di Giuseppe Balistreri
Si è parlato di anti-politica a proposito del M5S, forse sarebbe meglio parlare di comportamento impolitico ovvero non-politico, e cioè fuori dalle regole della politica. Certo, ci viene detto che il movimento vuole cambiare proprio le regole della politica. Ma qui con regole della politica si intende non il comune usuale andazzo della politica, ma pressappoco quel che sono le regole della grammatica per il linguaggio, tolte le quali non si capisce più niente. Le regole della politica sono proprio ciò che permettono la politica, vale a dire il modo in cui delle comunità più o meno complesse giungono a prendere delle decisioni di carattere generale.
Ecco qui un esempio dei più freschi (tratto dal blog di Beppe Grillo di venerdì 22 marzo, giorno delle consultazioni con il presidente della repubblica) della strana logica con cui Grillo pretende di fare politica. Intanto, è singolare che debba essere il comune cittadino a collegarsi con il suo sito web per sapere come sono andate le sue consultazioni, come se si trattasse di un affare privato di Beppe Grillo. Il suo blog infatti non costituisce un momento pubblico, ufficiale, e dunque non è adatto a rendere conto dell’evento politico (e ancor più istituzionale) di cui bisogna informare il paese (tutt’al più può accostarvisi). Non è il cittadino che deve andare da Beppe Grillo (il suo blog è casa sua) per sapere quello che fa lui in quanto uomo pubblico, ma al contrario è Beppe Grillo che si deve presentare di fronte ai cittadini nelle dovute sedi istituzionali (dove è prassi poi che la stampa diffonda le notizie). Certo, per informarsi il cittadino deve comunque fare qualcosa come accendere la radio, la televisione o comprare il giornale. Ma questi non sono siti di qualcuno, parlano di tutti e a tutti, si rivolgono già di per sé al pubblico, appartengono già alla sfera pubblica. È prassi poi ancora di buona educazione politica e comunicativa che dopo le consultazioni con il capo dello stato, il politico faccia una pubblica dichiarazione. Beppe Grillo invece pare che dopo il colloquio con Napolitano sia fuggito da una uscita di servizio. In ogni caso non l’abbiamo visto. Per sapere qualcosa dobbiamo aspettare che sia pronto il nuovo blog. Il che costituisce un modo di nascondersi, di non esporsi al pubblico. Con Grillo rischiamo il ritorno ai vecchi arcana della politica, altro che democrazia diretta!
È nel blog dunque che troviamo quella dichiarazione che Grillo avrebbe dovuto dare dopo l’incontro con Napolitano. Vi leggiamo una serie di cose inconcepibili dal punto di vista di una logica politica.
Si parte con la seguente premessa: «Il M5S è stato il primo per numero di voti alle ultime elezioni». Si dice così, “il primo”. Ma il primo di cosa? Il primo ‘partito’, ovviamente. Ma pur di non pronunciare la parola partito si lascia la cosa nel vago. Si crea così un qui pro quo: se è il primo partito deve avere la maggioranza. Ma si sa che con il nostro sistema elettorale la maggioranza ed il primo partito non coincidono. E dunque non serve rifarsi a questo “primato” per farne seguire la rivendicazione “ufficiale” di «un incarico di governo». La premessa è errata, il sillogismo non regge, non si può far discendere una cosa da un’altra che non esiste ai fini di quella cosa stessa. Stiamo giocando con le parole. Ci aspettavamo invece che i grillini parlassero con serietà. Non essendo partito di maggioranza, Grillo non può chiedere dunque il mandato (si dice mandato e non “incarico di governo”, che significa un’altra cosa) di formare il nuovo governo. Ma del resto, cosa se ne farebbe di questo mandato? Egli non vuole trattare con nessuno e pertanto nessuno gli darà i voti per governare. Il ragionamento di Grillo è dunque del tutto pretestuoso. E, proprio per la insincerità che presenta, assomiglia molto al vecchio politichese. Senza tanti giri di parole, Grillo avrebbe fatto meglio a dire esattamente come stanno le cose, e cioè che loro non vedono tra le forze politiche presenti in parlamento nessuno in grado di attuare il suo programma, a cui si rimane rigidamente legati e che di conseguenza non vedono come i 5S possano appoggiare un governo di altro partiti o come altri partiti possano votare la fiducia al M5S. Punto e basta. Nel caso poi si chiedesse un ammorbidimento delle posizioni 5S in nome della governabilità, si sappia che per il M5S la governabilità non viene prima del programma. Questo ci saremmo aspettati da una forza che vuole rinnovare anche il linguaggio della politica.
