di Alessandro Campi
Il lancio dei “Comitati per il Sì” – avvenuto ieri a Firenze – cambia in modo significativo lo schema della battaglia per il referendum del prossimo ottobre. Ci stavamo infatti mentalmente preparando ad una sorta di “uno contro tutti” politico-mediatico: ad un plebiscito sul nome di un leader più che ad una consultazione referendaria basata sul merito tecnico dei problemi.
Da un lato Renzi, che aveva annunciato di voler legare la sua stessa carriera politica all’esito del voto popolare. Dall’altro il variegato e combattivo fronte di coloro che ritengono, più che sbagliata, decisamente pericolosa la riforma della Costituzione definitivamente approvata dal parlamento lo scorso mese di gennaio.
Per farla votare, il primo avrebbe dato fondo a tutta la sua retorica sul rinnovamento generazionale, sull’Italia che cambia e cresce oppure muore, sui “gufi” che frenano colpevolmente il cambiamento. Gli esponenti del secondo, pur di farla bocciare, avrebbero messo in guardia, con toni allarmistici, dai pericoli di una deriva autoritaria e di un’eccessiva concentrazione del potere nelle mani di un solo uomo.
Potremmo invece assistere, se la fortuna ci assiste, al confronto tra due schieramenti relativamente più omogenei ed equilibrati: i fautori del Sì e i partigiani del No, entrambi organizzati sul territorio nella forma di circoli e comitati, composti al loro interno in modo politicamente (e ideologicamente) trasversale. Due blocchi che per risultare persuasivi dinnanzi agli elettori s’immagina dovranno ricorrere, più che gli insulti e alle semplificazioni, a ragionamenti e argomentazioni minimamente articolati.
Beninteso, ciò non farà venire meno del tutto la dimensione personalistica dell’imminente scontro, anche perché Renzi ritiene che tale dimensione, nel contesto di quella che lo storico Emilio Gentile ha definito nel suo ultimo libro (Il capo e la folla) la “democrazia recitativa”, giovi alla sua causa e alla sua immagine di leader risoluto e al passo coi tempi. Ma potrebbe comunque venirne fuori una campagna elettorale nel corso della quale sostenitori e critici della riforma saranno giocoforza costretti a confrontarsi pubblicamente in modo civile, costruttivo e argomentato. Per il dibattito pubblico italiano, avvezzo alle risse, sarebbe un bel risultato, tenuto anche conto dell’importanza della posta in gioco.
Con questa mossa, tesa a mobilitare tutti i suoi estimatori, reali e potenziali, Renzi ha fatto che quel Berlusconi – al quale viene spesso erroneamente paragonato per stile e scelte – non fece nell’autunno-inverno del 2005. All’epoca il Cavaliere riuscì a far approvare dalla sua maggioranza una controversa, ma comunque coraggiosa, proposta di revisione costituzionale, che includeva anch’essa – come quella odierna – il superamento del bicameralismo e il rafforzamento dell’esecutivo (ma conteneva anche la devolution a favore delle Regioni, mentre la riforma renziana è d’impianto più centralista). Salvo poi abbandonarla al suo destino in occasione del referendum del giugno dell’anno successivo, che infatti la bocciò sonoramente.
Renzi ha invece deciso di difendere politicamente il suo progetto costituzionale: vuole spiegarlo agli italiani “casa per casa”, come ha detto ieri, e per fare questo ha bisogno di una mobilitazione dal basso che vada al di là dei confini del suo partito.
Ma oltre ad allargare la sua base di consenso, egli vuole anche evitare che la discussione sul tema si riduca ad un confronto tra specialisti, come tale inevitabilmente noioso. Par di capire che Renzi, con la nascita dei “Comitati per il Sì”, voglia trasformare il confronto sulle regole costituzionali da materia riservata a giuristi e politologi a tema d’interesse diretto dei cittadini, ai quali si chiede di valutare non solo l’articolazione tecnica della riforma, ma soprattutto il suo valore politico complessivo. La sua idea inoltre è far apparire il Comitato per il No un club di blasonati accademici, peraltro piuttosto agé e come tali inclini al conservatorismo istituzionale, mentre i diecimila “Comitati per il Sì” evocati ieri dovrebbero costituire piuttosto un movimento politico di massa mosso dal desiderio di innovazione e cambiamento (e composto, va da sé, soprattutto da giovani).
Insomma, Renzi non ha alcuna intenzione di andare al voto autunnale da solo, ovvero col solo sostegno della maggioranza del suo partito. Intorno alle riforme costituzionali punta a costruire un fronte di consenso più vasto della maggioranza parlamentare che attualmente lo sostiene. Egli è convinto, ad esempio, che per il centrodestra che fu berlusconiano sarà difficile schierarsi contro proposte di innovazione istituzionale delle quali per anni esso è stato un convinto sostenitore. Lo stesso vale per quegli ambienti del riformismo in senso lato laico-socialista che si sono battuti per decenni a favore di un cambiamento della Costituzione oggi finalmente a portata di mano. Anche questo mondo difficilmente potrà sottrarsi all’appello renziano. Non è un caso che tra i seniores del costituzionalismo italiano, in maggioranza ostili al progetto di riforma, si siano invece schierati per il Sì al referendum due personalità di schietta formazione riformista quali Giuliano Amato e Sabino Cassese.
A proposito di riformismo, non bisogna trascurare l’effetto che una vittoria del Sì il prossimo ottobre potrebbe avere anche fuori dai confini nazionali. In epoca di populismo dilagante, Renzi si accrediterebbe come il leader politico europeo che per contrastarlo efficacemente ha scelto come arma, pratica ma anche retorica, quella appunto delle riforme, del cambiamento e dell’innovazione da operare all’interno del sistema. Per renderlo più equo e funzionale, anche a costo di alterare equilibri consolidati, non per abbatterlo o disintegrarlo come vogliono i suoi contestatori radicali. Con Cameron acciaccato dagli scandali, la Merkel in difficoltà sul tema dell’immigrazione e Hollande preoccupato solo di non farsi sbattere fuori dall’Eliseo, il voto di ottobre sarà per Renzi, purché vinca la sua sfida, una grande occasione per proporsi come una figura sempre più forte, autorevole e di riferimento su scala continentale.
*Editoriale apparso su “Il Messaggero” del 3 maggio 2016.
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