di Marco Granato
Il 30 agosto 2015, l’amministratore delegato di Eni Descalzi ha comunicato la scoperta di un giacimento di gas presso il prospetto esplorativo Zohr, al largo delle coste egiziane. L’individuazione del giacimento, a fronte di una consistenza stimata di 850 miliardi di metri cubi di gas, potrebbe avere importanti ripercussioni sulla politica interna dell’Egitto, nonchè sul quadro strategico dell’area del Mediterraneo orientale e sul mercato internazionale degli idrocarburi.
Il 9 settembre scorso, Descalzi ha tenuto un’audizione informale presso il Senato della Repubblica Italiana, presentando la portata del giacimento scoperto ed i possibili risvolti per Eni e per l’Italia. La consistenza del giacimento, secondo le fonti dell’azienda, potrebbe essere anche superiore a quella stimata, poiché sotto il giacimento in questione ve ne sarebbe un altro, anch’esso di dimensioni considerevoli ma di qualità da verificare. Il giacimento attualmente noto, al contrario, presenta un gas di ottima qualità, «praticamente metano» nelle parole di Descalzi stesso, e richiederebbe dunque spese limitate per la lavorazione. Contemporaneamente, i livelli di pressione e temperatura del giacimento renderebbero relativamente facile il processo di estrazione. Le autorità egiziane hanno dimostrato la volontà di iniziare le estrazioni quanto prima, al momento si ritiene nel 2017. La produzione stimata sarebbe di 30-35 miliardi di metri cubi l’anno, quasi sufficienti a coprire da soli il fabbisogno energetico egiziano, che si aggira intorno ai 45 miliardi.
Non è possibile comprendere la politica dell’Egitto senza considerare il ruolo preponderante rivestito dalle sue Forze Armate. L’argomento è molto vasto e verrà dunque trattato qui di seguito in modo sintetico. A partire dal 1952, in seguito alla presa di potere da parte dei Liberi ufficiali, lo Stato egiziano si è retto su due pilastri: le Forze Armate e la burocrazia. Questi due apparati erano e sono tuttora strettamente collegati e si influenzano a vicenda, anche se dei due il più potente è indubbiamente il primo. L’Esercito egiziano è una sorta di Stato nello Stato, nel senso che gode di una grandissima autonomia amministrativa. Non solo, è l’Esercito che di fatto nomina le più importanti cariche dello Stato, spesso ricoperte da militari in pensione. Gli ufficiali costituiscono una classe sociale vera e propria, ma si può constatare che un numero considerevole di essi provenga da famiglie di proprietari terrieri o comunque sia di origini più umili. Questo fa sì che l’esercito venga in qualche modo visto come un’ istituzione in cui il popolo è tutto sommato rappresentato, un’ istituzione che sa essere vicina alle problematiche che maggiormente interessano la popolazione. Un altro aspetto da tenere in considerazione è il fatto che diversi esponenti dei quadri dirigenti abbiano ricevuto la loro formazione militare ed accademica all’estero, venendo a contatto con la cultura e la mentalità occidentali e tornando poi nel proprio paese natio forti delle esperienze maturate e delle capacità acquisite. Come conseguenza, spesso fu proprio la classe militare a favorire alcune innovazioni nel Paese. L’influenza delle Forze Armate si esplicita appieno nella politica economica, principalmente orientata verso la realizzazione e lo sviluppo di grandi attività di portata nazionale, supportate da infrastrutture altrettanto importanti, vedasi il recente raddoppiamento del canale di Suez. Questa linea trova fondamento nell’impostazione socialista di epoca nasseriana, che portò anche alle varie nazionalizzazioni di imprese estere, ricorrenti nella storia dell’Egitto. Tale politica ha avuto la ripercussione di non favorire la nascita di una classe media borghese, fondamento imprescindibile dei meccanismi di partecipazione democratica. Tuttavia, come si descriverà a breve, la politica economica di al-Sisi sembra voler iniziare a muoversi in una direzione leggermente diversa.
Il settore dell’energia riveste un ruolo preponderante nell’economia egiziana; il primo prodotto esportato è proprio il petrolio greggio, mentre la prima delle importazioni è rappresentata dal petrolio raffinato, infatti, benché l’Egitto sia il paese africano con la massima capacità di raffinazione, il grande fabbisogno interno spinge il Paese ad importare idrocarburi; idrocarburi destinati per buona parte alla produzione di energia. Va specificato che le carenze nella produzione elettrica, con la conseguente instabilità sociale, sono state una delle più importanti cause dell’impopolarità di Morsi. La linea di al-Sisi è indirizzata in senso alquanto liberale: vi è stata una grande riduzione dei sussidi al settore energetico, che dovrebbero essere aboliti nel lungo termine; lo sviluppo delle infrastrutture, in particolare il Nuovo Canale di Suez, terminato in tempi record; un potenziamento per quanto concerne gli impianti di produzione di energia elettrica, settore interessato da una recente legge di liberalizzazione; una riforma del sistema tributario; alcune limitazioni agli stipendi dei dipendenti pubblici ed un aumento delle spese nei settori della sanità e dell’istruzione, le quali ora sono superiori rispetto ai citati sussidi al settore energetico.
