di Antonio Capitano

élite ‹elìt› s. f., fr. [femm. sostantivato di élit, antico part. pass. di élire «scegliere»]. – L’insieme delle persone considerate le più colte e autorevoli in un determinato gruppo sociale, e dotate quindi di maggiore prestigio: l’é. della società o di una società; l’é. intellettuale della città, del Paese; fare parte dell’é. o di una é.; come locuz. agg., d’élite, destinato a una élite, e quindi particolarmente scelto o raffinato: uno spettacolo d’é. (v. anche elitario). In partic., nella sociologia di V. Pareto (1843-1923), gli individui, più capaci in ogni ramo dell’attività umana, che, in una determinata società, sono in lotta contro la massa dei meno capaci e sono preparati per conquistare una posizione direttiva. (Vocabolario on line Treccani)

Diversi autorevoli commentatori sostengono che oggi un’èlite sia l’unica soluzione che può farci recuperare credibilità sui mercati internazionali. Di questi tempi quello che serve è un esecutivo che “salvi” e faccia “crescere” il Paese.

Pochi obiettivi. Espressi in termini molto semplici. Credibilità. Fiducia. Quadratura dei conti. Riduzione degli spechi. Rispetto per ciascun cittadino italiano assicurando sicurezza sociale e tassazione giusta.

Ecco perché dalle ceneri dell’Italia sgualcita, malridotta, violentata e eterodiretta è nato un Governo “strano” per stessa ammissione del Presidente del Consiglio. Un Governo sobrio, austero che possa di nuovo accendere la luce dell’Italia spenta da una politica eclissata e anestetizzata per manifesta incapacità di prendersi la responsabilità di tirare fuori il Paese dai guai. Ma è un governo di breve, medio o lungo periodo? Cosa faranno in futuro i loro componenti? Forse questo è lo scenario da approfondire. E’ un governo a tempo, o è tempo di un governo frutto dell’antipolitica e delle pressioni planetarie? La Terza Repubblica potrà nascere senza l’elemento “elettorale” restituendo ai cittadini la possibilità di scegliere la classe dirigente che nel frattempo dovrà essere generata o rigenerata? Quale architettura costituzionale dovrà avere la terza repubblica? Non dovrà forse rispondere a quelle “formazioni sociali” a quel pluralismo oggi decisamente declassato o eclissato insieme alla politica che necessita di un nuovo Rinascimento?

Secondo l’autorevole analisi di Giuseppe De Rita esposta in un articolo apparso sul “Corriere della Sera” del 23 gennaio scorso l’attuale compagine governativa si configura quale una “terza élite” che segue i primi due esempi di una “dimensione tecnica”.

Ebbene, questa “terza élite” oggi è formata da tanti direttori d’orchestra. Ma manca l’orchestra. Manca dunque la società. Manca la poltica. Manca la rappresentanza. In questa Italia inclinata, l’immagine della nave è purtroppo attuale e adeguata. “Nave senza nocchiero in gran tempesta”, avrebbe detto Dante. Ma il “nocchiero” non è solo in questo momento; in nome dell’Europa “unificatrice”, la “Trinità” (Alfano, Bersani, Casini) dei Monti sostiene l’esecutivo degli esperti, posticipando l’appuntamento con le rispettive basi ed elettorato.

Dunque, tornando alla lucida disamina di De Rita, la prima èlite (Beneduciana) del dopoguerra non governò direttamente “perché la politica era allora ben forte e radicata; e perché furono così intelligenti da non sovrapporre la loro cultura e il loro potere ai partiti, che si sentirono così protagonisti della ricostruzione prima e del boom economico poi”.

La seconda èlite ebbe – per De Rita – protagonisti decisamente elitari (Amato e Ciampi, e poi Dini). Erano diversi dai «beneduciani» del dopoguerra, ma furono altrettanto decisi nell’affrontare le enormi difficoltà di quel periodo; ed altrettanto discreti con l’obiettivo di far crescere il processo di unificazione europea (parametri di Maastricht e moneta unica compresi). “Nessuno di loro però si rese conto che quel processo andava gestito sia nel governo dell’Europa, per ovviare al vuoto spinto degli organismi comunitari, sia nella gestione delle cose italiane per contrastare il vuoto altrettanto spinto della cosiddetta Seconda Repubblica e del berlusconismo”.

La terza èlite, nasce da tante cose insieme. Dalla cattiva politica, dagli scandali e dalla corruzione a vari livelli compresa quella dei costumi. Nasce dal rifiuto della casta da parte della gente disgustata. Nasce dall’incapacità manifesta dei politici nominati. Nasce dal porcellum. Nasce dalla crisi finanziaria. Nasce da un governo del Presidente che in tempi brevissimi ha cambiato prassi costituzionali dando una connotazione anche politica alla squadra del neosenatore a vita, con una compagine “più eterogenea delle due precedenti (l’aggettivazione «bocconiana» le sta stretta visto il peso di alcuni leader cattolici e di alcuni alti burocrati); ma il mandato è praticamente lo stesso: fronteggiare un potenziale disastro («salva Italia») e impostare un possibile futuro («cresci Italia»)”.

