebbero aderito negli anni ’80 a Ennahda, per poi distaccarsene andando in esilio o addirittura in Afghanistan a combattere il Jihad contro i sovietici. Tra questi vi sarebbe stato proprio Mohammed Khouja, fondatore del Fronte delle riforme.
Forze Armate e servizi di sicurezza
Le Forze Armate hanno dimostrato buoni livelli di coesione e professionalità in situazioni quali la recente crisi libica; tuttavia, fino alla fine del 2013, erano scarsamente equipaggiate per le contemporanee esigenze di lotta al terrorismo e alla guerriglia: le lacune principali erano la carenza di droni e di mezzi adeguati a trasportare le truppe in sicurezza rispetto ad attacchi con IED. Recentemente hanno avuto degli ammodernamenti da questo punto di vista.
Fin dai tempi di Ben Ali le Forze Armate tunisine hanno tenuto una cauta distanza rispetto al mondo politico. Se il loro ruolo durante le rivolte è stato importante per favorire la fine del regime, in questa fase si tengono ancora a distanza rispetto ai processi politici e di riforma in corso, lasciando che sia la sfera civile a occuparsene maggiormente. Tuttavia, in un momento storico in cui la povertà di alcune aree sta portando a instabilità, mentre in politica si fanno strada forze di ispirazione islamista più o meno moderate, una consistente parte dell’opinione pubblica vedrebbe un maggiore coinvolgimento delle Forze Armate come un’assicurazione contro l’estremismo islamico, contro una nuova deriva autoritaria o anche semplicemente come un modo per garantire stabilità in una fase delicata come quella attuale, anche alla luce dell’instabilità dei Paesi circostanti.
I servizi di sicurezza e informazione tunisini, secondo Laurent Touchard, esperto di storia militare e terrorismo, soffrono della sindrome “post-brutale”. Coloro che erano dirigenti di queste organizzazioni sotto il regime di Ben Ali sono rimasti al loro posto e cercano ora di mantenere un basso profilo, oppure di guadagnarsi l’appoggio e il favore dei nuovi quadri dirigenti. Inoltre, risulta difficile per tali organizzazioni proteggere quelli che sono i punti deboli del neonato Stato democratico, proprio perché erano stati pensati e strutturati per servire un regime diverso. Negli anni precedenti, infatti, la loro attività principale era relativa al controllo e al contrasto degli oppositori politici, mentre ora la minaccia principale è rappresentata dall’estremismo e dal terrorismo islamico. Se vi sono mezzi e capacità per fronteggiare tali minacce, il problema si pone più che altro sul piano della regolamentazione, a livello legale, delle procedure di sorveglianza: un problema delicatissimo che ricade nella già menzionata questione delle libertà di pensiero e informazione, oltre a essere un tema molto sentito da chi teme il ritorno di un regime autoritario.
Economia
Paragonata a quella degli altri Paesi nordafricani, l’economia Tunisina primeggia, anche se vi sono alcune zone dove degli alti livelli di disoccupazione portano a tensioni sociali e instabilità. Le principali imprese tunisine sono quasi tutte legate al settore dell’energia e controllate dallo Stato; nel settore delle telecomunicazioni vi è una compresenza di azionisti privati e dello Stato stesso. Non è un caso, come descritto sopra, che Nidaa Tounes rivolga una particolare attenzione alle industrie statali. La Compagnie des Phosphates de Gafsa (CPG) e il Groupe Chimique Tunisien (GCT), di cui la CPG fa parte, hanno risentito pesantemente della condizione di instabilità. Il periodo 2011-2013 è stato particolarmente triste per le due imprese che hanno registrato una perdita di 2 miliardi di dinari. Anche alla luce di questa perdita va letta la richiesta di un prestito al FMI da parte della Tunisia. Importante è altresì il settore del turismo, che, però, ha risentito negativamente dell’instabilità politica e dei recenti attacchi terroristici, i quali hanno anche scoraggiato investimenti dall’estero. Per quanto riguarda il commercio con l’estero, la Tunisia è in un regime di libero mercato con L’UE dal 2011. Le sue maggiori esportazioni sono petrolio greggio, cavi isolati, indumenti di produzione industriale e petrolio raffinato. Tra le importazioni spiccano il petrolio raffinato, automobili, equipaggiamenti di protezione contro elettricità a basso voltaggio, circuiti integrati e grano. I Paesi in cui esporta di più sono, nell’ordine: Francia (30%), Italia (18%), Germania (12%), Spagna (4.5%) e Regno Unito (3.2%), mentre i Paesi da cui la Tunisia importa di più sono Francia (21%), Italia (20%), Germania (8.8%), Cina (6.4%) e Spagna (6.4%). L’attuale situazione di crisi ha causato un indebitamento delle banche, quelle pubbliche in particolare, le quali sono interessate da un piano di ristrutturazione. In generale si può constatare che il sistema economico tunisino ha dei buoni livelli di efficacia e che vi siano delle buone potenzialità nel Paese sia dal punto di vista delle risorse che della tecnologia. Ciononostante la sua debolezza è rappresentata in primo luogo dall’instabilità politica, sia interna che nei Paesi circostanti, e in secondo luogo dal forte coinvolgimento dello Stato nell’economia.
Sul piano economico, la linea di Nidaa Tounes è maggiormente orientata verso il risanamento delle industrie e delle banche di Stato anziché verso la privatizzazione, mentre Ennahda è più orientata verso politiche di laissez-faire. Ci si può chiedere se questa divergenza possa un giorno portare a un attrito all’interno della coalizione di Governo.
Conclusione
La transizione democratica in Tunisia sta attraversando una fase delicata. Le Forze Armate e di sicurezza risentono ancora dell’impostazione ricevuta durante il regime di Ben Ali, mentre il contesto internazionale e i mutamenti istituzionali e politici li stimolano al cambiamento. Molto sentita è la questione della regolamentazione dell’informazione, soprattutto per quanto riguarda i finanziamenti dei partiti, e dei servizi di sicurezza, contestualmente al timore, da parte dell’opinione pubblica, del ritorno all’autoritarismo. La necessità di porre un limite alle forze politiche e ai servizi di informazione si scontra, però, con la necessità di garantire una maggiore sicurezza e stabilità contrastando il terrorismo e le sollevazioni locali. La tradizionale laicità dello Stato risalente all’epoca di Ben Ali viene ora messa in discussione dalla comparsa sullo scenario politico di forze di ispirazione islamista. Il sistema economico presenta notevoli potenzialità ma è attualmente messo a dura prova e ha costretto le proprie banche a indebitarsi con l’estero.
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