di Andrea Falconi

Il 27 maggio il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah ha tenuto un importante discorso pubblico, in occasione del quale ha parlato apertamente, per la prima volta dall’inizio del conflitto siriano, della partecipazione attiva di membri dell’ala militare del movimento libanese alla guerra civile che sta imperversando in Siria dal marzo 2011. Il leader sciita, inoltre, ha ammesso l’esistenza di un costante trasferimento di armamenti siriani verso il Libano attraverso i due corridoi chiave della valle della Bekaa e della strada Damasco-Beirut.

Secondo le parole dello stesso Nasrallah, tali forniture di armi ad Hezbollah sono da considerarsi come una risposta strategica ai raid aerei israeliani che nei mesi scorsi hanno colpito la Siria, l’ultimo dei quali è stato indirizzato contro il centro di ricerca dell’esercito siriano di Jamraya, nei sobborghi di Damasco, dove secondo diverse fonti si concentrerebbe parte della produzione di armi chimiche del regime di al-Asad.

Le dichiarazioni del leader di Hezbollah confermano come il supporto attivo delle milizie del movimento libanese al regime di al-Asad abbia ragioni ben più profonde della comune riconducibilità alla sfera sciita regionale, e risulti dunque un fattore inscindibile dalle più ampie tematiche mediorientali.

Fin dalla guerra civile libanese (1975-1990), la Siria è stato l’attore egemone nel Paese dei Cedri. Anche a seguito degli accordi di Taif, che hanno determinato la fine delle ostilità, Damasco ha potuto mantenere in vita un regime di protettorato sul Paese mediterraneo, tramite uno stanziamento di circa 50.000 militari formalmente inquadrati in una missione di stabilizzazione della Lega araba. La presenza militare siriana nel Paese, alla cui gestione era preposto lo stesso Bashar al-Asad fino al 2000, ha avuto termine solo a seguito della Rivoluzione dei Cedri del 2005, ma le ingerenze siriane in Libano sono proseguite ben oltre quella data, grazie alla presenza di membri dell’intelligence siriano e al ponte garantito dallo stesso movimento di Hezbollah.

Da parte libanese, bisogna considerare come la stessa nascita di Hezbollah, determinata dall’addestramento offerto dai Pasdaran iraniani alle milizie sciite libanesi nei primi anni ’80, abbia permesso la creazione di un asse regionale che coinvolge l’Iran, la Siria ed il Libano, estendendosi così dal Golfo Persico al Mediterraneo sudorientale, ed in particolar modo al confine nord di Israele. Il potere di ricatto che ne deriva verso Tel Aviv, grazie alla possibilità di effettuare attacchi in territorio israeliano tramite lancio di razzi ed infiltrazioni di cellule terroristiche, ha garantito al fronte sciita la possibilità di controbilanciare la supremazia militare israeliana, determinando una fase di stallo nei confronti aperti che dura dal 2006. In tale ottica, il possibile trasferimento di armamento siriano verso il Libano assume una valenza che trascende l’impiego tattico di tali sistemi d’arma quale deterrente ad una possibile invasione israeliana del sud del Libano.

Le capacità militari di Hezbollah risultano al momento ben al di sopra di quelle di un tradizionale movimento di resistenza armata. Fin dagli anni dei confronti con le forze di occupazione israeliane in Libano, tra il 1985 e il 2006, il movimento sciita ha affinato le proprie tecniche di guerra non convenzionale e ha saputo inserirsi nei mercati mondiali della droga e delle armi, diversificando le proprie fonti di approvvigionamento economico e militare. Allo stesso tempo, grazie ad una lungimirante politica di assistenzialismo e di redistribuzione della ricchezza nelle aree di minore presa delle istituzioni centrali libanesi, come il Libano del sud e i sobborghi di Beirut, Sidone e Tiro, il Partito di Dio ha potuto rafforzare i suoi consensi all’interno del Paese, garantendosi un importante appoggio sociale alle proprie rivendicazioni anti-israeliane.