Invece, dopo averci lasciato credere di avere un diritto a chiedere il mandato e dopo aver aggiunto che in caso contrario il M5S «non accorderà alcuna fiducia a governi politici o pseudo tecnici» (questo almeno è detto con la dovuta chiarezza), ecco che Grillo si mette di nuovo a babbiare, come direbbe il mio conterraneo Camilleri, e dice che, a voler essere responsabili, sì, se i partiti che lui osteggia profondamente e che lui non vota, vogliono votare lui, allora da parte sua, con un qualche sforzo, forse tappandosi il naso, potrebbe anche lasciar fare. Tutto questo nella convinzione che i picciotti del M5S siano gli unici onesti e perbene in un’arena di malfattori, pronti a sfilarti il portafogli in un momento di disattenzione. Con Grillo viene occultata la verità elementare che invece dal punto di vista politico non ci sono i buoni ed i cattivi, ma siamo tutti cattivi e pertanto la buona politica consiste proprio nell’approntare leggi, sistemi, procedure, controlli, che impediscano ai cattivi (e cioè a tutti noi) di fare cose cattive.
Una sostanziale chiusura da parte di Grillo, viene espressa invece nei termini di una falsa apertura, quando ancora dice: vi concediamo la nostra disponibilità a farci carico del governo come «un atto di estrema responsabilità verso il Paese». Come dire: votateci se vi sta a cuore la governabilità, noi, per il bene dell’Italia, accetteremo i vostri voti e così assicureremo quel governo di cui, dite, l’Italia ha bisogno. Si affidi dunque l’incarico al M5S e gli altri gli accordino la fiducia. È la continuazione del famoso “arrendetevi” gridato da Grillo ai partiti durante la campagna elettorale. Perché, cosa sarebbe che i partiti, rinunciando anche alle loro pur legittime pretese, decidessero di votare un governo grillino, se non una resa senza condizioni? Veramente, dunque, Grillo chiede luna e stelle e non c’è dubbio che egli lo sappia. Di conseguenza fa solo tatticismo, proprio nello stile della vecchia politica. Chiedendo l’incarico di formare il governo, e dunque con ciò puntando proprio sulla crisi di governabilità del sistema, Grillo si mette a giocare con le parole, dice il contrario di quello che veramente pensa. Certo, lo dice con dissimulata ironia, con l’apparenza cioè che lo dica sul serio.
Dire dunque: “I partiti che desiderano i nostri voti per formare un governo, diano invece loro i voti a noi” non ha senso, perché tanto per dare i voti quanto per riceverli è necessario un accordo. Ma per Grillo accordo significa chissà quale orribile scambio sottobanco di poltrone e di favori. «Non è stata data – lamenta Grillo – alcuna rappresentanza istituzionale al M5S, non la presidenza della Camera, non la presidenza del Senato, che sono stati oggetto di contrattazione e mercanteggiamento tra i partiti e non espressione del riconoscimento del consenso elettorale». Come si vede, un altro scivolone sul piano della proprietà linguistica. Grillo ignora la parola “trattativa”, senza di cui non c’è politica, ed usa invece le sue forme degenerate, come se qualsiasi trattativa fosse di per sé mercanteggiamento. Ma, per il resto, come ragiona Grillo? Chi è che deve esprimere questo «riconoscimento del consenso elettorale»? Forse che ogni forza politica non deve pretendere lo stesso? Il riconoscimento (e non solo in politica, ma anche nella vita) è il risultato di una lotta per il potere tra entità concorrenti. Laddove il conflitto è regolato in modo che si giunga ad un equilibrio, il riconoscimento si raggiunge nel momento in cui si dà riconoscimento anche agli altri. In democrazia il riconoscimento o è reciproco oppure non può esserci. Anche perché non c’è nessuno a cui spetti di dare riconoscimento e ad altri soltanto di riceverlo. Ognuno viene riconosciuto in base al peso che ha e che decide di far valere. Quello che vuole quindi il M5S deve trattarlo con gli altri, a cui pure spetta qualcosa in base al loro peso. E siccome non c’è nessun arbitro al di sopra dei partiti, bisogna che i partiti si accordino, certo alla luce del giorno, tra di loro, per, diciamolo crudamente, ma la politica è anche questo, procedere ad una spartizione delle cariche. Ma Grillo vuole le cariche senza la spartizione. Il che vuol dire: voi che siete sporchi e cattivi, dividetevi tra di voi quello che avete da dividervi, noi non vi riconosceremo nulla; invece a noi che siamo buoni e puri voi dovete darci la parte che ci spetta, senza bisogno che si giunga ad un accordo condiviso. Così, mentre ognuno si accapiglia per avere la sua parte, Grillo pretende che gli altri contendenti nel suo caso facciano delle libere donazioni. Grillo non vuole sporcarsi le mani con la politica dei partiti, però pretende dalla politica sporca di essere magnanima con lui. C’è del metodo in questa follia?
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