di Angelica Stramazzi

Accade ormai da diverso tempo che, ogni volta che ci si trovi ad affrontare una sfida elettorale a livello locale, il risultato di quest’ultima finisca poi per condizionare lo scenario nazionale, ridisegnando alleanze, equilibri e coalizioni. Tuttavia, come ha ribadito il politologo e docente Luiss Roberto D’Alimonte, una simile equazione non è facile da attuarsi, non fosse altro perché a livello municipale operano logiche diverse rispetto a quanto avviene invece a livello nazionale.

La sconfitta di Gianni Alemanno a Roma, e la conseguente vittoria di Ignazio Marino, è senza dubbio un dato su cui riflettere, sebbene la preoccupazione maggiore di tutte le forze politiche in campo – dal centrodestra al centrosinistra, passando per i vari movimenti populisti o a sfondo demagogico – sia quella di assottigliare la grande fetta di coloro che, anche in questa tornata elettorale, hanno preferito restarsene a casa e non andare a votare. Se il vento dell’antipolitica sembra essersi momentaneamente placato, con il ridimensionamento di Grillo e dei suoi accoliti, il fenomeno della disaffezione dei cittadini nei confronti dei loro governanti continua a farsi sentire, ed è molto più che evidente.

Come uscire dunque da questo stallo preoccupante? E in che modo la destra italiana – o quel che ne resta – potrebbe di nuovo porsi (ammesso che lo sia stata in passato) come interlocutrice in grado di condizionare l’azione di governi e coalizioni?

Trovare risposte (e soluzioni) a questi quesiti non è cosa semplice, soprattutto quando diverse sconfitte – sempre in casa del centrodestra – non bastano ancora per far comprendere ai dirigenti nazionali che qualcosa si è inceppato, e che nuovi meccanismi di reclutamento e selezione della classe dirigente vanno ricercati in fretta, pena la scomparsa del popolo dei moderati una volta che verrà meno la presenza di Silvio Berlusconi. Lo stesso Alemanno era stato più volte considerato come possibile federatore delle diverse forze di centrodestra presenti in Italia, dopo l’uscita di scena di Gianfranco Fini e la divisione in tanti tronconi dell’eredita del Msi prima e di An poi. Ma ora che l’ex sindaco di Roma è stato consegnato dal voto popolare all’opposizione capitolina, non sarà facile avviare la ricerca di un leader in grado di tenere insieme un ventaglio ampio e diversificato di anime, storie ed orizzonti politici differenti, tenendo ben presente che qualcuno, nel campo dei moderati, già c’è e scalpita per porsi alla testa di un nuovo rassemblement post democristiano e post socialista. Il sindaco di Firenze Matteo Renzi è infatti visto come persona che potrebbe incarnare una visione futura di ciò che resta dei moderati italiani, da sempre maggioritari nel Paese ma spesso minoranza quando si tratta di contare voti e consensi.

Se dunque è impossibile impedire a chi lo desideri di provare a cambiare il sistema – Italia, riunendo coloro che non si riconoscono negli estremismi e nei movimenti populisti nati col solo fine di autocelebrare un leader, il centrodestra italiano non dovrebbe rinunciare a prestare ascolto a quanti, dai territori, lanciano un grido d’allarme: o si cambia strategia, o si rischia di essere spazzati via una volta per tutte.

Se è un partito leggero e flessibile quello che si vuole costruire, lo si faccia in fretta, senza ulteriori tentennamenti ed altrettanti indugi. Ci sono persone, volontari, militanti e simpatizzanti, che attendono risposte; e che non sono più disposti ad attendere o temporeggiare.

 

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