di Chiara Moroni L’elezione a Presidente della Repubblica di Giorgio Napolitano è l’ennesima sconfitta della politica italiana incarnata da partiti e movimenti che non intendono assumere le responsabilità politiche ed istituzionali che pure hanno implicitamente accettato chiedendo il voto agli elettori. Il sistema politico ha ancora una volta dimostrato di non essere in grado di affrontare efficacemente le difficoltà politiche e sociali che la crisi nazionale gli prospetta, ed ecco che si assiste oggi all’ennesimo disperato atto di delega di responsabilità: i nostri rappresentanti in Parlamento, dilaniati da divisioni interne e di fazione, stremati dall’incapacità di conciliare e coagulare in nome di un interesse generale che ha ormai perso qualunque forza ideale, sono ricorsi, ancora, ad un escamotage istituzionale. Dopo l’abdicazione a un governo tecnico che prendesse le decisioni più difficili in senso economico e sociale; dopo il triste spettacolo che la politica ha saputo dare di sé all’indomani delle elezioni, bloccata da una legge elettorale che tutti apparentemente biasimano ma che nessuno ha fin qui inteso modificare; ecco i leader delle principali forze politiche recarsi da un Presidente al termine del suo settennato per chiedere, ancora, aiuto.

Giorgio Napolitano appartiene ad una generazione di uomini politici che – al netto delle grandi responsabilità per la costruzione di un sistema che ha mostrato tutti i suoi limiti alla fine della prima Repubblica – ritengono le istituzioni, il mandato di rappresentanza e il principio della delega di responsabilità incarnato dalla democrazia, degne di rispetto e di abnegazione. Sulla base di queste sue radicate convinzioni Napolitano ha accettato di assumere, nei limiti dettati dalla Costituzione, il compito di sbloccare la situazione, di riavviare i naturali percorsi istituzionali di formazione di un governo, facendosi garante dell’unica strada possibile, che aveva, nelle settimane precedenti, più volte auspicato e indicato ai leader politici: un governo di larghe intese che operasse in nome dell’interesse di questo Paese e sulla base, non dell’annullamento delle differenze politiche, ma sull’armonizzazione difficile quanto indispensabile delle posizioni e dei “mandati” che i politici ritengono di aver ricevuto dai propri elettori.

Il Presidente ha assunto questo nuovo compito con la fretta e la semplicità procedurale che la situazione impone, iniziando la sua azione di rivitalizzazione del Parlamento con un discorso di insediamento duro nel biasimo che ha rivolto con chiarezza a quello che la politica è diventata negli ultimi anni, a partire dalla consapevolezza che la sua rielezione derivi da “quanto è accaduto qui nei giorni scorsi ha rappresentato il punto di arrivo di una lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità”.

Ricorda il Presidente come, a fronte di esigenze pressanti di riforma delle istituzioni e di rinnovamento della politica e dei partiti, il Parlamento non abbia saputo dare risposte: “hanno finito per prevalere contrapposizioni, lentezze, esitazioni circa le scelte da compiere, calcoli di convenienza, tatticismi e strumentalismi”.

Il discorso di insediamento è incentrato sul rimprovero esplicito per la passività e l’incapacità delle forze politiche di farsi promotrici di un rinnovamento generale, istituzionale, politico e sociale, rinnovamento che deve essere capace di superare le faziosità, le divisioni, i personalismi e i tatticismi di breve periodo. Napolitano richiama “gli onorevoli deputati e senatori” a recuperare il senso profondo dell’istituto della rappresentanza tornando a sentire “di far parte dell’istituzione parlamentare non come esponenti di una fazione ma come depositari della volontà popolare”.

Sulla base della situazione nazionale e internazionale, date le difficoltà interne del Parlamento diviso e bloccato, non si può che tornare al dato numerico che unico può legittimare le scelte politiche future. E i numeri dicono con chiarezza che in questo momento in Parlamento non c’è coalizione o singolo partito che abbia la forza sufficiente per poter governare solo con le sue forze.

Afferma Napolitano: “Essi (i numeri) indicano tassativamente la necessità di intese tra forze diverse per far nascere e per far vivere un governo oggi in Italia, non trascurando, su un altro piano, l’esigenza di intese più ampie, e cioè anche tra maggioranza e opposizione, per dare soluzioni condivise a problemi di comune responsabilità istituzionale. D’altronde, non c’è oggi in Europa nessun paese di consolidata tradizione democratica governato da un solo partito – nemmeno più il Regno Unito – operando dovunque governi formati o almeno sostenuti da più partiti, tra loro affini o abitualmente distanti e perfino aspramente concorrenti”.

Soluzioni condivise a problemi di comune responsabilità nazionale, ecco la formula con la quale il Presidente riporta l’attenzione degli eletti alle proprie responsabilità che devono andare oltre le appartenenze faziose a gruppi e sottogruppi. I cittadini hanno votato senza alcun dubbio nella speranza – ma dovrebbe essere assicurata loro la certezza – che i propri rappresentanti si sarebbero mobilitati per dare all’Italia un governo capace di risolvere almeno alcuni dei problemi pressanti che stanno soffocando ogni forma vitale nella società e nel tessuto economico, a prescindere dalle preclusioni di parte, ai contrasti personalistici, al diniego di legittimità nei confronti dell’avversario. Il Presidente ci ricorda che nel nostro Paese, a differenza di tutte le altre democrazie occidentali, si è diffusa l’accezione più negativa dei concetti di mediazione e compromesso, di armonizzazione degli interessi e di intese politiche che sono, al contrario, i principi fondanti della democrazia e dell’azione politica. “(Questo) è segno di una regressione, di un diffondersi dell’idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze politiche. O forse tutto questo è più concretamente il riflesso di un paio di decenni di contrapposizione – fino allo smarrimento dell’idea stessa di convivenza civile – come non mai faziosa e aggressiva, di totale incomunicabilità tra schieramenti politici concorrenti”.

Nel discorso di insediamento del presidente della Repubblica si legge tutto il biasimo per una politica e un sistema parlamentare che hanno perso la giusta misura dei propri doveri e delle proprie responsabilità, chiusi in un’azione di sterile autoreferenzialità che si concretizza come il colpo di grazia alla già morente democrazia italiana.

Ma la reazione delle forze politiche che hanno ascoltato e molto applaudito il discorso di Napolitano è stata tristemente deludente. Più quello li colpevolizzava e ne sottolineava limiti politici e nefandezze istituzionali, più questi applaudivano e asserivano convinti dell’eccellente bontà delle parole che andavano udendo, certi che più forte fosse stato l’applauso più convincente sarebbe stata la sensazione che certo quelle parole di biasimo fossero indirizzate all’avversario. Di nuovo tutte le forze in campo hanno gareggiato nello scaricare responsabilità e nel negare le proprie colpe e la propria cecità politica.

Date le premesse, riuscirà questo Presidente a riportare il buon senso tra i rappresentati politici, convincendoli che c’è qualcosa di più importante delle meschine beghe di potere e dei presunti mandati di esclusione? Riuscirà, in sostanza, a riportare l’attenzione degli onorevoli deputati e senatori su un concetto tanto antico quanto fondante della democrazia, vale a dire l’interesse generale e il perseguimento del benessere pubblico?

Ce lo auguriamo, per l’Italia, per noi stessi, per i nostri figli.

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