di Emanuele Schibotto*

Dall’inizio degli anni Novanta la questione coreana si rivela un rebus senza soluzione. Gli Stati Uniti hanno guidato finora i tentativi – infruttuosi – di mediazione con la Corea del Nord. La Russia, per ragioni di carattere geopolitico, appare intenzionata ad entrare nella questione usando la leva energetica.

Dal Dopoguerra in avanti ogni presidente americano si è occupato del dossier coreano. Fino al 1990 la penisola coreana rientrava nel più ampio quadro strategico della Guerra fredda; era in sostanza uno dei possibili teatri di confronto – Pyongyang satellite sovietico, Seoul sotto l’influenza statunitense – attraverso il quale le due superpotenze contrapponevo la loro forza (le cosiddette “guerre per procura”). Con l’implosione dell’impero sovietico è diminuito il pericolo derivante dalla “minaccia comunista” ma nel contempo è sorta una nuova minaccia – quest’ultima più concreta – derivante dall’avanzamento del programma nucleare militare intrapreso dal regime nordcoreano.

Nel corso degli ultimi vent’anni gli Stati Uniti hanno dimostrato di essere una potenza asiatica anche attraverso la leadership nella questione coreana: dall’accordo bilaterale del 1994 (il cosiddetto Agreed Framework, poi saltato), all’iniziativa del Gruppo dei Sei, alle risoluzioni concernenti licenziate dal Consiglio di Sicurezza (dalla risoluzione n. 825 del 1993 alla recente n. 1928 del 2010), la questione coreana è rientrata in maniera puntuale tra i temi prioritari della politica estera statunitense. Tuttavia, ad oggi la strategia adottata da Washington è stata inconcludente: la Corea del Nord ha ritirato la propria adesione dal Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP); prosegue indisturbata il programma nucleare (si ritiene che Pyongyang sia in grado di produrre almeno 4 bombe atomiche; è ancora lontana invece nella costruzione di vettori nucleari funzionanti); è protagonista del traffico illegale internazionale di tecnologia nucleare. Gli Stati Uniti (e con loro la Corea del Sud) si trovano di fronte ad una impasse.

A seguito della dissoluzione dell’Unione Sovietica, Pyongyang ha perso l’alleato di riferimento e si è giocoforza rivolta verso Pechino: il susseguirsi di problemi interni nel corso degli anni Novanta (movimenti separatisti; crisi finanziaria) hanno portato Mosca a disinteressarsi del quadrante asiatico. Gli interessi economici e l’impasse statunitense sembrano aver convinto i russi a giocare un ruolo di attore primario nella questione (la Russia già è presente nel Gruppo dei Sei – composto da USA, Cina, Giappone, Russia e le due Coree). Per operare come mediatore di riferimento serve credibilità, ed in questo senso Mosca risulterebbe senz’altro un partner credibile per entrambe le Coree.

Da un lato, gli Stati Uniti sono considerati “imperialisti aggressori” dalla propaganda ufficiale di Pyongyang; hanno in essere alleanze militari operative con la Corea del Sud e con il Giappone, dove mantengono di stanza rispettivamente 28.000 e 35.000 soldati; escludono l’avvio di negoziati bilaterali – richiesta avanzata da Pyongyang. Dall’altro, la Cina è l’alleato di riferimento di Pyongyang e viene considerata una minaccia militare dall’elite sudcoreana filoamericana ora al potere. Oltre a ciò, il comportamento incerto mostrato da Pechino a seguito dell’affondamento della corvetta sudcoreana Cheonan nel marzo del 2010  (l’ONU ha avallato le responsabilità della Corea del Nord nell’incidente, sostenute da Seoul) le ha tolto credibilità sia sopra che sotto il 38mo parallelo. Infine, il Giappone sconta vari problemi con entrambi i Paesi: dalla controversia con Pyongyang legata al rapimento di cittadini giapponesi alla disputa territoriale riguardante le isole Dokdo/Takeshima intavolata con Seoul – senza dimenticare gli importanti riflessi storici connessi all’occupazione giapponese della penisola coreana (durata dal 1910 alla fine della Seconda guerra mondiale).

