di Diletta Paoletti
Negli ultimi mesi tanto si è detto e tanto si è scritto su Angela Merkel. Intransigente e bacchettona per alcuni, debole e poco convincente secondo altri. Ma in realtà – come spesso avviene – le cose sono più complesse di quel che sembra e la Cancelliera sta (prudentemente) giocando le proprie carte in un difficilissimo equilibrio tra crisi finanziaria, drammatica perdita d’appeal della moneta unica e problemi di politica interna. Il tutto, come se non bastasse, nel paese dei Kohl e degli Adenauer, uomini politici che hanno lasciato un segno profondo nel processo di integrazione europea e che hanno scritto le pagine più importanti della storia comune, di fronte ai quali anche i più convinti europeisti di oggi rischiano di impallidire (glorie appannate – nel caso di Kohl – dall’affaire relativo ai finanziamenti al partito).
Già perché agli albori dell’Europa unita fu proprio la lungimiranza di un tedesco, Konrad Adenauer, insieme a quella di due francesi, Robert Schuman e Jean Monnet, a porre le basi della Ceca, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, prima pietra dell’edificio europeo, tanto fondamentale che il 9 maggio – il giorno della cosiddetta “Dichiarazione” (1950), con la quale nel salone d’onore del Quay d’Orsay fu annunciata questa costituenda autorità sovranazionale – è stato scelto per celebrare la festa d’Europa. Uno dei padri fondatori del movimento di unità europea, Konrad Adenauer – Cancelliere della Repubblica Federale Tedesca nel 1949 – era, infatti, profondamente convinto della necessità di cooperare pacificamente con i vicini francesi. Tanto convinto da superare alcuni sospetti sulle reali intenzioni della Francia. Finalmente – gioirono molti osservatori – un uomo di stato tedesco che vuole una cooperazione pacifica, e non il conflitto, con la Francia. Non fu certo solo idealismo: dietro alla scelta dei due paesi stavano, intatti, gli interessi nazionali: per la Germania in primis la ricostruzione, insieme a quella reintegrazione in Europa che avrebbe posto fine, una volta per tutte, alla “questione tedesca”; per la Francia la possibilità di controllare, sia pure indirettamente, i tedeschi, ancora vissuti come “potenziale nemico”. E – senza dubbio – la soluzione sembrò essere la migliore.
Qualche decennio più tardi, in un altro passaggio fondamentale della storia europea, di nuovo un leader tedesco, Helmut Kohl, fu architetto della (delicata) strategia che portò la Germania a lavorare per un’Europa più integrata. “Cancelliere della riunificazione” tedesca, Kohl, infatti, si spese anche per l’unità europea. Ancor prima di fondere le due Germanie, amalgamò il Vecchio Continente, dando una significativa mano proprio alle sue regioni meno sviluppate: siamo nel 1987 e il “pacchetto Delors”, dal nome dal suo promotore (altro padre nobile dell’Ue) attuò un trasferimento di ricchezza dal centro opulento dell’Europa alle zone marginali più in affanno. Una massiccia dose di investimenti confluirono verso Irlanda, Spagna, Portogallo, Grecia e Italia meridionale. Investimenti che, senza la decisione di Kohl di sostenere i costi dell’aumento del budget della Comunità, non sarebbero stati possibili.
Vennero poi gli anni in cui una Germania finalmente riunificata (nel frattempo era caduto il Muro di Berlino e, con esso, tutte le resistenze ad uno Stato tedesco unitario) rese possibile il salto di qualità, dirigendo la macchina europea verso l’unione monetaria. In tandem con Mitterand, Kohl azionò il meccanismo che accompagnò (senza grossi traumi) l’unificazione tedesca, ponendola nell’alveo di una rafforzata comunità europea. “La casa tedesca – spiegò il Cancelliere in un discorso chiave tenuto a Parigi il 17 gennaio 1990 – deve essere costruita sotto un tetto europeo”. Come? Attraverso una serie di passaggi, che avrebbero di lì a poco portato al Trattato sull’Unione europea, meglio noto come Trattato di Maastricht. E, cioè, a quella unione economica e monetaria, la cui ultima fase sarebbe stata la nascita dell’Euro. Unione da cui la Germania e (soprattutto) il suo export avrebbero tratto il massimo beneficio.
È a questa tradizione che – volente o nolente – Angela Merkel deve rifarsi. Anche perché, la sua biografia politica inizia proprio in quel contesto: è Helmut Kohl a scoprirla (colpito, in occasione del congresso di partito del ’90, dal suo carattere e dalla suo biografia, spendibile politicamente), a ribattezzarla “das madchen” (la ragazza) e spianarle la strada, dentro al partito e dentro al governo (le affida due incarichi ministeriali, nel 1991 alle Pari opportunità e nel 1994 all’ancor più strategico Ministero per l’Ambiente e la sicurezza nucleare). Ora, sia pur timidamente, Angela sembra riscoprire un intermittente europeismo: “è l’ora di una svolta per una nuova Europa. C’è bisogno non di meno, ma di più Europa” ha dichiarato tempo fa nel corso del congresso della CDU, abbracciando (inaspettatamente?) la tradizione europeista del suo partito. Sicuramente più di quanto avesse mai fatto finora.
Oggi che ha gli occhi di Europa e del mondo addosso e col suo fare – enigmatico quanto basta (Der Spiegel l’ha definita la “Gioconda del Nord”) – cerca di salvare sia l’Ue che i favori del suo elettorato, la Cancelliera viene accusata – a ragione – di aver tentennato in momenti cruciali: sono datate 2009 le prime drammatiche avvisaglie della crisi greca e, a quei tempi, sarebbe bastato poco per calmare i mercati e tranquillizzare gli investitori. E invece, ci volle una telefonata accorata di Obama per sbloccare le reticenze della Cancelliera e a convincerla ad intervenire, sia pure in ritardo. Ma deve esserle riconosciuto, altrettanto a ragione, di aver saputo tenere testa agli agguerritissimi falchi antieuropeisti made in Deutschland e ai profeti del rigore (basti citare – tra i secondi – Jürgen Stark, economista tedesco alla BCE, che – in nome dell’ortodossia rigorista – si è addirittura dimesso dall’incarico, tanto era contrario all’acquisto, da parte dell’Eurotower, dei titoli sovrani dei paesi in difficoltà). Ed è riuscita a fare accettare ad un Bundestag più che mai riluttante il Fondo salva stati, irrobustito da ultimo lo scorso settembre. Ma ancora molte sono le rigidità di Angela: dal (netto) rifiuto degli Eurobond, alla contrarietà al rafforzamento dei poteri della Banca centrale europea. Che la nuova intesa tra Italia e Francia riesca a convincere la cauta Cancelliera? Alla prossima puntata.
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