L’attuale dotazione di armamento comprende sia sistemi utili in chiave difensiva, volti a scoraggiare potenziali invasioni terrestri israeliane, come quelle del 1993, del 1996 e del 2006, sia offensiva, come i razzi di corta e media gittata. Per comprendere al meglio le attuali preoccupazioni israeliane e della comunità internazionale, dunque, sarà utile procedere ad un’analisi relativa ad entrambe le tipologie di sistemi d’arma.

Difficilmente tale trasferimento riguarda armamento di tipo convenzionale, come successo, ad esempio, a seguito della guerra civile libica e della conseguente destabilizzazione del Mali. La linea seguita da Hezbollah in Libano, impostata da Abbas al Musawi nei primi anni ’90 e reiterata con la leadership di Nasrallah, infatti, prevede la gestione del potere attraverso le normali istituzioni, e mal si concilia con il potenziale aumento della dotazione di armamento convenzionale, che potrebbe essere utilizzato solamente nell’ambito di un’eventuale guerra civile.

Tale eventualità, inoltre, avrebbe l’effetto di alienare da Hezbollah l’attuale consenso delle comunità cristiane e druse, sul quale si fondano gli ultimi due Governi in cui Hezbollah rappresenta la maggioranza, il Governo Najib Mikati e quello di Tamman Salam.

Infine, secondo le dichiarazioni dello stesso Nasrallah, i miliziani sciiti stanno ricevendo sistemi d’arma mai avute prima, implementando dunque le proprie capacità offensive e difensive.

 

– L’armamento difensivo

Nei vari conflitti che l’hanno vista contrapposta alle forze israeliane, l’ala militare del Partito di Dio ha impegnato le forze israeliane in una guerra di logoramento di tipo non convenzionale. Gli attacchi ai convogli e ai blindati israeliani sono stati realizzati con RC-IED (Remote Control Improvised Explosive Device, ordigni esplosivi improvvisati), con sistemi anti carro, quali gli AT-3 Sagger, i 9M133 Kornet (AT-14 Spriggan), anche nella versione filoguidata AT-5 Spandel, i 9K115 Metis (AT-7 Saxhorn), e con lanciagranate RPG-29 Vampir e RPG-7.

Nell’ambito della difesa aerea, le forze di Hezbollah hanno dimostrato una minore incisività, soprattutto grazie al fatto che il conflitto aereo è stato portato avanti da Israele grazie a velivoli avanzati, quali gli F15 e gli F-16, nonché gli elicotteri Apache, difficilmente raggiungibili dai sistemi di difesa anti aerea a disposizione di Hezbollah. In tal senso, un’eventuale miglioramento della dotazione di armamento terra aria, oltre agli antiquati SA-7 e SA-18 già in dotazione, potrebbe approfondire di molto le capacità anti-aeree di Hezbollah, e rendere molto più complicate le azioni di rappresaglia israeliane in territorio libanese.

 

– L’armamento offensivo

La dotazione comprende un vasto arsenale di razzi a corto e medio raggio, per un totale quantificato dal Pentagono attorno alle 40.000 unità. Tra razzi di corta gittata, la dotazione maggiore riguarda i Katyusha di derivazione sovietica, forniti dall’Iran negli anni ’80 e ’90. Hezbollah risulta in possesso di circa 20 vettori di lancio BM-21 Grad con alcune migliaia di razzi M21-OF da 122mm, nonché di un numero imprecisato, quantificabile attorno alle 2000-2500 unità, di razzi per lanciatori BM-27 Uragan dal calibro di 220mm e gittata massima di 40km, utili a colpire gran parte della piana di Haifa dai siti di lancio del Libano meridionale. Durante il conflitto israelo-libanese del 2006, Hezbollah ha lanciato in territorio israeliano oltre 4000 di tali razzi, sia da piattaforme mobili che da vettori fissi.

