di Federico Poggianti
Domenica 17 aprile nel corso di una parata tenutasi nella zona meridionale di Teheran nel Giorno delle Forze Armate hanno sfilato alla presenza del Presidente Hassan Rouhani i nuovi sistemi d’arma antiaerea S-300 acquistati dalla Federazione Russa. Le immagini sono state diffuse dall’agenzia di stampa locale ISNA e raffigurano componenti meccaniche e radar del sistema missilistico. Il S-300 è sviluppato per contrastare velivoli e missili da crociera; il radar è in grado di inseguire sino a 100 bersagli e la batteria missilistica può agganciarne un massimo di 36 contemporaneamente. La gittata è di circa 300 km, l’unità di comando può essere dislocata a 40 km dalle batterie, che dispongono di sistemi di combattimento automatici. Il tempo di dispiegamento complessivo è di cinque minuti. Un battaglione missilistico è composto da sei batterie, in grado di lanciare 24 missili, un veicolo radar a lunga gittata, un veicolo di comando ed un ulteriore radar di ingaggio. Il sistema è prodotto dalla società pubblica Almaz-Antei, la quale ha annunciato nel corso del 2012 l’interruzione della produzione degli S-300 a favore dei più moderni S-400, destinando così i primi alla sola esportazione. Questi sistemi d’arma sono comparabili per capacità tecnologica e di fuoco ai missili Patriot statunitensi.
Il contratto per la fornitura di queste difese è stato siglato nel 2007; a seguito dell’applicazione delle sanzioni varate dal Consiglio di Sicurezza la Federazione Russa nel 2010 ne aveva sospeso la consegna, autorizzata nuovamente dal presidente Vladimir Putin un anno fa. Benché non sia chiaro quanti missili siano stati consegnati, l’ammontare complessivo della spesa da parte dell’Iran sarebbe stimabile in circa 800 milioni di dollari. Il medesimo sistema d’arma è stato fornito dalla Russia al Governo di Bashar al-Assad nel corso del 2013 in chiave di assistenza tecnica alle Forze Armate siriane.
Il Presidente Rouhani nel corso del discorso tenuto alla parata di domenica, ha espresso l’impegno di utilizzare i nuovi armamenti al solo scopo di “difendere i musulmani dal terrorismo e da Israele”, specificando che i paesi limitrofi non devono sentirsi minacciati dal riarmo iraniano.
Il Governo israeliano ha espresso forte preoccupazione per la consegna degli S-300, che limiterebbero fortemente la capacità offensiva dell’aviazione di Tel Aviv in un eventuale raid ai siti nucleari della Repubblica Islamica. La consegna dei missili anti-aerei si inserisce in un quadro di cooperazione tra l’Iran e la Russia volto ad un riammodernamento complessivo delle Forze Armate iraniane: nel febbraio 2016 il Ministro della Difesa iraniano Hossein Dehghan ha annunciato l’accordo per un contratto d’acquisto di un numero imprecisato di caccia multiruolo a lungo raggio Sukhoi Su-30.
Benché non sia stato reso noto nemmeno un termine per la consegna il Ministero della Difesa iraniano ha dichiarato che anche la Repubblica Islamica sarà coinvolta nel processo di produzione. Ciò sembrerebbe indicare una volontà da parte iraniana di rendersi indipendenti circa la manutenzione e la conseguente capacità operativa della forza aerea. Vale infatti ricordare che ad oggi l’Aereonautica iraniana a causa delle sanzioni è in gran parte costretta a terra per la impossibilità di reperire pezzi di ricambio per gli F-14 Tomcat di produzione statunitense e per la complessiva obsolescenza dei velivoli a disposizione.
Questa joint-venture rappresenta una novità rispetto alla politica di sviluppo nazionale degli armamenti che l’Iran ha per decenni portato avanti per via delle sanzioni che impedivano qualsiasi commercio di tecnologia bellica. Lo sviluppo di droni spia e da attacco di prima generazione è infatti in gran parte basato sul know-how interno.
Sulla linea di quanto sopra affermato si inserisce la decisione del Ministero della Difesa iraniano di sviluppare un carro armato di produzione nazionale denominato Karrar dopo che nel dicembre 2015 il Governo aveva espresso interesse per l’acquisto dei carri T-90 russi, salvo poi ripiegare sulla scelta di un progetto interno. Il carro in questione dovrebbe sostituire il parco mezzi dell’esercito, che ha in dotazione mezzi vetusti quali i T-54, T-55, T-72 sino agli M-60A1.
