di Alessandro Campi

imagesCAD5LBJRUomo o donna, laico o cattolico, di destra o di sinistra (o magari di centro), alto o basso, giovane o anziano, il prossimo Capo dello Stato si troverà dinnanzi, almeno per i primi tempi del suo mandato, un’agenda largamente fissata dal suo predecessore. Ma resa altresì ineludibile dalle difficili condizioni in cui versano il nostro sistema politico-istituzionale e più in generale l’intero Paese.

L’impegno maggiore sarà, da subito, quello sul versante delle riforme istituzionali: dall’adozione di una nuova legge elettorale al completamento del percorso di revisione costituzionale. Su questi obiettivi lo sforzo di Napolitano è stato massimo, al punto da subordinare la sua rielezione proprio al loro raggiungimento. Su di essi aveva più volte richiamato l’attenzione delle forze politiche anche durante il primo mandato. Ma i risultati raggiunti, rispetto all’urgenza dichiarata, sono stati al di sotto delle sue aspettative e delle necessità del Paese. Al nuovo Capo dello Stato toccherà perciò riprendere nelle proprie mani le fila di un processo riformatore che se lasciato alla libera determinazione politica dei partiti e alla loro dialettica spesso paralizzante rischia seriamente di arenarsi.

Un altro importante fronte d’impegno sarà quello internazionale. Napolitano, nelle fasi di vuoto politico e di caduta della credibilità che l’Italia ha attraversato nel corso degli ultimi anni, ha garantito il buon nome dell’Italia all’estero grazie alla sua vasta rete di relazioni e alla considerazione di cui godeva nelle diverse cancellerie in virtù della sua biografia politica. C’è da sperare che, nell’immediato, il quadro politico interno finalmente di stabilizzi, dopo le fibrillazioni che, dalla crisi del IV governo Berlusconi in poi, hanno scandito la vita pubblica italiana. Ma la perdita di status internazionale dell’Italia e della sua classe politica è un fattore per così dire strutturale e di lungo periodo, che certo non può essere compensato dall’attivismo di Renzi nei consessi internazionali o dalle performance di una squadra di governo che all’estero guardano, nella migliore delle ipotesi, con simpatia e curiosità. Il che significa che toccherà ancora al Quirinale (e al suo nuovo inquilino) garantire la nostra affidabilità agli occhi di alleati e interlocutori internazionali.

Napolitano, specie negli ultimi tempi, ha più volte denunciato l’antipolitica, dando anche l’impressione di valutare negativamente, cosa che il suo ruolo di garante dell’unità nazionale non gli consentiva, il voto che molti italiani hanno dato ai partiti di protesta. In realtà, stigmatizzando i pericoli del populismo, Napolitano ha colto un punto dolente della vita pubblica italiana: il divorzio sempre più radicale tra cittadini e istituzioni, sul quale poi si innestano facilmente la demagogia dei capipopolo e lo sprezzo degli elettori per la politica in ogni sua forma. Se un obiettivo politico generale dovrà avere il prossimo Capo dello Stato, sarà proprio quello di provare a ricostruire un qualche legame fiduciario tra il popolo e i suoi rappresentanti, richiamando questi ultimi alla virtù, al decoro e allo spirito di servizio. Napolitano ci ha provato, il suo successore dovrà riuscirci.

Capo della magistratura, Napolitano ha più volte espresso riserve – sebbene in modo comprensibilmente assai velato – nei confronti del protagonismo politico di certi suoi rappresentanti. E ha fatto intendere che, chiusa la partita delle riforme istituzionali, bisognerà mettere mano ad una seria e articolata revisione dell’ordinamento giudiziario, nella convinzione che il nodo (rimasto per un ventennio irrisolto) politica-giustizia è quello che ha impedito alla cosiddetta Seconda repubblica di consolidarsi dal punto di vista degli equilibri politico-istituzionali. Chi ne prenderà il posto difficilmente potrà mostrarsi indifferente rispetto ad una simile questione.

Tutto ciò non vuol dire naturalmente che il nuovo Capo dello Stato non abbia margini di manovra e che la sua linea d’azione sia già tutta bella che delineata. Ogni nuovo inquilino del Colle, una volta presa confidenza con un ruolo tanto difficile e delicato, si è costruito una sua personale agenda politico-istituzionale. Si pensi, ad esempio, all’impegno che Ciampi decise di profondere sul tema del “patriottismo costituzionale”. O appunto all’enfasi posta da Napolitano sul tema di una radicale riforma dell’ordinamento costituzionale come necessaria premessa per rilegittimare il sistema politico agli occhi dei cittadini dopo anni di scandali e di prove all’insegna dell’inefficienza.

Pe il prossimo Presidente della Repubblica un impegno originale e interessante potrebbe essere, specie se ad occupare il Colle sarà – per così dire – un “giovane” (sempre ricordando che, Costituzione alla mano, dovrà aver raggiunto almeno i cinquant’anni), quello del rinnovamento della burocrazia quirinalizia. Tra le più tecnicamente capaci, non foss’altro per il ruolo di regia e coordinamento che essa è chiamata a svolgere su una quantità di delicati dossier politici e costituzionali (si pensi solo al vaglio della legislazione), ma anche tra le più inossidabili e gerontocratiche della nostra Repubblica. Sul sito istituzionale del Quirinale compare ancora Gaetano Gifuni nel ruolo di Segretario generale onorario della Presidenza della Repubblica: un ruolo che non si capisce cosa voglia dire esattamente. Ringiovanire e ruotare le cariche nei diversi uffici e servizi del Quirinale potrebbe essere un buon programma di lavoro per il futuro Capo dello Stato, se è vero che il processo di rinnovamento generazionale della politica – così pervicacemente perseguito da Renzi – è altrimenti destinato ad infrangersi contro l’inamovibilità di apparati burocratico-amministrativi che hanno sin qui mostrato una grande capacità a riprodursi attraverso il meccanismo della cooptazione su basi puramente tecnico-corporative. Il rinnovamento della macchina del Quirinale sarebbe un segnale importante per l’intero sistema di potere italiano.

Naturalmente, per tutte le ragioni sin qui enunciate ben si comprende come il prossimo inquilino del Colle debba avere un profilo politico-istituzionale che lo renda da subito autonomo ed autorevole nella sua azione: capace cioè di farsi ascoltare dal ceto politico, non di essere il notaio delle decisioni assunte da quest’ultimo. Nulla a che vedere dunque con i nomi spesso eccentrici che sono circolati in queste settimane. All’Italia, prima che una figura simpatica e popolare, serve un conoscitore scrupoloso della Costituzione, un uomo di vasta esperienza politica, noto e apprezzato all’estero, capace di guardare ai problemi del Paese in modo disincanto e oggettivo, magari esperto anche di questioni economiche visto il perdurare della crisi. Come si sarà capito, di uomini (e donne) con queste caratteristiche non ce ne sono poi molti in giro.

*Articolo apparso su “Il Messaggero” del 16 gennaio 2015.

 

Lascia un commento

Your email address will not be published. Required fields are marked (required)