Inoltre, nelle fasi finali del conflitto, le fonti governative israeliane hanno riportato episodi di lancio di razzi Khaibar-1 da 302mm, sviluppati a partire dal Fajr-5 iraniano e con gittata massima di circa 100km, che risultano al momento l’armamento a maggior raggio d’azione impiegato dalla milizia libanese.

Sempre secondo le fonti israeliane, inoltre, il movimento libanese avrebbe a disposizione un numero imprecisato di razzi a breve gittata Zelzal e di missili di derivazione sovietica Scud. I primi sono razzi realizzati interamente in Iran, i quali deriverebbero, secondo diverse fonti, dal 9K52 Luna-M (Frog-7) russo. La stessa natura del razzo, tuttavia, che impiega un propellente composito, utile per lo sviluppo di razzi più grandi e per l’aumento del carico bellico, porterebbe a ipotizzare che tale armamento non rientri nei bisogni di Hezbollah, la cui strategia comprende attacchi di dimensioni contenute contro le popolose città settentrionali israeliane, da effettuarsi a partire da siti di lancio poco visibili agli aerei spia israeliani. Peraltro, tali dichiarazioni israeliane non risultano al momento corroborate da evidenze empiriche.

Un’analoga considerazione riguarda i missili tattici Scud. Tali armamenti sono stati largamente utilizzati dalle forze di al-Asad nell’ambito della guerra civile siriana, soprattutto per colpire le città settentrionali di Aleppo e Tel Rifat a seguito della comparsa, nelle mani dei ribelli, di armamenti terra-aria di tipo MANPADS che hanno impedito di reiterare l’impiego, da parte delle forze lealiste, di elicotteri d’attacco di tipo Mil Mi-24 e Mil Mi-2.

Al momento, l’ala militare di Hezbollah non risulta in possesso di tali missili, difficilmente lanciabili senza allertare il possente apparato di difesa preventiva israeliano, nonché a fronte del monitoraggio costante portato avanti nel Libano meridionale dalla missione ONU a guida italiana UNIFIL. Pertanto le dichiarazioni dell’intelligence israeliano devono considerarsi, con ogni probabilità, finalizzate a coinvolgere altri Paesi nel monitoraggio del flusso di armi tra il Libano e la Siria, a fronte di una gittata di tali missili di circa 300km, utili dunque a colpire gran parte dei Paesi dell’area.

Nell’ambito della dotazione di razzi, dunque, l’attuale confronto tra le forze israeliane e quelle siriane ed Hezbollah nelle aree di frontiera, che ha determinato diversi attacchi israeliani a convogli diretti in Libano ed una situazione sempre più instabile nella zone di frontiera di Qusayr e di Baalbek, potrebbe essere incentrato sul possibile trasferimento delle cosiddette armi “sporche”, quali quelle chimiche, impiegabili come possibile payload dei razzi in dotazione. Tale eventualità aumenterebbe esponenzialmente le capacità offensive di Hezbollah, e dunque il potere di ricatto verso Tel Aviv. Le testate a base di agenti chimici quali il Sarin, il Tabun, il VX e il gas mostarda, prodotti dalla Siria in cinque differenti centri e già impiegate con ogni probabilità nell’ambito del conflitto siriano, risultano facilmente montabili sui razzi in dotazione ad Hezbollah, e risulterebbero una combinazione perfetta in particolar modo con i razzi Khaibar-1 (Fajr-5), a fronte del propellente solido impiegato, che permette un tempo di lancio di pochi minuti.

