di Alessandro Campi
Come era prevedibile, non è solo l’opposizione a premere su Salvini perché chiarisca la vera natura dei suoi rapporti con Gianluca Savoini, e attraverso quest’ultimo e la sua rete associativa con la Russia putinista. Anche il M5S sta cercando di sfruttare a proprio vantaggio l’intera vicenda, vista come una riedizione in grande stile del caso Siri: il sottosegretario leghista alle infrastrutture revocato nei mesi scorsi dal suo incarico per un’accusa di corruzione.
di Alessandro Campi

Come era prevedibile, non è solo l’opposizione a premere su Salvini perché chiarisca la vera natura dei suoi rapporti con Gianluca Savoini, e attraverso quest’ultimo e la sua rete associativa con la Russia putinista. Anche il M5S sta cercando di sfruttare a proprio vantaggio l’intera vicenda, vista come una riedizione in grande stile del caso Siri: il sottosegretario leghista alle infrastrutture revocato nei mesi scorsi dal suo incarico per un’accusa di corruzione. Non riuscendo a collaborare lealmente e proficuamente, i due alleati al governo provano a indebolirsi reciprocamente sfruttando ogni occasione. E questa, per i grillini che da mesi perdono consensi e sono sull’orlo di una crisi di nervi, è oggettivamente ghiotta.

D’altro canto le ombre di collusione e affarismo gettate dai media (e ora da un’inchiesta della magistratura) sul mondo leghista, anche se in simili faccende non si capisce mai bene dove finisca il giornalismo d’inchiesta e dove comincino i depistaggi dei servizi segreti e le false notizie spacciate per vere in buona o cattiva fede, sono da prendere molto sul serio. Sono tutt’altro che le burlette o i litigi da cortile cui la politica nostrana ci ha abituati. C’è di mezzo l’insinuazione – ancora tutta da provare – che un partito che si presenta come difensore supremo degli interessi nazionali italiani abbia, in cambio di danaro contante e di promesse di laute commesse, assecondato gli interessi di uno Stato straniero: per chi chiede a gran voce indipendenza politica per il proprio Paese da Bruxelles, Berlino e Parigi non è il massimo dare anche solo l’impressione di muoversi nell’orbita di Mosca o, peggio ancora, di esserne una pedina.

Ma il rischio maggiore di questa vicenda è un altro: che l’Italia in quanto tale ne esca malconcia, peraltro nella fase delicatissima delle trattative in corso sul futuro governo dell’Unione europea. Potrebbe realizzarsi, se le cose non si chiariranno al più presto, una tempesta diplomatica perfetta: essere considerata bruciata dalla Russia come interlocutrice in particolare sulla questione, di reciproco interesse, delle sanzioni a quest’ultima da revocare o ammorbidire; essere giudicata con sospetto sempre maggiore dai partner europei che hanno tutto da guadagnare nel tenerla sotto scacco; essere trattata come inaffidabile e doppiogiochista dagli storici alleati statunitensi coi quali pure dovrebbero esistere, in questo momento storico, una consonanza anche ideologica nel segno del comune populismo.

Insomma, si profila una partita interamente a perdere non solo per la Lega e a cascata per il governo, come molti credono, ma per il Paese: il che dovrebbe forse consigliare alcuni media a trattare questo controverso affaire con più prudenza di quella sin qui dimostrata. Di scandali (con annesse inchieste giudiziarie) finiti nel nulla, magari dopo essere stati creati o amplificati ad arte per ragioni politiche, ne abbiamo già visti diversi, tutti purtroppo già dimenticati dall’opinione pubblica. Senza contare che se da un lato non si può ostacolare la ricerca della verità nel nome di un malinteso senso patriottico, dall’altro è pur vero che certe campagne di stampa, specie se condotte con accecamento ideologico o con un eccesso di spirito militante, talvolta possono fare il gioco (involontariamente?) non della verità ma di chi è avvezzo ad usare la manipolazione delle informazioni come strumento di lotta politica su scala globale. I russi ne sono maestri, lo sappiamo, ma è un gioco sporco che, oggi più che mai grazie ai social e alle nuove tecnologie digitali, fanno tutte le grandi potenze, nessuna delle quali è dunque interamente innocente o disinteressata.

In questo quadro confuso, una delle poche certezze è che Salvini, maestro della comunicazione istantanea, al momento si è mosso male sul piano dell’argomentazione politica, contribuendo così ad alimentare voci maligne e sospetti non del tutto ingiustificati. Minimizzare o prendersela col gossip non paga e sa d’infantilismo. Buttare a mare i propri uomini, facendo finta di non conoscerli, non è un comportamento da capo politico. Sarebbe più serio assumersi le proprie responsabilità, ammettendo ad esempio di essersi fidato di uomini che hanno tradito la sua fiducia o che si sono dimostrarsi inadatti al ruolo politico affidato loro: in questo caso la mediazione con una realtà oltremodo complessa come quella russa, dove ci vuole poco a restare intrappolati nelle reti spionistico-affaristico-politiche che ne reggono storicamente la struttura di potere (da questo punto di vista poco sembra cambiato nel passaggio epocale dal comunismo internazionalista al nazionalismo putinista).

Così come sarebbe più serio argomentare, contro chi in questo momento si ostina ad usare argomenti moralistici per biasimare i rapporti internazionali della Lega o a lanciare l’allarme sull’esistenza di una rete neo-nazista globale ispirata dal Cremlino (alla faccia della mentalità cospiratoria che per solito di imputa proprio a leghisti e grillini), che l’Italia ha tutto l’interesse – in primis sul piano economico – a tenere buoni ed espliciti rapporti con la Russia. Purché ciò non significhi – ecco la buccia ideologica sulla quale la Lega rischia in effetti di scivolare –  mostrare la minima simpatia per il suo sistema o modello politico, che non ha davvero nulla che possa piacere anche alla più sgangherata delle democrazie liberali. Un interlocutore economico (vale per la Russia come per la Cina) non deve essere necessariamente un alleato politico.  E purché ciò non significhi voler tenere i piedi in troppe staffe, una tentazione peraltro ricorrente della politica estera italiana che Salvini sembra aver riprodotto con i suoi poco credibili eccessi d’equilibrismo tra Washington, Mosca e Tel Aviv. Troppi amici, nessun amico: vale nella vita delle persone come nella politica internazionale.

Il cerchio vitale dell’Italia, dal punto di vista geostrategico e politico-culturale, non può che restare quello include prioritariamente gli Stati Uniti e l’Europa, per quanto la solidarietà euro-atlantica sia oggi al punto più basso della sua storia (ma questa è una ragione di più per cercare di rinsaldarla). Su questo terreno la Lega deve decidersi a sciogliere ogni ambiguità. E chissà che questa spy-story estiva, a volerla leggere maliziosamente come un’operazione d’intelligence ben architettata, non sia un messaggio (persino amichevole) proprio in questa direzione.

E’ un ambiguità che in effetti caratterizza, oltre che la Lega, la politica estera italiana da quando si è insediato il governo giallo-verde e che, producendo confusione e vaghezza sugli obiettivi da perseguire in modo prioritario, rischia di costarci un crescente immobilismo sulla scena internazionale, laddove la storica forza dell’Italia è consistita nel compensare il suo deficit di potenza politica con una grande capacità di manovra diplomatica, a costo talvolta di tessere rapporti e relazioni in modo spregiudicato (si pensi solo alla nostra politica mediorientale), ma senza mai dubitare su quale fosse il nostro campo di gioco e la nostra strategica rete d’alleanze.

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