di Alessandro Campi

Qualcosa sta accadendo nella Lega. Non ci si riferisce alla lotta per la successione a Bossi aperta ormai da tempo. E nemmeno alla cronaca giudiziaria delle ultime settimane, che ha visto esponenti di primo piano della Lega coinvolti in accuse di corruzione.

Quel che sembra in atto è piuttosto un (lento) riposizionamento politico-strategico e ideologico del Carroccio, che ha a che vedere con la fine di un ciclo storico e con la necessità di percorrere strade nuove rispetto al passato.

All’apparenza, dopo la fine traumatica dell’alleanza con Berlusconi, la Lega sembrerebbe tornata alle origini. Ha riscoperto lo spirito di lotta anti-romano, rispolverato il suo tradizionale armamentario polemico (contro la partitocrazia, contro lo Stato oppressore, contro l’immigrazione) e scelto di rinchiudersi entro i suoi classici confini territoriali a nord del Po.

In realtà, ci sono segnali che lasciano intravedere trasformazioni nel profilo abituale del Carroccio. E non è un caso che essi provengano, accompagnati persino da accenti autocritici, proprio dalla componente che si sta candidando al dopo-Bossi in polemica nemmeno troppo velata con le scelte di quest’ultimo.

È il caso, ad esempio, delle recenti dichiarazioni del sindaco di Verona Flavio Tosi, che si è detto favorevole al voto amministrativo per gli stranieri comunitari. È il caso, ancora più significativo, di Roberto Maroni, che parlando giorni fa agli studenti dell’Università dell’Insubria ha ammesso che se la Lega Nord ha calcato la mano contro i meridionali e gli extracomunitari – sino ad attirarsi l’accusa di xenofobia e razzismo – lo ha fatto non perché ci credesse davvero ma perché l’argomento garantiva facili consensi. Al tempo stesso, ha riconosciuto che il federalismo etnico cavalcato dal suo partito sin dalle origini è stato, visto in prospettiva, un errore, dal momento che tra le popolazioni del Nord non esiste un legame linguistico o basato sul sangue. Ha infine definito esagerazioni – da lui politicamente non condivise – quelle dei “baluba” della Lega che si travestono da vichinghi, con corna e barba verde, ai raduni.

Per affermarsi sulla scena pubblica – questo sembrerebbe il ragionamento di Maroni – la Lega si è dovuta far notare, nel corso degli anni, con ogni mezzo possibile, anche esagerando. Il che è come ammettere che, volgendo alla fine una certa stagione, la Lega per continuare ad avere un ruolo deve cambiare i suoi connotati ideologici e la sua stessa immagine.

Ma cosa potrebbe essere il Carroccio guidato (eventualmente) da Maroni e dalla nuova generazione leghista che a lui fa capo? Sicuramente un partito più pragmatico e meno oltranzista. Esiste nella Lega una componente – quella degli amministratori locali – interessata al buon governo locale e alle politiche di alleanza più che ai proclami propagandistici, alla purezza ideologica e alla battaglie di civiltà contro nemici immaginari. Se Bossi predica la via dell’isolamento politico e dell’autosufficienza territoriale, nell’intervista concessa ieri a Libero Maroni si è detto invece disponibile ad una nuova alleanza di centrodestra con il Pdl guidato da Alfano nel segno del moderatismo.

Messe da parte le invettive contro terroni e immigrati, liquidato come residuale il folclore paganeggiante, riconosciuta l’inesistenza di un’etnia padana, anche le battaglie della Lega del domani potrebbero spostarsi su altri versanti: un federalismo inserito in una cornice nazional-statuale invece che il miraggio dell’indipendentismo; la lotta contro l’invadenza delle tecnostrutture (a partire da quella europea) nel nome della democrazia e della sovranità popolare; la difesa delle identità collettive, minacciate dalla globalizzazione, ma senza più accenti xenofobi o discriminatori. Ma nella Lega potrebbero cambiare anche lo stile politico-organizzativo, una volta venuto meno il tratto carismatico e autocratico che ha sin qui caratterizzato la guida del movimento, e il linguaggio pubblico, che nel caso di Maroni è sempre stato più misurato e istituzionale rispetto a quello spesso greve e insultante del fondatore.

Non resta che attendere l’esito della battaglia interna per vedere quanto siano reali questi sintomi di cambiamento.

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