di Antonio Capitano
E’ domenica mattina, il giorno delle elezioni. Mi alzo presto e vado a prendere il giornale. Alcuni scrutatori sono già davanti al seggio. Aspettano. Come tutti gli italiani. Questo voto lo commenteremo ad urne chiuse, ma gli effetti li possiamo già intuire prima. Rifletto con attenzione su un articolo del giorno prima (http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=1SUJWG) . La firma è di Giorgio Ruffolo e Stefano Sylos Labini sempre coerenti nel proporre una “nuova” Europa, solidale tema peraltro assente dai fiumi di parole che hanno preceduto questa tornata elettorale. Con dovizia di particolari, ma con efficace sintesi, affermano che “In Italia è la prima volta che circa la metà della popolazione si trova su posizioni antieuropee e che occorre perciò cambiare strada per salvare il progetto della moneta unica e per rilanciare un’Europa integrata e solidale che sia in grado di garantire benessere e giustizia sociale.
Benessere e Giustizia sociale. Termini di grande significato. Di quel sogno europeo purtroppo infranto dal comportamento ben diverso di coloro che hanno ereditato un modello di riferimento nobile, pensato come un concetto di unione, che avrebbe dovuto garantire prosperità agli stati aderenti e che oggi arrancano di fronte a lacerazioni interne amplificate da una crisi che sta annodando idee e soluzioni.
Ecco perché l’articolo che si commenta vuole trovare una strada per uscire dalla palude della confusione e inconcludenza di una concreta politica economica; Ruffolo e Sylos labini sul punto suggeriscono quattro percorsi risolutivi:
1. La modifica dello statuto della Banca centrale europea che permetta in modo automatico l’acquisto dei titoli pubblici dei paesi in difficoltà, e che consenta anche di intervenire sul mercato delle valute.
2. L’aggregazione dei debiti dei paesi europei per proteggere gli stati in difficoltà dagli attacchi della speculazione finanziaria e per porre fine alla concorrenza distruttiva che avvantaggia le aree forti e penalizza quelle meno competitive.
3. L’abolizione del fiscal compact che sancisce l’obbligo del pareggio di bilancio e, inoltre, il lancio degli Eurobond per finanziare un grande piano per la crescita e l’occupazione. Bene fanno i due autori a rammentare che il fiscal compact è un trattato di diritto internazionale che si trova in contrasto con il Trattato di Lisbona del 2009, il quale recepisce alla lettera il Trattato di Maastricht e consente di raggiungere un rapporto tra deficit e Pil pari al 3%. Per questo motivo, al fine di garantire l’applicazione del fiscal compact, è stata necessaria una frettolosa modifica della Costituzione, in Italia come in altri paesi europei. Ma in tal modo non sarà possibile attuare quelle politiche economiche espansive che oggi sono necessarie per avviare un nuovo ciclo di crescita e per poter risanare le finanze pubbliche.
4. La creazione di quattro dipartimenti centrali del Tesoro, della Difesa, degli Affari Esteri e della Giustizia, sull’esempio di quanto fu fatto nella Federazione Americana alla fine del 1700.
Altro problema sta nel fatto di abituare gli stati a cedere sovranità, con il guaio che purtroppo ancora non si capisce se c’e’ coscienza di questa nuova sovranità europea, ovvero se è vera sovranità o se è invece ossequio ad altre potenze finanziarie. Nel frattempo Londra perde la tripla A per l’eccessiva austerity segno evidente che la politica del rigore ha fallito la sua missione se ve ne era una. E ciò ha generato il noto peggioramento delle condizioni di vita dei cittadini sacrificati in nome del rispetto dei parametri di finanza pubblica con la nota forzatura in sede europea. Ecco perché è pienamente condivisibile la chiusura di Ruffolo e Sylos Labini: “Se l’Europa non cambia strada e non esce dalla paralisi che la attanaglia, sarà molto difficile che possa sopravvivere sia alle tensioni interne – oggi la disoccupazione ha superato il 25% in Grecia e in Spagna e continua ad aumentare negli altri paesi – sia agli attacchi della speculazione finanziaria, sia al paradosso di una moneta che si sta rafforzando mentre l’economia non accenna a migliorare”.
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