di Michele Marchi
Anche se nel momento in cui si sta scrivendo questo commento non è chiaro se il nuovo presidente dell’UMP sarà Jean-François Copé, secondo i dati ufficiali vincitore per 98 voti, o François Fillon, pronto a fare ricorso perché 1300 voti di cittadini dei territori d’Oltre Mare non sarebbero stati conteggiati, la lunga primaria della destra repubblicana francese ha chiaramente evidenziato vincitori e vinti.
Tra gli sconfitti è senza dubbio lecito annoverare l’UMP stesso e i due candidati alla presidenza. Nel campo dei vincitori possono essere ascritti il presidente Hollande e in generale il PS, Jean-Louis Borloo e il nuovo movimento politico centrista UDI, Marine Le Pen e il FN e infine l’“uomo dell’ombra” di queste primarie, ossia Nicolas Sarkozy.
Procediamo con ordine. Tutti sconfitti all’UMP. Il primo partito di opposizione è ridotto ad un cumulo di macerie. Chiunque sarà il nuovo presidente eredita un partito lacerato, non solo perché diviso a metà tra sostenitori di uno e dell’altro candidato, ma anche perché Copé e Fillon sono portatori di due visioni profondamente differenti di partito. Lo scontro delle primarie non era soltanto tra due profili e due esperienze politiche agli antipodi, ma era innanzitutto ideologico. Copé è infatti il sostenitore di una destra identitaria, di movimento e proiettata alla riconquista di una parte di voti passati di recente al Fronte Nazionale. Insomma il capofila della “linea Buisson” (il consigliere politico di Sarkozy proveniente dall’estrema destra), che predica ostilità nei confronti di una “gauche morale”, almeno quanto verso una destra liberale ed europeista giudicata “molle”. Fillon si è al contrario presentato come capofila di una destra pragmatica, umanista ed europeista, più propensa a guardare al centro e ai delusi del PS. L’ipotesi Copé rivoluziona l’idea originaria dell’UMP, ripartendo dall’evoluzione impressale da Sarkozy. La via Fillon vuole chiudere tra parentesi, magari senza esplicitarlo, gli anni Sarkozy e ripartire dal 2002 e dall’intuizione della coppia Chirac-Juppé. Dopo i colpi bassi e gli scontri dell’ultimo mese e dopo l’esito contestato è evidente come le differenze siano destinate a cristallizzarsi. L’ipotesi più accreditata è quella di una presidenza di “tregua”, magari gestita dal fondatore Alain Juppé. Un punto è certo: gli approcci di Copé e Fillon sono entrambi determinanti per delineare il futuro della destra repubblicana francese. Nel 1995 Chirac e nel 2007 Sarkozy (il 2002 è un caso troppo peculiare) avevano trovato la formula vincente, il primo piuttosto guardando al centro e il secondo strizzando l’occhio alla sensibilità della destra estrema. Dopo queste primarie l’UMP, è se possibile ancora più indietro nel tentativo di uscire da questa impasse, che da ideologica nel 2014 (elezioni municipali ed europee) diventerà anche elettorale
Il campo dei vincitori è piuttosto affollato. Il presidente della Repubblica è, senza naturalmente dichiararlo, tra i più felici per l’esito confuso delle primarie della destra. Il caos UMP giunge nel momento in cui il suo livello di popolarità è al punto più basso e contribuisce ad oscurare, almeno in parte il nuovo declassamento del Paese da parte di Moody’s, dopo quello di S&P del gennaio scorso. Una boccata di ossigeno per Hollande e la possibilità per tutto il PS di attaccare la destra, che nel 2008 aveva stigmatizzato lo scontro all’ultimo voto tra Aubry e Royal per la guida del partito.
Jean-Louis Borloo circa un mese fa ha lanciato l’Union des Démocrates Indépendants, un progetto politico con l’obiettivo esplicito di restaurare quella tradizione centrista, liberale ed europeista che, tra fine anni Settanta ed inizio anni Novanta, era parsa trovare un’incarnazione nell’UDF giscardiano. In caso di conferma di vittoria per Copé, ma in ogni modo di fronte ad un UMP profondamente diviso, la carta del centro può tramutarsi nel rifugio (magari temporaneo) di elettori di destra delusi o addirittura di eletti che non accettano la droitisation dell’UMP (vedi il caso di Pierre Méhaignerie, appena passato all’UDI).
Non ha poi nascosto la sua soddisfazione Marine Le Pen, la quale ha avuto gioco facile nel denunciare le querelles interne all’UMP,la sua scarsa affidabilità come partito di governo, per non parlare di quella come principale forza di opposizione.
Infine Nicolas Sarkozy. Copé e Fillon hanno avuto il merito di far “resuscitare” Sarkozy. L’ultimo sondaggio parla del 64% dei simpatizzanti della destra che lo rivorrebbe come candidato nel 2017. Anche se Copé ha fatto di tutto per presentare il suo progetto politico in linea di continuità con quello di Sarkozy, l’ex presidente si è mantenuto lontano da qualsiasi partecipazione diretta. La strategia dell’“uomo dell’ombra”, del padre nobile e di colui che costituisce una sorta di risorsa sicura per la destra escono rafforzate nel momento in cui il partito del quale è stato presidente dal 2004 al 2007, ma che soprattutto lo ha condotto all’Eliseo, si presenta come un campo di macerie. In definitiva il problema della leadership, come quello ideologico e delle alleanze, rimane intatto al termine delle primarie.
Nelle prossime settimane si vedrà se, oltre al nome del nuovo presidente, la destra transalpina sarà in grado di presentare una chiara linea politica. Se vi è un insegnamento da trarre, per la politica italiana, questo riguarda il carattere falsamente taumaturgico delle primarie. Meccanismo certo prezioso di selezione in vista di un voto nazionale, le primarie diventano pericolose e potenzialmente laceranti se si sostituiscono alla dialettica democratica interna ad un partito. Quando allo sforzo pedagogico e al lavoro sulla cultura politica si sostituisce l’aut aut di un voto, il rischio concreto è quello della diaspora e della scissione. A maggior ragione poi se il soggetto politico in questione, pur dimostrando ottime capacità di mobilitazione elettorale, presenta un’istituzionalizzazione interna debole. Per non parlare poi, nello specifico dell’UMP, del profilo sociologico degli aderenti che non corrisponde assolutamente a quello dei simpatizzanti e dell’elettorato potenziale. Così si spiega il grande vantaggio attribuito a Fillon nei sondaggi, non tramutatosi poi in voto reale degli iscritti. In definitiva un monito giunge d’oltralpe: vietato illudersi che le primarie siano la panacea per tutti i mali.