Un’ultima considerazione sull’armamento offensivo riguarda i sistemi missilistici anti-nave, già utilizzati da Hezbollah nel 2006 per colpire la corvetta israeliana INS Hanit. Attualmente, il movimento sciita dovrebbe disporre di un sistema anti nave C-802, derivazione del cinese YJ-8 fornito dall’Iran, con raggio d’azione di circa 100km. Il possibile incremento di tali capacità assume una valenza particolare, laddove la Marina israeliana opera regolarmente a ridosso delle coste libanesi, in una porzione di mare che, se la linea di cessate il fuoco del 2000 denominata “Blue Line” venisse considerata il confine tra i due Paesi, ricadrebbe in territorio libanese per circa 20 gradi. Inoltre, le recenti scoperte di giacimenti di gas in quella zona di mare, al momento individuati e monitorati solo da parte israeliana, renderebbe molto più intenso il traffico marittimo in quella porzione di mare. Pertanto, è probabile che una delle maggiori preoccupazioni israeliane sia proprio quella del possibile trasferimento di ulteriori sistemi anti nave, quali i K-300P Bastion-P (SSC-5) recentemente forniti dalla Russia alla Siria.

La pace esistente tra il Libano ed Israele dal 2006 rappresenta una delle chiavi di volta su cui si poggia l’attuale equilibrio mediorientale, nonché uno dei maggiori successi della comunità internazionale, che mantiene nella zona la missione ONU a guida italiana UNIFIL. Grazie ad essa, esponenti di Israele, Libano ed UNIFIL possono riunirsi periodicamente nell’ambito di incontri tripartito, dove vengono definite alcune questioni bilaterali, quale la stessa collocazione della Blue Line, lo scambio di prigionieri e le modalità di sorveglianza del confine.

La crisi siriana, tuttavia, sta generando ripercussioni sempre più forti sul sistema libanese, e rischia di rimettere in discussione il difficile processo di pace che va avanti dal 1990, sopravvissuto a varie invasioni israeliane e all’assassinio di Rafic Hariri (2005).

Da parte israeliana, Tel Aviv mantiene i più stretti margini di manovra da diversi anni a questa parte, dal momento che non può attaccare apertamente la Siria ed evitare che tale attacco si risolva in una più ampia crisi regionale, con il probabile coinvolgimento iraniano. Inoltre, gli stessi analisti militari israeliani ritengono che non sia possibile colpire il Libano senza che tale attacco esponga le IDF ad un numero incalcolabile di perdite, con conseguenze devastanti sull’attuale rapporto, già di per sé ai minimi storici, tra la classe politica e l’opinione pubblica israeliana. Pertanto, Tel Aviv effettua solamente raid di dimensioni contenute ed eventuali azioni da parte di forze speciali soltanto qualora ritiene che il traffico di armi stia passando i livelli di guardia, per le considerazioni espresse in questo articolo.

Da parte libanese, il movimento di Hezbollah sta approfittando dell’attuale crisi siriana per acquisire addestramento sul campo ed aumentare il proprio arsenale militare. Per quanto riguarda le possibili ripercussioni di un’eventuale crollo del regime siriano, non è assolutamente scontato che il movimento sciita, forte dell’appoggio iraniano e di proprie fonti di finanziamento sempre più globalizzate, ne risulti indebolito. Il Partito di Dio, infatti, potrebbe sostituirsi al regime alawita quale partner indispensabile di Paesi che perderebbero i privilegi attualmente garantiti da al-Asad, come la Russia, interessata a mantenere una base navale nel Mediterraneo.

Allo stesso tempo, tuttavia, il Partito di Dio sta gradualmente perdendo i consensi presso la comunità sunnita libanese, in maggioranza solidale con il fronte ribelle siriano. La crisi ha già portato alla caduta del Governo Mikati ai primi di marzo e a forti scontri tra i miliziani di Hezbollah e alcuni esuli siriani nella città di Baalbek nei primi di giugno. La situazione potrebbe evolversi in una nuova guerra civile, laddove il sistema politico libanese non riesca a ricondurre entro i normali canali istituzionali l’attuale contrasto tra le due comunità musulmane del Paese.

 

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