di Arturo Varvelli*
È molto difficile dire se l’assalto all’Ambasciata statunitense del 12 settembre rappresenti il primo passo del paese sull’orlo dell’abisso. L’uccisione a Bengasi di 4 funzionari statunitensi, compreso l’ambasciatore Chris Stevens, è certamente un evento inaspettato per la sua drammaticità, perché mette in luce le enormi proporzioni della minaccia terroristica, e per le sue conseguenze politiche.
Nel marzo 2011, un anno e mezzo fa, una piazza traboccante di giovani bengasini accoglieva con cori festanti la troupe della CNN. Bengasi e i rivoltosi entravano nel corso della storia dopo 42 anni di oblio. Erano al centro della Primavera araba ed esultavano per l’attenzione che il network americano dedicava loro.
L’allora inviato statunitense Chris Stevens si era prodigato per stabilire contatti e legami con i ribelli e poi aveva incoraggiato il proprio paese a supportarli. La sua azione diplomatica in Libia gli era valsa, all’inizio dell’anno, la nomina di ambasciatore a Tripoli e il 22 maggio era stato accreditato. Pensare oggi alla sua uccisione per mano libica appare razionalmente incomprensibile. A questo orribile fatto si può trovare solo una spiegazione: la Libia è un paese diviso e senza alcuno Stato di diritto, un paese in cui gruppi di facinorosi, in circostanze ancora da chiarire, possono comportare una seria minaccia. La sicurezza è in mano a bande che vengono “tollerate” dall’autorità centrale, talvolta blandite, talvolta onorate nel tentativo (fallito) di integrarle all’interno di un esercito nazionale. Alcune di queste bande hanno chiari orientamenti estremisti. E nell’instabilità l’estremismo prolifera. È improbabile che questa azione costituisca una diretta vendetta dell’uccisione di Abu Yahya al-Libi.
Sul fronte dell’islam radicale c’è chi ricorda la lunga tradizione della jihad in Cirenaica. È importante però non invertire il nesso di causa-effetto: l’islamismo radicale in Libia è stato alimentato soprattutto dall’oppressione del regime. Per buona parte dei libici, l’unico modo di dissentire da Gheddafi era quello di aderire o appoggiare Al Qaeda. I libici sono stati per anni il secondo maggior gruppo, dopo i sauditi, a combattere sui fronti iracheno e afghano. Sono in particolare città come Derna, in Cirenaica, ad aver alimentato il fronte qaedista. Per esempio, proprio il numero due dell’organizzazione, Abu Yahya al-Libi, era appunto libico ed è stato ucciso da un attacco di droni americani a inizio giugno 2012. Nato nel 1963, era considerato dagli Stati Uniti l’uomo più importante dopo Ayman al-Zawahiri, che dalla morte di Osama bin Laden guida l’organizzazione terroristica. Al-Libi non è stato mai descritto come un grande combattente, ma piuttosto come un ottimo organizzatore e propagandista. Si dice che abbia cominciato la sua carriera terroristica negli anni Novanta, quando si è trasferito in Afghanistan. Nel 2002 è stato arrestato dalle forze americane a Bagram, ma dopo soli tre anni riuscì a fuggire facendo perdere le sue tracce.
Alcuni “allievi” di Abu Yahya al-Libi sono attivi in Libia anche oggi. Sufian bin Qumu, per esempio, che ha lavorato anche a contatto con Osama bin Laden, prima di essere catturato dagli americani e detenuto a Guantánamo per sei anni, guida una milizia nella zona di Derna che sfoggia la bandiera nera di Al Qaeda ed è stata accusata di violenze. Qumu ha apertamente dichiarato che non intende deporre le armi finché in Libia non sarà instaurato un governo di tipo islamico-talebano. Sempre a Derna e in Cirenaica sono attive formazioni salafite, come il gruppo Ansar al-Sharia, che si rifiutano di riconoscere la legittimità dell’autorità centrale. Bisognerà indagare le responsabilità dell’attacco all’interno di questi gruppi.
Le avvisaglie di un atto del genere c’erano quindi tutte, anche se nessuno si sarebbe mai aspettato una tragedia tale, così gravida di conseguenze. Le elezioni di luglio, che hanno avuto un buon esito, hanno fatto probabilmente abbassare la guardia. I problemi, tuttavia, come abbiamo già evidenziato in altri articoli e come mettiamo in luce nel nuovo ebook, da oggi disponibile online, Dopo Gheddafi – Democrazia e petrolio nella nuova Libia, rimangono tutti. Il mese di agosto lo aveva chiaramente dimostrato: si sono registrati attacchi di gruppi salafiti agli “eretici” sufi, con la distruzione di diversi santuari; oltre ad attentati a istituzioni libiche addebitati, forse troppo frettolosamente, a ex gheddafiani.
