Alia K. Nardini*

downloadVolendo avanzare una prima considerazione riguardo alle primarie statunitensi, al via il prossimo lunedì 1 febbraio in Iowa, è che sarà un’elezione decisamente epocale. Molto potrebbe cambiare, in America e nel mondo, una volta che gli Stati Uniti avranno eletto il loro quarantacinquesimo Presidente.

Negli ultimi mesi, quelle che in gergo vengono definite invisible primaries hanno assunto caratteristiche decisamente peculiari. Solitamente le invisible primaries rappresentano l’occasione per i potenziali candidati alla nomination di entrambe i partiti di conquistarsi il sostegno di finanziatori, fondazioni, nomi importanti del Congresso ed elites di partito, nonché testate giornalistiche, lobbies e magnati dell’industria e della comunicazione. Questa battaglia preliminare, poco seguita dai cittadini, è in realtà fondamentale perché ha sempre influenzato massicciamente i fondi e le strategie disponibili per la campagna vera e propria degli aspiranti candidati alla presidenza. Tuttavia, come ha notato recentemente David Leonhardt dalle pagine del New York Times, il 2015 ha riservato parecchie sorprese. Numerosi candidati appartenenti ad entrambe gli schieramenti si stanno rivelando altamente competitivi, nonostante il loro scarso successo nelle invisible primaries: è il caso di Donald Trump e Ted Cruz per i Repubblicani, e di Bernie Sanders tra i Democratici. Non solo questi personaggi sono stati in grado di raccogliere somme cospicue nonostante l’ostilità dimostrata nei loro confronti da parte dei rispettivi schieramenti; ma – forse proprio in virtù della loro estraneità al mondo della politica tradizionale – hanno riscosso notevoli consensi tra la gente comune, in un periodo in cui la fiducia per i partiti è ai minimi storici.

L’Iowa – non me ne vogliano i suoi abitanti – non è numericamente parlando un appuntamento particolarmente rilevante. Dei suoi 3 milioni di abitanti, votano ai caucus circa 240 mila tra Repubblicani e Democratici (il 12% della popolazione). Oltre allo scarso interesse e alla disaffezione politica, questo accade perché il caucus è una votazione “chiusa”, dove solo i membri tesserati del partito hanno diritto ad esprimere la loro preferenza. L’Iowa ha inoltre rilevanza minima a livello federale: da questo primo voto emergeranno solo l’1% dei delegati di ogni partito che parteciperanno alle rispettive convention di quest’estate, in cui si decideranno i candidati alla presidenza 2016. Infine nei caucus, diversamente dalle primarie, i sostenitori stendono un elenco programmatico (una sorta di piattaforma elettorale) che, insieme al supporto per un candidato, sarà vincolante per i risultanti 30 delegati Repubblicani e 52 Democratici.

Il caucus del 1° febbraio è però importante, in quanto primo appuntamento di quella che si prospetta come una campagna molto combattuta ed imprevedibile per entrambe gli schieramenti. Sarà interessante verificare quanto le preferenze espresse sinora nei sondaggi riusciranno a concretizzarsi, e in che misura. È una sorta di primo giro di boa: essere in testa non vuol dire vincere, ma partire bene è importante. Può segnare l’inizio di una scalata al successo, come spera Bernie Sanders; ed aiuterebbe altri a riacquistare prestigio, in un momento in cui è malvisto essere parte dell’establishment (Jeb Bush e Chris Christie). L’Iowa caucus può inoltre contribuire a consolidare una posizione per il futuro, come si augura Rubio; oppure può confermare tendenze, e promuovere (o bocciare) uno stile autopromozionale (Hillary Clinton). Infine, l’Iowa testerà la capacità di sopravvivenza dei candidati che al momento sembrano destinati al ritiro, come O’Malley, Carson, e Fiorina.

Più specificamente, tra le file Repubblicane, Trump è in vantaggio nei sondaggi con il 33%, e contende a Ted Cruz (26%) il voto dei conservatori tradizionalisti e dei Tea Parties. Segue Rubio al 12%. I dati sono da contestualizzare, visto che l’elettore medio in Iowa è bianco, tra i 30 e i 45 anni, proprietario di una casa, cristiano evangelico, e tendenzialmente conservatore sui temi sociali (contrario ad aborto e unioni omosessuali). Tuttavia, le proiezioni nello stato del Midwest sono in linea con la media nazionale: per questo motivo, Marco Rubio si accontenterebbe di un dignitoso terzo posto per restare competitivo, attendendo il ritiro di altri candidati per assorbire anche i loro sostenitori prima di accelerare. Seguono senza degna menzione gli altri candidati, tutti considerevolmente al di sotto del 7%.