Ciò che sembrerebbe emergere è la volontà da parte dell’Iran di dotare rapidamente le proprie Forze Armate di mezzi adatti ad una guerra convenzionale: questo permetterebbe una proiezione strategica di gran lunga superiore rispetto a quella ad oggi possibile, che si collocherebbe a fianco alla guerra asimmetrica. Tale dottrina è stata portata avanti dalle Guardie della Rivoluzione, anche a causa della carenza di mezzi idonei. La possibilità di dotare le Forze Armate di nuovi sistemi d’arma permetterebbe di differenziare ulteriormente le competenze in capo ad Artesh rispetto a quelle dei Pasdaran, relegando questi ad un ruolo eminentemente paramilitare e riportando in primo piano le Forze Armate nell’ambito della proiezione strategica nazionale. E’ possibile presumere che il forte impulso al riarmo convenzionale porti ad un conseguente ridimensionamento del potere delle Guardie della Rivoluzione rispetto a quello religioso, grazie al maggior ruolo svolto dalle Forze Armate, che senza dubbio hanno politicamente guadagnato legittimazione anche in ambito internazionale come dimostrano i contratti sopra citati, grazie alla rimozione delle sanzioni.
L’esercito regolare iraniano ha subito sin dal 1979 la forte rivalità con le Guardie della Rivoluzione. Queste dalla loro creazione hanno avuto accesso diretto alla leadership politica, maggior budget e prestigio. Ciò è dovuto alla scarsa fiducia riposta nelle Forze Armate iraniane, rimaste neutrali nei giorni della caduta dello Shah, alimentando nell’establishment politico e religioso il sospetto nei confronti di Artesh per le presunte simpatie per il monarca. Il clero sciita, dopo la Rivoluzione, ha progressivamente operato una duplicazione ed una sovrapposizione delle strutture dello Stato con alcune di nuova creazione, affidando a queste i medesimi compiti delle loro omologhe già esistenti. A tale pratica non è sfuggita nemmeno la difesa: le autorità politiche iraniane hanno per decenni alimentato il conflitto tra le Forze Armate regolari ed i Pasdaran, sistematizzandolo con la progressiva sovrapposizione dei compiti loro affidati.
Si aggiunga inoltre che lo Stato Maggiore congiunto, ossia la struttura di comando e raccordo tra i due rami delle Forze Armate, pur rappresentando equamente i vertici militari in quanto a provenienza, ha un forte sbilanciamento nei confronti delle Guardie della Rivoluzione circa la provenienza dei membri di staff politico: lo stesso Ministro della Difesa, Hossein Dehghan, proviene dalle loro fila dei Pasdaran.
I Pasdaran, che hanno avuto il loro battesimo del fuoco nel corso del conflitto contro l’Iraq, hanno nel corso del tempo stabilito un potere enorme sulla società iraniana. Al mito del riscatto delle classi più disagiate, da cui hanno tratto forte legittimazione popolare, si è affiancata a partire dai primi anni Novanta, una forte partecipazione diretta nell’economia e nella produzione industriale del Paese.
Il quadro che emerge è quello di una forza dotata di una quantità enorme di mezzi e di un fortissimo spirito di appartenenza, che ha creato il proprio mito nella guerra patriottica contro l’invasore iracheno pagando un altissimo tributo di sangue. Alla luce di quanto affermato, non sorprende il sempre maggior potere che i Pasdaran sono riusciti a ricavare nel corso dei decenni nell’amministrare lo Stato, anche a spese del potere del clero. Questo d’altra parte sconta la cronica difficoltà nel generare una nuova classe dirigente proveniente dalle proprie fila, fattore che accresce di riflesso il potere laico rappresentato dai Guardiani della Rivoluzione.
Nel corso dei decenni la leadership religiosa iraniana ha cercato di procedere all’islamizzazione di Artesh, da un lato eliminando o esiliando gli ufficiali formatisi sotto il regime di Mohammad Reza Pahlavi, dall’altro attraverso il progressivo indottrinamento dei nuovi quadri ufficiali post 1979. Per rafforzare la presa della Repubblica Islamica e garantirne la fedeltà, molti ex ufficiali provenienti dalle file dei Pasdaran sono transitati nell’esercito regolare.
D’altra parte, benché numericamente superiore e dotato di mezzi pesanti rispetto alle Guardie della Rivoluzione, la dislocazione delle caserme di Artesh è concentrata principalmente fuori dai maggiori centri abitati, il che lo rende un attore con limitate capacità di intervento in contesti politici urbani e, in ultima istanza, più difficilmente in grado di pianificare ed attuare colpi di Stato.
Il lungo percorso di riabilitazione di Artesh agli occhi del clero sciita sembrerebbe oggi giunto ad un momento cruciale e ciò porterebbe a far sì che la tradizionale diarchia tra potere religioso e potere militare, detenuto per lunghi anni quasi esclusivamente dai Pasdaran, sia giunta ad un punto di svolta con il nuovo e maggior ruolo delle Forze Armate nella dialettica politica iraniana, che garantirebbero un efficace contrappeso rispetto alle Guardie della Rivoluzione stesse in chiave di garanzia del sistema politico interno.
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