di Apostolos Apostolou*

La nostra epoca è veramente cambiata. La nostra civiltà è post-industriale, le nostre scienze umane sono post-strutturaliste, la nostra architettura è post-moderna cosi come la nostra arte, il nostro stile di vita, la nostra filosofia, così via. L’uomo post- moderno è il figlio della dilatazione, e così il vero della storia post-moderna diventa un momento del falso. Molte volte la civiltà post-moderna esprime una vita di rinnegamenti sbagliati, d’intempestivi congedi, una vita gravata dalla paura dell’inevitabile disperazione.

Di fronte a una nuova condizione sociale, in cui tutto acquista carattere di avvenimento artificiale (intelligenza, viaggi, velocità, amore, ecc.), là dove il tempo diventa un orizzonte dalla durata regolale, là dove vita privata e pubblica si mescolano e si confondono, originale e copia si uniscono per contrazione, e gli oggetti hanno ormai la forza di imporci le loro regole, dobbiamo essere in grado di premettere una nuova filosofia della vita, una nuova antropologia culturale. Oggi ci troviamo in mezzo ad una crisi sociale, estetica, politica, educativa, la quale supera ogni controllo critico.

Dall’inizio degli anni Ottanta parliamo di una crisi delle autorità in ogni campo. Il prefisso post appiccicato a un termine ormai assestato nella lingua indica la crisi, e diventa il mezzo principale per definire l’ambito delle correnti, delle tenenze e delle mode.

Così se oggi ci sono quadri bianchi nella pittura, la non tonicità nella musica, la non continuità delle immagini al cinema, il testo teatrino che sempre di più si distacca e viene provato come resistenza vocale e l’arte della danza che diventa un’espressione senza del corpo, tutto ciò dimostra la crisi e il bisogno per una poesia artistica rinnovata.

Ecco perché pretendiamo che la rappresentazione sia finita prima ancora di cominciare, visto che la rappresentazione in quanto copia di un’altra non è accaduta mai. È un inizio del non inizio per ricordarvi Derida. Questo peraltro è confermato dai due quadri “le successione” e “la toilette della morte”. Con la fine della rappresentazione ricerchiamo la scrittura poetica al centro delle grandi assenze come direbbe Rilke, la filosofia nella decentralizzazione e la politica nell’inizio dell’incertezza.

La comunicazione oggi è operazionale, o altrimenti non è. Lo stesso succede anche con l’informazione: è operazionale, o altrimenti non è. Così la comunicazione non è un parlare, ma un far parlare, il sapere non è un sapere è un far sapere. Allo stesso modo anche il volere, che è mediato da modelli della volontà, cioè da un far volere. Volere, potere, agire, sapere, desiderare, credere, godere, sono categorie o possiamo dire sono stati per così dire sottilizzati da una sola modalità ausiliaria, quella del fare. L’azione o meglio il verbo attivo ha lasciato il posto all’ausiliare fattitivo e l’azione è una azione tecnicizzata.

Così la vita è una sistemazione definitiva della faccenda. E gli uomini tentano di riconoscere il cenno d’assenso, la certezza della ricompensa. Ma la vita non è argomento bensì una potenza creativa, che ha la necessità di dar forma alla sua forma più profonda.

Lenin ha scritto il “Che fare?” tra l’autunno 1901 e il febbraio 1902 per affrontare i problemi scottanti del movimento d’avanguardia russo. Il “Che fare?” di Lenin lo viviamo oggi però con un altro contenuto. Però, troveremo le risposte alla fine del nostro viaggio quando torneremo alla nostra Itaca. Perché il poeta Omero con Ulisse e Penelope vuole aprire la carta geografica della nostra esistenza seguire col dito le strade percorse e indagare le ragioni che, ad ogni bivio, ci spingono a prendere quella e non un’altra direzione. Per esempio, dietro l’immagine di Penelope ci sono i riconoscimenti dei meccanismi di costruzione della realtà, le idee che bruciano con la verità che esprimono.

Prima, se vogliamo un’ altra antropologia culturale, dobbiamo cambiare il concetto della dialettica. Secondo Omero la dialettica esprime il pretendente di Penelope che si chiama Alcinoo (in greco Ἀλκίνοος). Alcinoo, re dei Feaci a Scheria, era figlio di Nausitoo, fratello di Ressenore e discendente di Poseidone Apollo uccise il fratello che lasciò una figlia, Arete, che si unì in matrimonio con Alcinoo. Da tale unione nacque una figlia di nome Nausicaa. Altri autori indicano come suo padre Feace. Famoso è il suo immenso giardino, pieno di frutti che maturano in ogni stagione magicamente.

La dialettica come ha dimostrato Eraclito non è lo schema di Hegel tesi, antitesi, sintesi, cioè un imperativo categorico ma è la lotta contro il dominio dell’identico, è la ribellione dei particolari al cattivo universale. Per questo, il compito della dialettica eracliana, è quello di sconvolgere le false sicurezze dei sistemi filosofici, politici ed estetici, portando alla luce il non-identico che essi reprimono, ponendo attenzione all’individuale e al diverso che essi trascurano.

La nostalgia dell’ Eden. L’alienazione, e l’ altro. Nestore /nèstore/ (in greco Νέστωρ) è una figura della mitologia greca. Appare nell’Iliade e nel III libro dell’Odissea, e secondo Omero esprime l’alienazione.

Vivevamo nell’immaginario dell’altro (l’altro che era sempre lo stesso) dello specchio dello sdoppiamento e della scena, dell’alterità e dell’alienazione, e oggi nello schermo, dell’interfaccia del raddoppio della contiguità e del sistema reticolare. L’altro vive nelle sue crepe in una metafora definitiva della vita, giace silenzioso tra le nostre righe aspettando pazientemente coloro che daranno le risposte (possiamo ricordare Cnemone, protagonista di una commedia di Menandro).

Estetica, la polimorfa dell’umano. Secondo Omero Eumeo esprime l’estetica. La figura di Eumeo viene descritta, anche dal punto di vista agronomico, come un allevamento modello e una parte consistente di un’isola piccola e pietrosa come Itaca. L’estetica non solo è scienza filosofica del bello e la scienza dell’arte, ma anche un concetto apertissimo che contiene in sé una infinità di operazioni conservatrici o rivoluzionarie. Così se il modernismo era un internazionalismo che voleva unificare, standardizzare i codici di espressione, il post-modernismo in un certo senso è la scia del modernismo. Oggi dobbiamo trovare l’autonomia dell’estetica che allude al tema dell’autonomia e dell’assolutizzazione, dell’individualità, nel momento in cui la fantasia liberata si leva verticalmente verso l’orizzonte.

Siccome i prologhi sono esauriti, è l’unica possibilità, all’alba di un’era in cui niente è come appare, in cui ogni cosa può, da un momento all’altro, capovolgersi nel suo contrario. E il pensiero della necessità respira la vera perdita, dobbiamo dunque essere aperti al fascino dell’enigma della bellezza in cui si rispecchia la semiologia della mitologia, anche se oggi l’ uomo ha smesso di credere alla forza del mito. Ormai è questione di fede.

*Docente di Filosofia

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