Sul fronte Democratico, l’Iowa rappresenta uno scoglio materiale e psicologico per Hillary Clinton, che qui subì la sua prima, sonora sconfitta nel 2008. Clinton è per ora in vantaggio di 6 punti, con il 48%, secondo Fox; mentre l’ARG dà Sanders in testa al 48% (Clinton al 45%). Hillary ha imparato dai suoi errori, affidandosi a esperti locali per impostare una campagna molto più a contatto con la popolazione, nel nome dell’affidabilità e della competenza, impegnandosi per contrastare il basso potere d’acquisto dei salari e difendere il sistema del welfare e dell’Obamacare. Sanders strizza l’occhio ai sostenitori di Obama del 2008, tendenzialmente giovani e più liberali, tra i quali riscuote anche a livello nazionale un notevole consenso per la sua schiettezza ed il suo entusiasmo contagioso.

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If I were to advance a single consideration on the U.S. presidential primaries, starting next Monday, February 1st, in Iowa, I would say that it will make a strong impact on the candidates’ futures. Much could change, for America and for the world, as the United States prepares to elect its forty-fifth President.

The recent months’ “invisible primaries” have assumed a distinctly peculiar character. Usually, invisible primaries represent an opportunity for potential candidates from both parties to win the support of donors, elected officials, think tanks, big names in Congress and party elites, as well as newspapers, lobbies and business and communications tycoons. This preliminary battle, hardly popular among ordinary citizens, is in fact crucial, because it has always heavily influenced funding and strategic options for all aspiring candidates. However, as David Leonhardt noted in a recent article in The New York Times, 2015 was very different. Many candidates – from both sides – are proving highly competitive, despite lack of success in the invisible primaries. This was the case with Donald Trump and Ted Cruz for Republicans, and Bernie Sanders for Democrats. Not only have they been able to devote large sums to their campaigns, despite hostility from their respective parties’ establishment; but – perhaps precisely because of their estrangement from the world of traditional politics- they have become highly popular among everyday people, at a time when citizens do not usually pay attention to pre-race dynamics, and party loyalty is at historic lows.

The Iowa caucus is not, in numbers, an influential event. Out of 3 million Iowans approximately, only about 240,000 actually register to vote, evenly distributed between Republicans and Democrats (a scanty 12%). Besides lack of interest and political disaffection, this happens because caucuses are “closed” here, meaning that only registered party members are allowed to cast their vote. Iowa has little relevance also at national level, as only 1% of the delegates for each party will be chosen on this occasion. Lastly, in this caucus – unlike in the primaries – supporters not only express their preference for a party, but they also draft a programmatic list (a sort of electoral platform). This, along with support for a candidate, will be binding for the 30 Republican and 52 Democrat delegates that will be chosen for participating to their respective conventions this summer.

However, the caucus on February 1 is still significant for a campaign that appears to be characterized by impulsive decisions and unknowns on both sides. It will be interesting to see whether preferences so far expressed in the polls will actually yield results and to what extent. It is an important test, a first turning point: the one in the lead will not necessarily be the winner, but a good start undoubtedly helps. It may mark the beginning of a long and successful climb to the top, as Bernie Sanders hopes right now or it could help other candidates to reacquire prestige, in a moment when Americans seem to turn their backs on the establishment as they have done so far with Jeb Bush and Chris Christie. Iowa might also consolidate Rubio’s position, and “check the pulse” of the candidates’ campaign style, verifying whether or not they are reaching out effectively to different interest groups (Hillary Clinton comes to mind). Finally, Iowa will test the viability of weakest opponents, like O’Malley, Carson, and Fiorina, perhaps advising on early withdrawal.

Specifically, with regard to the Republican Party, Trump is ahead in the polls with a 33% consensus, battling Ted Cruz (26%) for the vote of social conservatives and Tea Partiers. Rubio follows, at 12%. These data must be put into context, as the average voter in Iowa is white, between 30 and 45 years old, a homeowner, evangelical Christian, and deeply conservative on social issues (anti-abortion, against same-sex marriages). However, projections in the Hawkeye State are in line with the national average. For this reason, Marco Rubio would settle for a respectable third place to remain competitive, and simply wait for other candidates to drop out, in order to absorb their supporters and challenge the race’s top leaders. All other candidates are faring significantly below 7%.

On the Democratic front, Iowa represents a concrete and psychological obstacle for Hillary Clinton, who suffered her first and somehow unexpected defeat here in 2008. Now, Clinton has a 6-point margin over Sanders (48%, Fox News), but her advantage is getting thin. Instead, ARG places the Vermont Senator in the lead (Sanders 48%, Clinton 45%). Hillary has certainly learned from her mistakes, hiring experienced local staff to conduct a much more grassroots campaign. She seems in touch with the local population, emphasizing her reliability, competence, and commitments to counter the low purchasing power of wages and defending the welfare system, especially Obamacare. Sanders, however, is appealing to Obama’s 2008 supporters, who tend to be younger and deeply liberal and represent his most solid base nationwide, supporting his bold agenda and his progressive views.

 * Docente di Relazioni internazionali presso lo Spring Hill College e membro dell’Istituto di Politica.

 

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