di Apostolos Apostolou*
Callicle (Atene, V secolo a. C. – forse seconda metà del V secolo a. C.) è un misterioso sofista, è il principale interlocutore di Socrate nel Gorgia di Platone. La sua figura di giovane ateniese aristocratico e dalle idee antidemocratiche ha indotto gli interpreti a porre varie ipotesi sulla sua identità: oltre al Gorgia, infatti, di Callicle non si hanno notizie in altri testi.
Secondo Callicle le leggi sono soltanto degli artifici che hanno lo scopo di difendere i meno forti, vale a dire quelli con capacità inferiori, ma dall’altra parte ostacolano il raggiungimento del proprio bene da parte dei più forti. Nel corso del dialogo tra Socrate e Callicle, il giovane ateniese, messo più volte in difficoltà dal filosofo, decide sdegnosamente di abbandonare la discussione, lasciando campo libero all’avversario che può terminare da sé il proprio ragionamento, dimostrare che è meglio scegliere una vita morigerata dedita alla filosofia e alla virtù, e narrare un mito escatologico in cui vengono ribaditi questi principi.
Però molti hanno frainteso la filosofia di Callicle. Perché quando Callicle parla dei più forti, sostiene che i più forti sono quelli che riescono a “estroflettere” qualcosa che possa avere una propria autonomia della vita. Sono quelli che hanno la virtù. (Platone, Gorgia 489 c3, 490 a8, 489 e5, 483 c2. Il traduttore italiano F. Antorno non traduce nel testo greco originale la frase (πλέον έχειν) che significa “un avere di più”, frase molto importante per la filosofia di Callicle.
La forza della politica funziona più come volontà politica, come arte, o scienza, attraverso cui la pluralità riesce convivere. Callicle vede la politica nel suo significato essenziale e anzitutto vede l’esperienza del limite. Crede che l’uomo sia forte, perché l’uomo è la volontà della verità. L’uomo così diventa un concetto della realtà transeunte e particolare su cui bisogna agire. E con la sua libera volontà può e deve crearsi il suo mondo.
Questa forza non è una forza deterministica dell’attività umana, ma è lume che fa discernere il bene dal male, è la volontà che aiuta a risollevare i valori crollati, regola che disciplina le cose perché non vadano contro la loro natura. L’uomo è postulato da Callicle attivo e impegnato nell’azione con tutte le sue energie, virilmente consapevole delle difficoltà che ci sono e pronto ad affrontarle e superarle. Secondo Callicle dove vi è una volontà vi è una strada.
Le sconfinate forze dell’azione, delle passioni, dell’intuizione, della fede, convergono in esso, in un’integrità armonica nella quale l’uomo si completa. La volontà umana possiede di guidare la realtà, di piegarla ai propri orientamenti, di farsi artefice della storia. Però qualunque potere è fatto dall’Egemonia del Principe. La potenza, infatti, indica la semplice possibilità di un ente di tradursi in un atto che può realizzarsi o meno.
La concomitanza fra il pensare e il fare c’è anche nella filosofia di Stirner, e nella filosofia di Tommaso d’Aquino. La verità è semplicemente ciò che è, è l’esistenza unica dell’azione e proprio della forza, secondo Stirner. Il fondamento su cui poggia l’unico, il singolo effimero ed immediato, è la sua stessa esistenza fisica e concreta, la sua vita che si dissolve e si consuma. Ma anche la verità, secondo la definizione di Tommaso d’Aquino, è nella corrispondenza del pensiero con l’azione, ed è vera solo la formula di quei movimenti i cui fatti politici sono contestuali all’elaborazione dottrinaria.
Tuttavia, la figura di Callicle ha rivestito un ruolo importante nella storia della filosofia, soprattutto nel pensiero di Friedrich Nietzsche che trovò l’arrembante giovane ateniese ben più persuasivo del sileno Socrate. “Dio è morto”, proclama Nietzsche, operando un totale azzeramento di valori che decreta il rifiuto assoluto di ogni ideale e valore su cui la civiltà ha costruito per secoli la propria regola di comportamento.
L’irruzione del nichilismo tradisce il nulla che ne era il fondamento nascosto; la terra si snatura e va verso la sua decadenza: se Dio è morto non ha più senso parlare di bene e di male, di giusto e di ingiusto, la verità stessa è labile, perché chi dovrebbe conoscerla o constatarla ha perso il potere di ri-conoscerla e fissarla come contenuto di coscienza. L’uomo è stato ridotto a contenitore di coscienza storica, passivo spettatore degli eventi, incapace di vivere il presente. Il sapere non fine a se stesso, ma preludio dell’utile, la storia che grava sulle spalle della società moderna, vanno combattuti perché impediscono all’uomo di “fissarsi sulla soglia dell’attimo”.
Il processo di soggettivazione caratteristico dell’epoca moderna è visto da Foucault come estensione, come tecnica principale del potere; una forma di potere che “è rivolta all’immediata vita quotidiana che categorizza l’individuo, lo segna della sua individualità, lo fissa alla sua identità, gli impone una legge di verità che egli deve riconoscere e che altri devono riconoscere in lui”.
Il nocciolo del potere è il “biopotere”, il potere che si esercita positivamente sulla vita, nel senso che la gestisce, la potenzia, la plasma riuscendo a regolarla e controllarla in modo sempre più capillare e preciso. Il potere è una relazione fra individui e la società è attraversata da rapporti di potere: ogni rapporto sociale è un rapporto di potere perché il soggetto, animato da volontà di potenza, è per sua natura polemico e guerreggiante. Suo oggetto è il corpo dell’individuo e il corpo-specie della popolazione; le discipline del corpo e i saperi che mirano a regolare la popolazione costituiscono i due poli attorno ai quali si è sviluppata l’organizzazione del potere sulla vita.
*docente di filosofia
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