Questi, foraggiati probabilmente dall’estero tramite i membri della famiglia del Rais, rappresentano una minaccia alla stabilità del paese e un ostacolo verso una piena pacificazione. Le loro rappresaglie hanno già avuto conseguenze politiche. Proprio a causa della recrudescenza delle violenze nel paese, il ministro dell’Interno libico, Fawzi Abdelali, aveva presentato a fine agosto le sue dimissioni, per protestare contro le critiche all’inefficacia delle misure di sicurezza, dichiarando poi che l’obiettivo di mettere in sicurezza il paese era al di fuori della sua portata.
Anche se improbabile, alcune fonti di intelligence accreditano uno scenario alquanto preoccupante che vedrebbe una convergenza tattica dei salafiti con i gruppi di ex gheddafiani nel nome della lotta all’attuale transizione politica. Le risorse e le amicizie internazionali della famiglia Gheddafi non vanno sottovalutate, in particolare i legami che ancora può vantare Saadi Gheddafi, il figlio ex calciatore di Muammar, ora in Niger.
Insomma, se il paese rimanesse così instabile, anche l’influenza islamica radicale, guidata dagli elementi più pericolosi, si potrebbe rafforzare ancora. Gli attentati di maggio e giugno 2012 ai danni della Croce Rossa e dei consolati britannico e statunitense a Bengasi costituivano un chiaro avvertimento che è stato sottovalutato. Le azioni terroristiche da parte dei gruppi radicali stanno decisamente aumentando, sia in quantità che in qualità. Nel mix sempre più pericoloso di terrorismo, immigrazione illegale e traffico di droga e armi (20.000 missili portatili antiaereo sarebbero ancora nelle mani delle milizie), derivante dal fallimento del controllo delle frontiere, potrebbero trovare terreno fertile le organizzazioni criminali e terroristiche. Difficile pensare che l’assalto al consolato usa non sia stato premeditato e che la sua motivazione non sia pretestuosa.
Una vasta coalizione internazionale ha abbattuto il regime di Gheddafi e poi ha fatto finta che i libici potessero farcela da soli. Gli Stati Uniti si sono mantenuti defilati. Sembrava una strategia vincente, ma ora per Obama il “leading from behind” potrebbe diventare molto difficile da difendere davanti agli attacchi dei repubblicani. Senza rievocare la crisi degli ostaggi all’ambasciata americana di Teheran che mise in ginocchio l’amministrazione Carter, questa vicenda sarà certamente rilevante per la campagna elettorale. Obama ha prontamente reagito con la decisione di rimpatriare il personale americano e l’invio di un primo contingente di 50 marines specializzati nell’antiterrorismo ai quali, secondo una fonte del Pentagono, potrebbero aggiungersene altri fino a un totale di 200 militari.
Se vi erano dubbi sulla capacità della Libia di risolvere da sé i suoi problemi e incamminarsi da sola sulla strada della democrazia e della riappacificazione, oggi ce ne sono ancora di più. Lo stesso giorno dell’attentato, in questa cupa atmosfera, il parlamento libico ha nominato Mustafa A.G. Abu Shakour, ex vice primo ministro del governo provvisorio, nuovo primo ministro. Il parlamento lo ha preferito di misura a Mahmud Jibril, che ha guidato l’alleanza di partiti che ha avuto il maggiore consenso alle elezioni di luglio. Abu Shakour, storico oppositore di Gheddafi, a lungo in esilio negli usa, ha raccolto consensi trasversali. Toccherà a lui prendere in mano il paese, ma senza un forte aiuto da parte della comunità internazionale, si prevedono tempi difficili.
* Ricercatore ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) e autore di due saggi sulla Libia: L’Italia e l’ascesa di Gheddafi (BCDalai ed., 2009); e Libia: fine o rinascita di una nazione? (Donzelli ed., 2012). È, altresì, autore, per la collana One Euro (Fazi Editore), dell’ebook Dopo Gheddafi: Democrazia e Petrolio nella nuova Libia. Il presente articolo è apparso sul blog di Elido Fazi One Euro
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