di Giuseppe Paparella

Il processo d’islamizzazione della Turchia, che negli ultimi tempi ha giocato un ruolo decisivo nell’erosione graduale dei diritti civili e politici scatenando forti proteste, permea e caratterizza la base ideologica della grande strategia turca. L’attuale élite al potere e l’AKP puntano, infatti, a garantire coesione e omogeneità a livello politico e sociale in Turchia, utile ad assicurare gli attuali ritmi di crescita economica anche nei prossimi decenni, e legittimare il Paese leader del mondo arabo.

Storicamente, l’Islam politico è stato utilizzato da soggetti statali (tra i quali l’Iran e il Pakistan) e non-statali (Al-Qaeda) per promuovere i più disparati obiettivi politici, come la mobilitazione transnazionale contro l’imperialismo occidentale e sovietico, o ancora la promozione, da parte di partiti e leader politici, di regimi statali indipendenti. Pertanto, il ruolo dell’Islam nelle relazioni internazionali, e della religione più in generale, è contestuale al periodo storico e agli obiettivi politici promossi dalle élite e dai gruppi organizzati.

Il caso della Turchia contemporanea ben s’inserisce in tale solco. Secondo la strategia messa a punto dai vertici dell’AKP, il processo di educazione all’ideologia panislamica, appena iniziato e apertamente sostenuto e incoraggiato dal premier Tayyip Erdogan, è un requisito indispensabile a garantire il successo del programma di rafforzamento turco previsto nei prossimi decenni.

Ulteriori elementi in questo senso provengono dal nuovo approccio verso l’Unione Europea. Nell’ottobre 2012 Erdogan ha chiaramente affermato che l’entrata nell’Unione non rappresenta più un obiettivo prioritario della Turchia. Sebbene quest’inversione d’indirizzo strategico sia anche legata alle recenti performance economiche dell’Unione, il motivo principale è da rilevare nel diverso approccio geostrategico di Ankara. Secondo il professor Kurt Spillman, esperto in studi sulla sicurezza presso l’ETH di Zurigo, Erdogan sta promuovendo se stesso come il leader dell’intero mondo arabo, elevando la Turchia a sintesi esemplare del successo tra progresso industriale e cultura islamica. Il premier turco, inoltre, ha assunto un atteggiamento di contrapposizione anche verso la NATO e gli Stati Uniti, aspramente criticati per la gestione del conflitto siriano e per la volontà di stabilirvi un regime islamico compiacente.

In uno scenario simile, non sorprende la ferma condanna del governo turco, l’unica ufficiale, verso il recente colpo di stato che ha destituito il presidente egiziano. Mohammed Morsi, aveva chiaramente ripreso l’ideologia panislamista di Hasan al-Banna, fondatore dei Fratelli musulmani nel 1928. Al-Banna, pensatore e leader politico d’ideologia nazionalista, orientamento liberale e fede musulmana, era riuscito nell’intento di trasformare, per la prima volta, i principi fondanti della religione islamica in ideologia politica: così facendo, fornì gli strumenti concettuali per una compiuta rielaborazione, in senso islamico, della politica e delle modalità di funzionamento e regolamentazione della società egiziana. Il movimento dei Fratelli musulmani fu decisivo nell’attuare il primo tentativo di democratizzazione dell’Egitto verso la fine degli anni ’30, poiché il proprio programma politico guardava ai principi contenuti nel Corano come la base su cui edificare un sistema sociale inclusivo e, per quanto possibile, democratico. Erdogan, allo stesso modo, riutilizza strumentalmente la forza dell’ideologia panislamica, in Turchia e nell’area mediorientale, per porsi come il prossimo leader del mondo arabo e dar seguito al progetto egemonico di Ankara. Per questo motivo l’Egitto di Morsi era considerato un fedele alleato: basti ricordare il pacchetto di due miliardi di dollari che il premier turco aveva promesso a Morsi all’indomani del suo insediamento.

In conclusione, l’utilizzo strumentale dell’Islam politico come forza di aggregazione e mobilitazione all’interno della società turca, e la contestuale repressione ed emarginazione dei soggetti ostili a tale epilogo (le formazioni e i gruppi politici di opposizione da una parte, e l’apparato militare dall’altra), rappresentano dei segni inequivocabili in merito al ruolo che Ankara ha intenzione di svolgere in futuro.

 

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