di Chiara Moroni*

Il recente fallimento elettorale del Pdl non è frutto inaspettato dell’avversa congiuntura politica, o comunque non lo è totalmente. Il Pdl sconta certamente l’ondata di malcontento che ha colpito tutta la politica italiana, ma i motivi della crisi che sta attraversando vanno ricercati altrove: in primo luogo, nel fallimento della prova di governo – e non tanto, come molti al suo interno sostengono, per l’appoggio dimostrato al Governo Monti –; in secondo luogo nella natura stessa del partito e quindi nella leadership esclusiva e pervasiva di Berlusconi che ha mancato di interpretare la scelta più importante per il partito: avviare un’azione costante e credibile di formazione della classe dirigente che potesse esprimere un leader capace di sostenere il partito una volta terminata la propria parabola politica.

Alla prova dei fatti il Popolo della libertà ha dimostrato di non saper sostenere con successo l’esperienza di governo e per quanto le dimissioni siano state auspicate da poteri internazionali politici ed economici, è indubbio che il governo Berlusconi abbia dimostrato la reale incapacità di far fronte alle conseguenze della crisi internazionale, per di più sostenendo una politica contraria nei fatti a quanto sostenuto e promesso in campagna elettorale.

Oggi, però, il Pdl paga anche limiti stringenti legati sia alle dinamiche che lo hanno portato alla luce, sia alla sua identità politica e culturale.

Il Popolo della libertà, nato da un’intuizione tattica di Berlusconi, non si è saputo trasformare in quella grande forza liberale e moderata, auspicata dai molti fautori e sostenitori della creazione del partito unico del centrodestra, articolata al suo interno e capace di essere luogo di confronto e di elaborazione di idee e progetti.

Il fallimento è certamente attribuibile all’incapacità di realizzare procedure decisionali e deliberative interne effettivamente democratiche, al pari di altri grandi partiti europei, lasciando, così come accadeva per Forza Italia, che le dinamiche interne fossero guidate sempre ed esclusivamente da rapporti di subordinazione e fedeltà personale al leader.

Inoltre, il progetto del Popolo della libertà poteva avere un successo duraturo solo se interpretato in termini di post-berlusconismo, evitando che si realizzasse, al contrario, l’ennesima strategia di marketing politico per il rinnovo del contenitore, che avrebbe continuato a mantenere un contenuto esclusivamente e limitatamente calibrato sulla leadership di Berlusconi.

Che il potere carismatico di un leader politico possa istituzionalizzarsi tanto da trasferire le proprie capacità di coinvolgimento e suggestione sulla nuova classe dirigente è estremamente raro, ma questa via resta l’unica possibilità, per un partito così caratterizzato, di sopravvivere al suo leader. Perché ciò avvenga la classe dirigente dovrebbe essere in grado di preparare la successione e scongiurare il pericolo che il partito si trovi impreparato ad affrontare le inevitabili “lotte di potere” per il dopo Berlusconi.

Il Popolo della libertà si è rivelato essere, quindi, una copia organizzativa di Forza Italia, ma con maggiori problemi di armonizzazione delle diverse componenti, guidato da una visione di brevissimo periodo, incapace di attivare effettive procedure di cambiamento interno, e sapendo prospettare – sempre sotto l’egida del leader Berlusconi – solo un ennesimo re-styling organizzativo, nuovi ruoli dirigenziali ma con effettiva poca autonomia decisionale.

Ciò che sta accadendo in questi giorni all’interno del Popolo della libertà è quello che molti osservatori hanno paventato fin dalla sua “singolare” fondazione. Discutere solo di cause contingenti sarebbe quanto mai miope da parte della dirigenza e impedirebbe di progettare una nuova proposta politica capace di convincere con la propria credibilità quella gran parte di elettorato moderato di centro destra oggi privo di una rappresentanza politica efficace.

* Docente di Comunicazione politica nell’Università “La Tuscia” di Viterbo e autrice del volume, appena uscito per i tipi dell’editore Rubbettino, Genesi e storia del Popolo della libertà. Quale futuro per un partito unico del centrodestra.

 

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