La Russia intrattiene normali relazioni diplomatiche con entrambe le Coree; non ha dispute diplomatiche aperte; ha intrapreso una politica basata sull’equidistanza. Mosca rifornisce il regime nordcoreano di tecnologia nucleare e allo stesso tempo intrattiene buoni rapporti commerciali con Seoul (nel 2009 l’interscambio commerciale superava i 18 miliardi di dollari).

L’interesse russo nei confronti della questione coreana rientra nel quadro di attuazione della strategia energetica nazionale. Al fine di aumentare i mercati di sbocco per le proprie esportazioni di idrocarburi, diminuendo così la dipendenza verso i consumatori europei, il Cremlino sta lavorando da molto tempo – dai primi anni del 2000 – alla realizzazione di un gasdotto transcoreano: trasporterebbe il gas naturale russo – fino a 10 miliardi di metri cubi all’anno – dalla Siberia alla Corea del Sud attraverso il territorio nordcoreano.

Il gasdotto risulterebbe il più importante progetto economico transcoreano mai realizzato dalla Seconda guerra mondiale e consentirebbe a Mosca di aumentare la propria influenza nella regione. Ciò significherebbe, ad esempio, poter aspirare al sostegno delle due Coree nella controversia che la Russia intrattiene con il Giappone relativa alla sovranità delle isole Kurili (i “territori settentrionali” per i giapponesi) ma anche poter ampliare le relazioni economico-commerciale con la Corea del Sud (già la quarta economia asiatica ed uno dei Paesi con il più alto livello di innovazione tecnologica del mondo, partner per questo importante ai fini dell’opera di modernizzazione avviata in Russia) e vedersi ripagati gli 11 miliardi di dollari di prestiti elargiti a Pyongyang in epoca sovietica e ancora insoluti.

Durante la visita ufficiale in Russia compiuta lo scorso agosto, Kim Jong-il ha acconsentito all’istituzione di una commissione bilaterale per lo studio del progetto. Fiaccato da una perenne crisi economica interna, il regime nordcoreano incasserebbe dal progetto 100 milioni di dollari annui relativi ai diritti di transito. Un rafforzamento dei rapporti con Mosca permetterebbe inoltre al Paese di diminuire in maniera graduale la posizione di (pressoché) totale dipendenza economica dalla Cina.

Seoul, tradizionalmente deficitaria di una strategia univoca e durevole nei confronti del vicino settentrionale, considera i gasdotto lo strumento per riprendere le fila dei negoziati – attraverso la mediazione russa. Qualora il progetto prendesse vita si tratterebbe di un successo personale per il Presidente Lee Myung-bak, il quale si è impegnato in prima persona nell’iniziativa.

Per quanto Mosca investa risorse diplomatiche ed economiche (posto che Stati Uniti e Cina accettino di buon grado il maggior coinvolgimento russo) e goda di credibilità da ambo le parti, la questione coreana è e rimane governata anzitutto da due variabili indipendenti: l’elevato grado di incertezza che contraddistingue le relazioni intercoreane e la situazione interna al regime nordcoreano, dove è in corso una problematica successione ai vertici del potere. Non vi sono quindi garanzie tali da affermare che la Russia possa riuscire laddove gli Stati Uniti hanno fallito (la Cina non si è realmente esposta in qualità di negoziatore). Ciononostante, la mediazione russa, benché dettata dal perseguimento di interessi nazionali, è da accogliere positivamente. La questione coreana è il problema, la fonte principale di instabilità regionale; una sua soluzione pacifica gioverebbe grandemente allo sviluppo tanto economico quanto politico dell’Asia Orientale.

*Phd candidate in Geopolitica economica presso l’Università Guglielmo Marconi e Coordinatore Editoriale della rivista online di Geopolitica e Relazioni Internazionali Equilibri.net