di Carlo Pulsoni
Non so quante persone si siano svegliate in Italia la mattina del 25 aprile 1974 per partecipare alle manifestazioni della festa della Liberazione, avendo consapevolezza di quanto stava accadendo in quelle stesse ore in Portogallo. I mezzi di comunicazione dell’epoca non garantivano l’aggiornamento in tempo reale degli avvenimenti al quale siamo abituati oggi.
Eppure in quei momenti il Portogallo, ma soprattutto Lisbona, stava vivendo la sua liberazione, la cosiddetta “Revolução dos Cravos” (Rivoluzione dei garofani), per via dell’inserimento di questi fiori nelle canne dei fucili dei golpisti come segnale per le truppe lealiste perché non opponessero resistenza. Questa rivoluzione in realtà, come ricorda Luciana Castellina, era stata covata lontano da Lisbona, nelle colonie lusitane in Africa, e in particolare «da soggetti che di solito fanno colpi di stato, i militari, ma che poi, il potere conquistato anche con le migliori intenzioni, non sono abituati a cederlo al popolo, come invece capitò qui». Tra gli obiettivi rivoluzionari c’era infatti anche la decolonizzazione, oltre alla democrazia e allo sviluppo (in portoghese suona come il programma delle 3D: «Descolonizar, Democratizar, Desenvolver»).
Contribuisce a ricostruire queste vicende in un’ottica comparata italo-portoghese il volume appena uscito della rivista “Estudos Italianos em Portugal” (fascicolo 9, 2014), al cui interno si trova un dossier intitolato per l’appunto O 25 de Abril de 1974 e as relações luso-italianas. Non si tratta di un abbinamento casuale; come ricorda nella premessa Rita Marnoto, sin dagli anni ’60 l’Italia aveva organizzato non solo manifestazioni di appoggio alla resistenza portoghese, ma anche dato asilo a molti rifugiati politici: molti di loro ebbero nel nostro paese la possibilità di pubblicare le proprie opere censurate in patria. Non si può escludere che questa solidarietà possa aver convinto Paolo VI a ricevere in Vaticano il primo luglio 1970 i rappresentanti dei principali movimenti di liberazione africana: Agostinho Neto, Amílcar Cabral e Marcelino dos Santos, segnale evidente che anche la Santa Sede riteneva il regime portoghese di Marcelo Caetano, succeduto nel 1968 a António de Oliveira Salazar (1889-1970), ormai agli sgoccioli. Nell’articolo Um rio com vários afluentes: o 25 de abil e o contributo italiano, Manuel Simões fornisce in maniera dettagliata una serie di libri pubblicati in Italia che ebbero un forte impatto nella denuncia della situazione coloniale e di riflesso sul regime dittatoriale portoghese. Tra questi vanno menzionati l’antologia poetica Con occhi asciutti del poeta angolano Agostinho Leto, uscita nel 1963 (Milano, Il Saggiatore), con la curatela e la traduzione della scrittrice e partigiana Joyce Lussu. A costei si deve anche la pubblicazione della raccolta Cantico a un dio di catrame del poeta mozambicano José Craveirinha (Milano, Lerici, 1966). Ancora più esplicita nella denuncia dei mali del colonialismo si rivela l’antologia curata da Giuseppe Tavani Poesia africana di rivolta, Bari, Laterza, 1969. Nella Premessa Tavani individua dei momenti chiave della poesia africana creando una sorta di parallelo tra lirica e musica: «dal preludio africanista (largo), all’esaltazione della negritudine (andante con moto), all’espressione dell’abbrutimento provocato dal colonialismo (marcia funebre), alla protesta contro la schiavitù e la repressione (vivace collerico), alla rivolta (vivace sanguigno), alla visione indipendentista (adagio maestoso)». Fuori dal contesto poetico si segnalano i volumi Guerra di popolo in Angola. Reportage fotografico realizzato con i partigiani del MPLA (Roma, Lerici, 1969), Dalla negritudine all’africanismo (Milano, Feltrinelli, 1970) e così via.
Un insieme di opere di denuncia, insomma, che vede la luce proprio in Italia, e grazie alle quali si contribuisce a gettare discredito a livello internazionale sul regime portoghese, e di conseguenza ad accelerarne la sua caduta.
* Apparso in origine su Treccani.it
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