Tra gli obiettivi più di lungo corso del Governo vi sono la riduzione del debito pubblico ed il raggiungimento di più eque condizioni sociali. Per quanto concerne la misura che più profondamente interessa il settore dell’energia, vale a dire la riduzione dei sussidi, questi dovrebbero scomparire in futuro, ma non saranno toccati quelli per carburanti ed energia elettrica acquistati dalle fasce più povere della popolazione. Questa politica inoltre incentiverà di meno le attività ad alta intensità di capitale, laddove le attività ad alta intensità di lavoro sarebbero più consone ad uno sviluppo del Paese, poiché favorirebbero la creazione di posti di lavoro. La scoperta di Zohr fa sembrare che questi obbiettivi siano più vicini, più concreti e dà allo Stato egiziano la certezza quanto meno di avere, in futuro, un’autosufficienza dal punto di vista energetico, fattore determinante per garantire la stabilità sociale. Nel mese di agosto, durante il suo viaggio in Russia, Al-Sisi ha firmato un accordo per costruire un reattore nucleare in Egitto, sempre nell’ottica di una maggiore sicurezza energetica. Tale sicurezza, oltre a rendere più solido l’esecutivo per il motivo già spiegato, potrebbe incoraggiare gli investimenti dall’estero.
L’azione internazionale del Presidente al-Sisi ha visto il rafforzarsi dei legami con l’Italia, prima destinazione delle esportazioni egiziane: Renzi è stato il primo capo di governo a recarsi in Egitto per incontrale al-Sisi dopo la salita al potere di quest’ultimo, rafforzando i già solidi legami economici, in particolare nel settore dell’energia. Vista la recente scoperta del giacimento, sul quale Eni detiene la licenza esplorativa, ci si può aspettare che i rapporti tra Egitto e Italia vadano rafforzandosi notevolmente. La scoperta potrà avere ripercussioni anche sui rapporti con Israele: la notizia della scoperta del giacimento è giunta contestualmente ad un rallentamento della crescita economica del Paese. Per di più, l’Egitto è attualmente dipendente dal gas di Israele che, d’altra parte, avrà bisogno di un mercato a cui poter fornire il gas estratto in futuro dal giacimento Leviathan. Del gas estratto da tale giacimento, il 60% dovrebbe essere destinato al consumo interno, mentre il rimanente 40% dovrebbe essere esportato. La scoperta può dunque compromettere gli interessi israeliani sul piano energetico, ma d’altra parte può avvantaggiarlo da un punto di vista politico.
Se la sicurezza energetica è stata uno dei punti deboli del governo guidato da Morsi, una maggiore stabilità in questo settore darebbe, di riflesso, maggiore stabilità al governo attuale, guidato da militari e contrapposto ai Fratelli Musulmani, dunque relativamente ben visto da Israele. Inoltre, importare meno gas da Israele, o non importarne affatto, rafforzerebbe nettamente al-Sisi davanti all’opinione pubblica del proprio paese, avversa ad Israele stesso. Il fatto che l’Egitto compri meno idrocarburi da Israele potrebbe spingere le compagnie interessate a fare pressione su Gerusalemme affinché indirizzi le esportazioni di idrocarburi verso Ankara; un’iniziativa che striderebbe con l’attuale distanza diplomatica tra Turchia ed Israele, ma che potrebbe rappresentare una possibile soluzione, poiché la Turchia ha una domanda di gas in forte crescita e, vista la sua volontà di differenziare le proprie fonti di approvvigionamento, potrebbe essere incline ad un accordo su questo piano.
Molto interessante è anche la posizione dell’Algeria: nel 2015, l’Egitto ha stretto accordi per la fornitura di gas algerino tra il 2016 ed il 2020, mentre le estrazioni da Zohr dovrebbero iniziare nel 2017. Il venir meno di questa fornitura sarebbe decisamente deleterio per l’Algeria: gli idrocarburi costituiscono ben il 95% dei guadagni totali delle sue esportazioni. Tali esportazioni sono state penalizzate dal basso livello dei prezzi del petrolio e dal contemporaneo aumento dei consumi interni di carburante ed elettricità. Dalla sua parte, l’Algeria ha una relativa solidità finanziaria che dovrebbe risparmiarle, sia pure nel breve periodo, un indebitamento con l’estero. Il Paese accuserebbe comunque un duro colpo perdendo il mercato egiziano, un colpo che potrebbe aggravare la già delicatissima situazione interna.
La recente scoperta del giacimento Zohr dà solidità all’attuale governo egiziano e dovrebbe portare il Paese alla quasi autosufficienza energetica. Per quanto riguarda lo scenario mediterraneo, ne risulteranno danneggiati Israele ed Algeria. Israele, in particolare, compenserà la perdita di un importante mercato con il vantaggio politico del consolidamento in Egitto del governo militare, nemico dei Fratelli Musulmani, e potrebbe iniziare ad esportare il gas estratto da Leviathan verso la Turchia, che da parte sua potrebbe avere un interesse ad iniziare un simile rapporto commerciale.
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