Che ne sarà dell’Italia ancora non si può sapere. La vita di questo Governo oggi non dipende tanto dai pacchetti approvati o dai richiami europei. Ma ciò che rimane della “politica” lo sta connettendo alle vicende della Regione Lombardia. Riflessione certamente triste, poiché certe forze politiche non giudicano il lavoro di questo Governo anomalo, ma tentano di ostacolare il medesimo lavoro (leggi liberalizzazioni, riforma del mercato del lavoro, ecc.) non offrendo nulla in cambio se non il mantenimento dello status quo e, dunque, in caso di elezioni sublimare l’istituto della nomina in luogo di quello della scelta. E qui si concorda con De Rita quando afferma che “la possibilità che si possa creare uno spazio vuoto invitante e tentatore per chi nella terza élite voglia far politica”, e “dall’altro lato è certo che un giorno o l’altro si ritroveranno in campo l’istinto e la voglia di sopravvivenza di una classe politica che può accettare una supplenza temporanea ma non una sostituzione di lungo periodo”. Il Presidente del Censis ravvisa evidenti debolezze da parte della attuale compagine di governo”: essa non ha per ora espresso un traguardo futuro preciso nei contenuti e coinvolgente per l’emozione collettiva («cresci Italia» è più labile del mito dello sviluppo degli anni ‘50 e della utopia europea degli anni ‘90); e l’altra debolezza sta nel carattere composito dell’élite attuale, nella quale a medio termine ci saranno ambizioni diversificate (fare un partito, magari cattolico; sviluppare grande leadership europea; consolidare un ruolo politico nazionale; restare come mitici salvatori della patria; ed altro ancora) .

Dice bene Emanuele Macaluso quando sostiene che il Governo “tecnico” di Monti rappresenti un’anomalia poltica: dato che ha ottenuto la fiducia del Parlamento, ma i partiti che l’hanno votata non sono rappresentati nell’esecutivo e dicono che non si identificano con esso. E aggiunge “a me pare che il governo esprima la crisi e l’impotenza dei partiti e, al tempo stesso, una necessità avvertita dal paese da una pesantisima crisi economica e sociale”.

E’ del tutto evidente che la formazione e il rinnovamento delle classi dirigenti e delle élites politiche sia stato un problema per tutti i regimi e in qualsiasi epoca. Quando si produce una sclerotizzazione delle classi dirigenti e di conseguenza si determina un mancato ricambio della classe politica è inevitabile che questa situazione si ripercuota sul funzionamento delle istituzioni e anche nel rapporto tra governanti e governati e per dirla con Cassese in una “Società senza Stato”.

Per Gioberti gli uomini politici non dovevano essere scelti né per privilegi di nascita né per censo, e la loro «capacità rappresentativa» avrebbe dovuto derivare dalla loro «capacità». In relazione alle “specifiche esigenze” che richiedeva una «varietà d’ingegni», questi uomini dovevano avere una «capacità speciale»: l’«ingegno civile». In una parola l’eclissi delle èlites. Ecco questa pare davvero un’immagine che potrebbe essere attuale. Da questa esclissi potrebbe davvero nascere la Terza Repubblica, magari fondata su ragioni meritocratiche, allargando quanto possibile le basi della rappresentanza a tutti i livelli. La crisi politica – insiste Macaluso – è nei partiti. Ed è confermata dal fatto che nessuno di loro. Sino ad oggi, ha indicato una strategia e un sistema di alleanze in grado di tracciare una via di uscita attraverso un rinnovato impegno politico. Una nuova legge elettorale potrebbe essere un segnale forte, unitamente a quello dell’autoridimensionamento del “parlamentare medio” in termini di privilegi; oggi c’è un ceto medio di massa che non ha le caratteristiche di una borghesia autorevole. Un concetto questo ben spiegato nell’ultimo lavoro di De Rita “L’eclissi della Borghesia”. Ecco perché occorre generare una classe dirigente capace di esprimere una classe politica moderna contro l’antipolitica fattasi sistema. Usciremo da questa situazione solo con il ritorno di una politica “forte” non più elitaria, ma rappresentativa. Capace di parlare alla gente e far parlare la gente. Aprendo, spalancando il Palazzo, in questa società liquida. Solo così si potrà colmare il profondo distacco e la sfiducia nei confronti dei partiti, della politica e delle istituzioni. Bertold Brecht diceva “felice il paese che non ha bisogno di eroi”. Senza scomodare il Poeta sarebbe un passo avanti se si potesse semplicemente affermare “felice il paese che non ha bisogno di èlites”.

 

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