di Michele Marchi

Il primo turno delle legislative francesi ha confermato che il sistema politico della V Repubblica non solo è saldamente bipolare, ma oramai può essere definito a tutti gli effetti bipartitico. Dopo il voto di domenica 10 giugno, PS e UMP hanno ottenuto tre quarti dei voti espressi e dopo il ballottaggio del 17 giugno potranno contare sulla conquista di oltre il 90% dei seggi parlamentari.

Anche in questo voto legislativo è fallito il tentativo dei soggetti politici che, periodicamente, cercano di contrastare tale dinamica bipolare e bipartitica. Front de gauche e Front National non hanno scardinato il duopolio PS-UMP. La coalizione di estrema sinistra guidata da Mélenchon si è fermata al 6,9% e addirittura il PCF, che ne costituisce la componente storicamente più rilevante, rischia di non riuscire a costituire un gruppo parlamentare, avendo perso molti dei suoi storici “collegi rossi” della cintura parigina. Il Front National, dopo il successo alle presidenziali, si è fermato al 13,6%, ma soprattutto solo in 32 casi costringerà l’UMP a complicati triangolari e in valore assoluto dovrebbe ottenere tra zero e tre deputati. Non migliore la situazione degli ecologisti, che pur essendosi garantiti alcuni seggi definiti sicuri dopo un complesso negoziato con il PS, forse non riusciranno a raggiungere i 15 eletti. Infine l’alternativa centrista del Modem di Bayrou ha raccolto un misero 2% e addirittura lo stesso Bayrou rischia una clamorosa sconfitta nel suo oramai ex feudo di Pau (Pirenei Atlantici).

Se PS e UMP si confermano i due partiti cardine del sistema politico, nello specifico è senza dubbio il Presidente Hollande ad aver apprezzato di più il voto del 10 giugno. Il PS è dominante a sinistra e un ingombrante tribuno come Mélenchon è uscito ridimensionato dopo la sconfitta personale nel collegio di Hénin-Beaumont, doppiato da Marine Le Pen, ma anche superato dal candidato socialista. In generale comunque i possibili alleati escono ridimensionati, ma non scomparsi. Se quindi il PS non dovesse raggiungere i 289 seggi che gli garantirebbero la maggioranza assoluta, con i seggi di ecologisti e Front de gauche questo risultato è praticamente certo. E tutto ciò anche se non si è avuta una vera e propria “valanga rosa”, sul modello del 1981. La sinistra nel suo complesso si è attestata al 47,7%, mentre dopo la storica vittoria di Mitterrand la gauche unie aveva addirittura raggiunto il 56,7%. Un PS forte, ma non strapotente, non dispiace all’inquilino dell’Eliseo, consapevole che la sua elezione è stata più un voto contro Sarkozy, che un voto di adesione al suo programma.

Se si osserva poi la destra repubblicana dell’UMP certamente il 34,7% del primo turno rappresenta il punto più basso nella storia della Quinta Repubblica. Basti pensare che nel 2007 l’UMP aveva ottenuto il 46,4% al primo turno e anche in occasione di clamorose sconfitte come nel 1981 e nel 1997, il partito post-gollista non era mai sceso sotto il 36%. Il dato positivo è che la sfida lanciata dal FN di Marine Le Pen non ha sortito grandi risultati. È vero che il FN costringe l’UMP a 32 triangolari che probabilmente garantiranno altrettanti seggi alla sinistra. Ma il dato è ben lungi da quello atteso e anche da quello del 1997, disastroso per la destra repubblicana. Nel prossimo congresso d’autunno oltre alla lotta per la leadership, l’UMP dovrà fissare una linea di sviluppo ideologico per contrastare il FN, ma potrà farlo da una posizione di forza assoluta a destra.

Il secondo turno di domenica 17 dovrà sostanzialmente confermare il successo socialista e chiarirne le proporzioni, oltre che svelare se Marine Le Pen entrerà all’Assemblea nazionale e se Bayrou completerà il suo declino con la perdita del suo storico seggio di Pau.

Il dato però più interessante e allarmante è già emerso dal primo turno del 10 giugno e riguarda l’altissimo livello di astensione. Il 42,8% degli iscritti non si è recato alle urne, si tratta di un record per le legislative dal 1958 ad oggi. Un record che si inserisce in un trend di continuo aumento dell’astensionismo in quelle che sono oramai considerate elezioni di “secondo livello”. Con la riduzione da sette a cinque del mandato presidenziale (e dunque la perfetta coincidenza tra elezione per l’Eliseo e per Palais Bourbon) e l’inversione del calendario voluta dall’allora Primo ministro Jospin (legislative dopo le presidenziali), l’elettorato francese sembra sempre più convinto che tutto si decida con il voto presidenziale. Basti pensare che, tra il primo turno presidenziale e il primo turno delle legislative, 10 milioni di elettori hanno deciso di non recarsi alle urne.

Effetto immediato è la perdita di senso e di legittimità del Parlamento, una Camera bassa che, peraltro, dopo la riforma costituzionale del 2008 voluta da Sarkozy, ha aumentato i suoi poteri ed è molto meno dipendente dal governo, rispetto a come delineato dal testo voluto da de Gaulle nel 1958.

È certamente vero che l’elezione a suffragio universale diretto del Presidente della Repubblica contribuisce a creare una dinamica di personalizzazione della politica e di spettacolarizzazione della stessa in grado di suscitare partecipazione elettorale. Non bisogna però dimenticare che la struttura diarchica della V Repubblica permane. E nel gioco tra Presidente della Repubblica e Primo ministro, la maggioranza parlamentare ha una fondamentale importanza. L’elettorato francese sembra al momento disinteressarsene. Forse non altrettanto dovrebbero fare coloro che nel nostro Paese propongono l’importazione del modello semipresidenziale. Il forte astensionismo alle legislative è uno dei sintomi patologici di un modello che, senza dubbio, garantisce stabilità e governabilità. Questo dato, unito alla forte specificità del contesto politico francese, dovrebbe forse far riflettere un po’ di più coloro che lo propongono come la soluzione di tutti i “mali nostrani”.

 

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