di Federico Donelli
Il governo turco presieduto dal Primo Ministro Recep Tayyip Erdoğan è nelle ultime settimane giunto ad uno snodo decisivo per la possibile e definitiva soluzione della delicata questione curda. Da almeno un mese procedono i negoziati segreti tra i delegati del governo turco – soprattutto membri dei servizi segreti (MIT) tra cui il Sottosegretario Hakan Fidan – e il leader del PKK Abdullah Öcalan detenuto dal 1999 nella prigione dell’isola İmralı. Durante gli stessi giorni altri membri del MIT si sono recati a Kandil nel nord dell’Iraq, da tempo base operativa del PKK, dove hanno incontrato alcuni dei principali esponenti dei combattenti curdi per sondarne la disponibilità ad iniziare nuovi negoziati. Nonostante il massimo riserbo sulle trattative andate avanti incessantemente negli ultimi giorni, iniziano a trapelare alcuni dettagli da cui si evince come il governo turco e il leader del PKK abbiano raggiunto un accordo preliminare per il definitivo cessate il fuoco, che consisterebbe in quattro diverse e progressive fasi andando così a delineare una vera e propria “Road Map” che dovrà condurre alla definitiva pace tra i combattenti curdi ed Ankara. Dovrebbero essere, il condizionale è ancora d’obbligo, quattro le fasi della Road Map: inizialmente il governo turco provvederà al rilascio dei prigionieri politici accusati in questi anni di collaborare con il PKK; successivamente vi sarà una sorta di amnistia per molti dei comandanti del PKK, diversi dei quali rifugiati a Kandil, ai quali sarà concesso di rientrare in Turchia; parallelamente all’avanzamento di queste due fasi verranno incrementati i lavori per includere nella riforma costituzionale, da tempo nell’agenda di Erdoğan, la rimozione degli ostacoli e divieti all’insegnamento in lingua curda e per istituire nella futura carta costituzionale una nuova definizione di cittadinanza turca dal carattere etnicamente neutro; infine, tutti i combattenti curdi del PKK dovranno ritirarsi dal territorio turco ed aprire negoziati per la definitiva deposizione delle armi sotto la supervisione di una forza di pace composta da membri del MIT e rappresentanti dei partiti politici compresi quelli curdi.
I negoziati sono ripresi a dicembre, dopo un lungo stop deciso dal governo turco a seguito di un violento attacco del PKK nel 2011, grazie soprattutto alle aperture dello stesso Öcalan, intervenuto in novembre per invitare un centinaio di prigionieri curdi, detenuti nelle carceri turche, ad interrompere un lungo sciopero della fame.
Öcalan pare abbia ribadito come da parte della comunità curda non vi sia alcuna volontà né tanto meno celata ambizione di perseguire una futura indipendenza politica, elemento questo molto sentito politicamente e psicologicamente dalla popolazione turca ancora segnata dal timore dello smembramento post I Guerra Mondiale, la così detta Sindrome di Sèvres. Öcalan ha ribadito come la volontà del popolo curdo sia quella di continuare a far parte di una “grande” Turchia, vedendo però allo stesso tempo riconosciuti i propri diritti in quanto minoranza, diritti a cui dovrà inevitabilmente fare seguito l’instaurazione di una maggiore autonomia amministrativa dei governi locali nelle province a maggioranza curda.
Il leader del PKK ha inoltre offerto il proprio appoggio nella soluzione della questione siriana, dove alcuni membri del PKK hanno dato vita al gruppo curdo armato Unione Democratica la cui posizione fino a questo momento è stata più in appoggio al regime di al-Assad – ovviamente in ottica anti turca – che alle forze dei ribelli.
Il recente omicidio di tre attivisti curdi residenti in Francia potrebbe rallentare ma non interrompere l’attuazione della Road Map turca; a riguardo bisogna sottolineare come comunque continuino ad esserci, sia tra i curdi che tra i servizi segreti turchi, gruppi contrari alla stipulazione di un qualsiasi accordo di compromesso. Probabile quindi che le esecuzioni rientrino o in un regolamento di conti interno oppure nel tentativo di compromettere nuovamente, come già accaduto nel 2010, i negoziati. Questo quadro, per quanto sia ancora non ufficiale delinea comunque quello che potrebbe diventare un altro grande successo del Primo Ministro Erdoğan e del suo partito AKP. La soluzione della questione curda consentirebbe alla Turchia di raggiungere una maggiore stabilità interna, eliminando così eventuali ostacoli alla propria crescita in termini economici e geopolitici ed al tempo stesso diventerebbe un tassello determinante per l’ormai imminente riforma costituzionale, proiettando definitivamente la Turchia e il suo leader in una nuova era post-Kemalista.