di Emanuele Schibotto*
Il 21 maggio scorso la Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese hanno siglato uno storico accordo energetico. I termini dell’accordo e gli effetti sulla politica energetica di Pechino.
I termini dell’accordo
Mercoledì 21 maggio i rappresentanti di Gazprom e Cnpc, sotto la supervisione dei rispettivi governi, hanno firmato a Shanghai l’accordo che permetterà alla Russia di aprirsi al mercato energetico cinese e alla Repubblica Popolare di assicurarsi approvvigionamenti sicuri per i prossimi 30 anni.
Le parti non hanno divulgato i termini commerciali dell’accordo, tuttavia alcuni dati sono di dominio pubblico. L’accordo entrerà in vigore nel 2018 e avrà durata trentennale. Mosca si impegnerà a rifornire Pechino con 38 miliardi di metri cubi di gas naturale attraverso la costruzione in territorio cinese di tratte di collegamento del gasdotto transiberiano “Forza della Siberia”. Costo previsto: dai 22 ai 30 miliardi di dollari. L’intesa economica sarebbe stata raggiunta ad un prezzo compreso tra i 350 e 360 dollari per mille metri cubi, vicino alle richieste cinesi e lontano dai $380,5 strappati da Mosca ai Paesi dell’Europa Occidentale. Il prezzo più basso ottenuto da Pechino sarebbe però compensato dall’impegno finanziario cinese nella costruzione dei nuovi gasdotti.
La stretta finale
L’accordo, il cui valore totale è stimato in 400 miliardi di dollari, chiude un ciclo di negoziazioni durato oltre dieci anni, con i primi contatti avviati sul finire degli anni Novanta.
E’ probabile che l’accelerazione alla finalizzazione del deal, avvenuta negli ultimi mesi, sia stata provocata da due fattori. Da un lato la crisi ucraina, con la conseguente instabilità geopolitica e la minaccia di sanzioni mirate al settore energetico russo per parte occidentale – favorendo peraltro la posizione negoziale cinese. Dall’altro, il persistere della crisi economica in Europa. Basti osservare le proiezioni statistiche del Fondo Monetario Internazionale sulle stime di crescita del PIL dell’area Euro e della Cina nei prossimi 5 anni per capire come la Russia avesse necessità di finalizzare: l’area Euro non si avvicina al 2% di crescita media annua e manifesta una domanda energetica stagnante – se non in calo – mentre la Repubblica Popolare viaggia oltre il 6,5 percento. “38 miliardi di metri cubi sono solo l’inizio” – ha dichiarato Alexei Miller, Amministratore Delegato di Gazprom. L’intesa infatti prevede la possibilità di portare la fornitura a 60 miliardi di metri cubi sfruttando giacimenti della Siberia Centrale e Orientale diversi da quelli adoperati per rifornire gli oltre 161 miliardi di metri cubi destinati al mercato europeo.
Le implicazioni per Pechino
L’accordo è funzionale agli interessi energetici cinesi per 3 motivi.
In primo luogo, consente di incrementare la sicurezza sugli approvvigionamenti energetici. La US Energy Information Administration (EIA) stima che nel 2014 Pechino diventerà il maggior importatore netto di petrolio, superando gli USA, e sarà responsabile per un terzo dell’incremento del suo consumo a livello mondiale. Anche l’utilizzo di gas naturale, benché contribuisca solo al 4% del fabbisogno aggregato nazionale, è in aumento considerevole e passa necessariamente attraverso le importazioni. In questo senso il gas russo, in grado di coprire circa il 10% del fabbisogno di gas naturale nazionale previsto per il 2020, diviene una ipoteca sull’aumento della domanda energetica.
In secondo luogo, l’accordo consolida una nuova rotta energetica – quella di nordest – inaugurata nel 2011 con l’inizio della costruzione dell’oleodotto di importazione Mohe-Daqing (forniture di 30 milioni di tonnellate l’anno). La nuova rotta va ad aggiungersi alle tratte di nordovest (Turkmenistan-Kazakistan) e alle rotte di sudest (Myanmar) e sudovest (Stretto di Malacca), aree queste ultime dove persistono tensioni geopolitiche latenti che accrescono il rischio di instabilità politica. Pechino quindi diversifica le opzioni di offerta e diminuisce la dipendenza da un singolo fornitore.
In terzo luogo, il gas russo andrà a ridurre la dipendenza dal carbone, di cui la Cina è primo consumatore mondiale e del quale si serve per quasi il 70% del suo fabbisogno. L’obiettivo del Governo è limitare l’inquinamento ambientale attraverso una graduale riduzione del numero di centrali a carbone, la messa in sicurezza di quelle operative, la bonifica delle aree contaminate e l’intensificazione del processo di diversificazione delle fonti. Il dodicesimo piano quinquennale (2011-2015) stabilisce il raggiungimento del 15% del fabbisogno energetico primario proveniente da fonti non fossili entro il 2020. Sempre entro lo stesso anno il Paese dovrà poter contare su forniture annue di gas naturale pari a 420 miliardi di metri cubi.
Conclusioni
L’intesa energetica raggiunta porterà ad una intensificazione delle relazioni economico-commerciali, con l’obiettivo dichiarato dai Presidenti Vladimir Putin e Xi Jinping di raddoppiare in dieci anni il valore dell’interscambio bilaterale (oggi 90 miliardi di dollari). Non solo: l’accordo certifica la volontà di accelerare il processo di normalizzazione dei rapporti politici comportando una riconfigurazione dei rapporti di potenza nella macro-regione asiatica.
*Emanuele Schibotto è direttore editoriale del centro studi di relazioni internazionali Equilibri.net. Articolo apparso su www.agienergia.it
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