di Igor Pellicciari*
Vorrei proporre una chiave di lettura sul contesto internazionale della crisi ucraina che in questi giorni non ho visto presente in gran parte dei fiumi di parole che si sono riversate in Occidente – molto spesso più a commentare che e a spiegare – quanto stava avvenendo prima a Kiev e poi in Crimea.
Al di la dei proclami bellicosi, l’unica reale Guerra che si è vista finora è quella delle proposte e iniziative di aiuto all’Ucraina, rispettivamente da parte della Russia, dell’Unione Europea e degli USA.
Quanto avvenuto ha dimostrato ancora una volta che oramai le relazioni internazionali e le Politiche di Potenza degli Stati fanno affidamento in primo luogo e in forma sempre più crescente sulle politiche degli aiuti.
Oltre ai tradizionali strumenti della guerra e del commercio – che hanno ispirato nei secoli le relazioni internazionali tra soggetti statuali – le politiche degli aiuti sono diventati negli ultimi decenni uno degli strumenti nuovi e più sofisticati di domino e controllo tra Stati.
A tal punto che è chiaro – data la estrema competizione senza esclusione di colpi che si svolge tra i propositori delle offerte di aiuto – che i donatori hanno maggiori interessi politici dei beneficiari.
Ripeto questa frase, per marcarne la importanza: i donatori hanno più interesse dei beneficiari.
Questo vuol dire che nel contesto internazionale, i paesi che vogliano essere leader e contare devono essere donatori piuttosto che beneficiari.
Ebbene, uno dei principali aspetti che ha caratterizzato la Russia nell’ultimo decennio è il suo prepotente ritorno sulla scena internazionale da protagonista di primo piano ed il suo conseguente desiderio – dopo un prolungato periodo in cui è stata Paese beneficiario di aiuti – di tornare ad essere un Paese donatore di aiuti.
E’ evidente che questo ritorno della Russia nel giro dei grandi paesi – e quindi dei donatori – è stato visto con fastidio dagli altri membri del club, notoriamente non entusiasti per le new entries, in particolare quando queste avvengono senza il preventivo permesso dei membri tradizionali del club stesso.
Visto da questa prospettiva, lo scontro in Ucraina è stato quello tra chi già da tempo si era abituato ad imporre il proprio aiuto al paese (si dimentica che l’Unione europea ha sommerso di programmi di vari assistenza Kiev dal 1990 in poi attraverso il PCA ed i numerosi progetti dei programmi TACIS, ENPI etc.) e chi invece, come la Russia, ha iniziato a bussare solo più recentemente per proporre politiche di aiuto più massicce e concrete, più finanziarie e meno legate a progetti di assistenza ed in generale meno procedurali di quelle europee.
Che lo scontro sia puramente politico tra diversi programmi di aiuto e non tanto tra valori filo o anti europeisti – è dimostrato dal fatto che nessuno in queste settimane in Occidente ha pensato di andare a ricordare quale sia stato il reale impatto degli aiuti che in quasi vent’anni l’Occidente – ed in particolare la Unione Europea – ha scaricato su Kiev, quando la Russia era troppo debole per potere promettere un proprio piano di aiuti all’Ucraina.
Sugli aiuti dell’Unione europea infatti spesso ha gravato il sospetto più che fondato di inefficienza, inefficacia, finanche di corruzione dei soggetti coinvolti, se è vero che uno dei principali scandali scoperti dalla indipendente Agenzia antifrode della Commissione Europea – OLAF – negli anni recenti ha avuto come epicentro proprio l’Ucraina e la stessa Delegazione della Unione europea a Kiev.
Nulla di tutto questo è stato ricordato dall’Occidente alle masse in protesta al Maidan.
Il confronto su quali aiuti dovesse accettare Kiev è stato invece rilanciato da un altro piano ed intriso di una forte componente retorica e l’Unione europea ha preferito urlare l’accusa di anti-europeismo rivolta al governo ucraino piuttosto che ammettere che la Russia aveva vinto la “guerra degli aiuti”, proponendo un aiuto molto maggiore ed a condizioni molto più favorevole per Kiev di quanto fosse riuscita a fare nei due decenni precedenti Bruxelles.
Adesso che la Russia ha fatto chiaramente capire che difenderà i propri interessi in Crimea, lo scenario preoccupante per l’Unione europea che si apre è di una sostanziale divisione del paese in due componenti, una sorta di bad and good company – con la Unione europea a doversi accollare tutti i costi della parte più povera del paese, quella senza industria e poche risorse naturali, senza avere le reali possibilità di farsene carico.
Se la Russia aveva proposto ben 15 miliardi di dollari di aiuti alla Ucraina – una cifra ancora più importante se dovesse concentrarsi solo sulla good company ad Est del paese – l’Unione europea dovrebbe non soltanto trovare una cifra molto superiore per la parte Ovest del paese ma anche farsi carico dei vecchi considerevolissimi debiti che Kiev porterebbe in dote, circa 35 miliardi di dollari a cui si aggiungono circa altri 30 miliardi di crediti inesigibili.
Una prospettiva non percorribile nei tempi di crisi europea attuale, tanto più che l’Unione europea rimane sostanzialmente divisa sull’argomento, con una Germania dalle posizioni molto più caute e meno severe verso Mosca, tenuto in conto la fortissima osmosi di interessi commerciali tra i due paesi, nonché anche una abitudine reciproca a frequentarsi (non vi è paese europeo che conosca meglio i russi dei tedeschi).
Ecco perché, persa la guerra degli aiuti, all’Unione europea non resta che abbracciare la retorica di un europeismo di vecchio stampo ideologico, peraltro oramai insopportabile alla maggioranza delle stesse opinioni pubbliche occidentali, stanche delle burocrazie procedurali e costose di Bruxelles.
La contraddizione di questa forzatura diventa paradossale.
Mentre a Kiev la piazza protesta a favore di un’idea di Unione europea che purtroppo non esiste nella realtà, nei paesi dell’Unione eEuropea la gente scende volentieri in piazza contro le istituzioni esistenti dell’ Unione stessa, chiedendone a gran voce una riforma se non addirittura la cessazione e si prepara a votare in gran numero le forze politiche anti-europeiste alle prossime elezioni di maggio.
* Università del Salento
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