di Alessandro Campi

untitledC’è un equivoco che circola nel dibattito pubblico italiano e che andrebbe al più presto dissipato. Fare politica nell’era digitale non significa comporre tweet in modo compulsivo, pubblicare sul proprio blog messaggi ai militanti e insulti agli avversari, mettere in rete un autoritratto fotografico o promuovere ogni tanto qualche sgangherata consultazione in rete sul tema del giorno con l’idea di scavalcare il Parlamento o di creare una qualche forma di democrazia diretta.

Questo è l’utilizzo grossolano e goliardico delle nuove tecnologie che può permettersi solo una classe politica ancora convinta, in cuor suo, che i sondaggi siano una diavoleria americana, che il marketing applicato alla politica rappresenti una perdita di tempo, che per comunicare bene basti avere molti amici tra i giornalisti e che per raccogliere i voti l’istinto del politico di razza sia più utile del lavoro di mille consulenti.

Nelle altre democrazie le cose vanno diversamente. A partire da quella americana, dalla quale i leader nostrani hanno ancora molto a imparare. Come dimostra il volume appena uscito La lezione di Obama. Come vincere le elezioni nell’era della politica 2.0 (Baldini & Castoldi, pp. 120, euro 14,90) scritto da Stefano Lucchini e Raffaello Matarazzo: il primo responsabile Relazioni istituzionali e comunicazione di Eni, con una vasta esperienza negli Usa, il secondo analista di politica internazionale e docente nell’Università di Perugia.

La campagna elettorale per le Presidenziali del 2012, che hanno trionfalmente riportato Obama alla Casa Bianca, ha rappresentato un caso di scuola proprio per l’uso massiccio e scientifico che entrambi i contendenti hanno fatto della rete (in particolare dei social network) e di tutti gli strumenti dell’odierna comunicazione digitale (a partire dagli smartfone). Per reperire finanziamenti e per mobilitare i propri sostenitori, ma soprattutto per veicolare messaggi e slogan quanto più possibile personalizzati in funzione dei diversi segmenti di elettorato. Alla fine ha vinto chi – appunto Obama – è riuscito a convincere non la maggioranza generica dei votanti, ma le componenti più dinamiche e organizzate della società: giovani, professionisti, donne, minoranze etniche.

Il volume di Lucchini e Matarazzo è una miniera di informazioni, cifre, tabelle e notizie: relativamente alla raccolta fondi dei due candidati o al modo con cui si sono distribuiti i consensi dei diversi Stati durante le primarie e le presidenziali. Ma soprattutto illustra con chiarezza la complesse e sofisticate strategie adottate dai democratici e dai repubblicani per portare i cittadini al voti, dopo averne studiato la composizione sociale, la distribuzione sul territorio, gli orientamenti e gli umori. Per fare ciò è stato necessario accumulare, organizzare e incrociare milioni di dati digitali, grazie al lavoro di agguerriti team composti, in gran parte, da giovani maghi di internet. Questi dati sono poi stati utilizzati come base per una comunicazione elettorale che ha avuto al centro i temi del lavoro (occupazione, tasse, rilancio produttivo) ma anche quelli etici (aborto, fine vita, matrimoni omosessuali) e cha ha utilizzato tutti i muovi strumenti messi a disposizione dalla tecnologia e dalla rete: Facebook, Twitter, You Tube, cellulari, email, tv via cavo, smartphone, tablet, ecc. Ma la lezione vera della campagna americana, spiegano bene gli autori, non è stato quest’utilizzo massiccio delle nuove tecnologie digitali. Quanto il modo intelligente con cui sono state impiegate: non solo per comunicare in modo più diretto e incisivo, ma soprattutto per conoscere meglio la struttura della società americana dal punto di vista culturale, politico e demografico. La rete, per i politici che sappiano utilizzarla, è una fonte preziosa di informazioni e di conoscenze, non è lo spazio virtuale al quale affidare quotidianamente i propri pensieri. Non sostituisce la democrazia rappresentativa, serve a farla funzionare meglio. Non mortifica la politica in nome del populismo, ma la valorizza come fattore di coesione e indispensabile strumento di governo di qualunque collettività.

 

Lascia un commento

Your email address will not be published. Required fields are marked (required)