di Francesca Varasano
Alcuni scrittori hanno saputo rappresentare il proprio paese o la propria città con colori così nitidi, ce ne hanno consegnato un’immagine così significativa che questa a volte è diventata più reale e viva di quello che abbiamo visto con i nostri occhi. In questo modo, si sono create nell’anima delle geografie parallele che a noi lettori hanno reso familiari posti che pure conosciamo poco o affatto.
Prima d’essere la città del più recente G20, San Pietroburgo è il sottosuolo contorto dell’inconscio e le luminose notti estive descritte da Dostoevskij; l’Arbat non è soltanto un quartiere di Mosca ma è l’indirizzo della palazzina in cui vivevano il Maestro e Margherita di Bulgakov, a pochi passi dalle magie sinistre del diavolo in visita nell’allora capitale sovietica. Los Angeles forse non esiste nemmeno senza la disperazione, le sbornie, il cinismo di Bukowski.
Chingiz Aitmatov (1928 – 2008) è stato uno scrittore chirghiso, probabilmente il più rappresentativo dell’epoca contemporanea. Scrisse sia in russo che in chirghiso, raccontando i popoli e i paesaggi della terra natale, ed ebbe successo non soltanto in Kirghizistan ma in Unione Sovietica e all’estero. Collaborò con il nascente cinema chirghiso, sia come autore che come direttore dell’istituto nazionale. Con la perestrojka e poi la disgregazione delle repubbliche socialiste sovietiche, fu consigliere di Gorbačëv ed ambasciatore presso l’Unione Europea – l’organizzazione internazionale che oggi, in seguito alle violenze etniche successive all’indipendenza (le più recenti, nel 2010), finanzia nel paese progetti per la prevenzione di altri conflitti, promuovendo la coesione della società civile e la convivenza pacifica fra diverse etnie (chirghisa, russa, uzbeka, tagika ed altre).
Le opere di Aitmatov sono state tradotte in molte lingue; le edizioni italiane delle opere più conosciute (Djamilia, Il primo maestro, Il battello bianco) risalgono agli anni ’60 e ’70 e non sono facili da reperire. Ristampe sono invece disponibili in francese e inglese: le più recenti edizioni inglesi sono proprio di quest’anno, come contributo alle celebrazioni della ricorrenza dell’85esimo dalla nascita. Per questo anniversario, l’Accademia Aitmatov a Londra ha organizzato eventi commemorativi e cineforum in collaborazione con l’Istituto di Cultura russo, mentre si parla di negoziati per una moderna rappresentazione cinematografica tratta dalle opere dello scrittore.
In Aitmatov ricorre la natura chirghisa, il folclore; i legami sociali e familiari, a volte oppressivi e incomprensibili, altre pieni di tenerezza; il mosaico etnico chirghiso, crocevia di lingue e culture – testimoni e narratori sono i bambini, stupiti e sinceri. Il privilegio dell’istruzione nel Kirghizistan sovietico è celebrato con grandi speranze e affettuosi ricordi autobiografici. Ne Il Primo maestro, in particolare, lo scrittore racconta dell’uomo che con vero eroismo e infinita pazienza si trasferì in uno sperduto villaggio chirghiso, insegnando ai bambini a tenere in mano la penna prima di poter insegnar loro a scrivere, e come “essendo appena alfabetizzato lui … riuscì nell’impresa straordinaria: insegnare a leggere e a scrivere a quei bambini i cui padri, nonni e bisnonni erano stai analfabeti”. Il maestro aveva raccontato ai bambini l’esistenza d’una vita più grande fuori dal villaggio, e i bambini ci avevano creduto: diventato uno scrittore, Aitmatov ricordava con gratitudine il maestro, riconoscendo a lui prima che a se stesso il merito del suo successo.
Il villaggio di Aitmatov è lontano nel tempo e nello spazio; le speranze riposte nello studio, le aule rimediate nelle capanne e i libri condivisi sono lontanissimi da Università anche secolari sporcate dalla corruzione, dalla politica, dal nepotismo e da liste di nomi sempre uguali, a danno innanzitutto di chi non appartiene a questo sistema. Per cui si auspica rinnovamento, perchè lo studio è davvero anzitutto la speranza di una vita più grande.
Chingiz Aitmatov è stato l’esponente più importante della letteratura di un paese, il Kirghizistan, la cui cultura è altrimenti poco conosciuta in Europa. Ha raccontato i paesaggi e la società chirghisa con poesia e leggerezza, fino ai confini del paese, quando le lingue dei canti popolari si confondono – e l’atlante della letteratura è meno preciso ma ben più affascinante delle carte politiche.
L’Unione Sovietica costituì senz’altro un periodo difficile e poco felice per le pubblicazioni ufficiali in lingua russa; anni in cui spesso, come descritto da Sergej Dovlatov, scrittore e dissidente, si pubblicava di tutto, fuorchè il talento, si stampavano racconti sempre uguali, banali, retorici, in cui “la cosa più apprezzabile erano le cadute di stile e i refusi” – con però alcune eccezioni di rilievo, che davvero vale la pena leggere.
Commento (1)
Andrew Carey
What an interesting and balanced article about one of Central Asia’s most prolific leaders. Yet another well-researched piece by Ms. Varasano. Grazie!