di Alessandro Campi
Il Patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi vacilla, come ha detto esplicitamente il più giovane (e il politicamente più forte) dei due contraenti. E come si è visto in occasione del voto per l’elezione di un nuovo giudice costituzionale e dell’ultimo membro laico ancora mancante al Csm: entrambi nominati grazie all’inedita convergenza parlamentare tra Pd e M5S.
Viene da chiedersi, dinnanzi ai nuovi scenari che si vanno profilando, non ultimo quello di una maggioranza sulla riforma elettorale che riproponga l’alleanza tattica tra democratici e grillini a scapito di Forza Italia, quale sia la strada politica che quest’ultima sta perseguendo. Più in generale, ci si chiede – soprattutto nell’ipotesi di elezioni anticipate la prossima primavera, che Renzi secondo molti osservatori avrebbe in mente – quale sia lo stato in cui versa ciò che era il centrodestra. Cosa sta accadendo in quest’area politica, che un tempo nemmeno molto remoto ha governato il Paese, grazie all’unione delle sue diverse componenti, e che oggi sembra preda di divisioni e scontri crescenti?
Le incognite maggiori, in mancanza di cambiamenti in tema di linea politica e di leadership, sono quelle che si registrano nel partito di Berlusconi. Quest’ultimo ha affidato al dialogo con Renzi le sue chance di sopravvivenza politica, dopo che è stato espulso dal Senato e dichiarato non candidabile. Lo ha fatto per una causa persino nobile: dare al Paese regole costituzionali e un nuovo sistema di voto per una volta concordati tra le principali forze politiche e non frutto di un voto a maggioranza. Ma strada facendo si è capito che quel che conviene personalmente a Berlusconi (capo assoluto di quel mondo grazie anche all’apertura di credito nei suoi confronti operata scaltramente da Renzi, che è valsa a bloccare qualunque ipotesi di rinnovamento interno o di avvicendamento alla guida del partito) non conviene egualmente a Forza Italia. Che conserva un suo zoccolo duro di consensi, ma avendo perso nel frattempo la sua forza d’interlocuzione nei confronti dei vecchi alleati e non avendo più alcuna idea originale da proporre agli elettori che nel frattempo non sia stata fatta propria da Renzi.
Senza contare il dubbio, che serpeggia tra i parlamentari di Forza Italia e da qualche settimana anche nella testa di Berlusconi, su quanto ci si possa fidare per davvero del presidente del Consiglio: un interlocutore più furbo e meno malleabile di quanto il Cavaliere forse immaginava. E senza contare altresì che è difficile guadagnare voti per un partito che, formalmente all’opposizione, ha invece scelto di fare da stampella politico-parlamentare al governo su tutte le questioni più delicate.
Per adesso il malessere interno al partito si è espresso attraverso le imboscate parlamentari. Tipo quelle che hanno affossato tutti i candidati di centrodestra alla Consulta presentati sino adesso. Ma è probabile che prima o poi il dissenso si manifesti in forme più esplicite, come sembrerebbe indicare l’attivismo di Raffaele Fitto. Qualcuno dice che fonderà un nuovo partito o movimento (ma l’esperienza di Alfano non è incoraggiante e gli italiani non ne sentono il bisogno), probabilmente si metterà a capo dell’opposizione interna a Forza Italia.
A proposito di Alfano, appare sempre più difficile la situazione del Nuovo centrodestra, come dimostrano i sondaggi. Stare all’interno di un governo di centrosinistra (essendo una forza nominalmente d’opposizione) e per di più non mostrarsi mai condizionanti su alcuna scelta, è il peggio che possa capitare ad un partito la cui idea originale era quella di capitalizzare in una chiave innovativa l’eredità del berlusconismo. Sembra che sia invece prevalsa, nei dissidenti da Forza Italia, una scelta nel segno della sopravvivenza politica personale e del sottopotere. Nulla che possa interessare gli elettori.
L’unica novità vera e l’unico segnale di dinamismo, nel perimetro del centrodestra che fu, sono quelli che vengono dalla Lega. La leadership di Salvini, conquistata sul campo in quello che è pur sempre un partito vero, sta segnando la nascita di un nuovo soggetto politico di destra radicale, capace di intercettare da un lato i malumori assai diffusi nella società italiana (a causa della crisi economica persistente, dell’immigrazione irregolare, delle idiozie del politicamente corretto in materia di matrimoni omosessuali, ecc.), dall’altro la delusione crescente del vecchio mondo berlusconiano (almeno di quella parte, più incline allo spirito di protesta, che non si è ancora accasata con Grillo).
In pochi mesi Salvini da secessionista anti-italiano si è scoperto nazionalista anti-europeo, mostrando quanto il federalismo contasse poco per gli stessi leghisti. Su queste nuove basi si è mangiato mediaticamente, in attesa di inglobarli politicamente, ciò che restava della vecchia Alleanza nazionale. Per quelli che un tempo provarono a spacciarsi per conservatori di stampo gollista o all’inglese, il richiamo della foresta ideologica da cui provengono è sempre stato irresistibile. È bastato un capo politico che fa la voce grossa con i clandestini, che dichiara guerra all’Europa dell’oro in nome del sangue, che si appella all’identità del popolo (padano o italiano a questo punto importa poco), perché La Russa, Meloni e compagnia si consegnassero mani e piedi alla nuova Lega nazional-lepenista.
I sondaggi premiano Salvini, come del resto tutti i partiti di destra radicale e populista che in Europa inveiscono contro le élites al potere e fanno leva sulle paure e le ansie (in molti casi legittime) dei cittadini. Il problema è che questo tipo di forze, per quanti consensi possano avere, sono condannate alla marginalità e ad una perpetua opposizione. Nessuna destra di stampo liberale, conservatore o moderato le vuole come alleate. Berlusconi, che politicamente è sempre stato di bocca buona, potrebbe costituire un’eccezione a questo schema, come già in passato. E infatti la sua idea è, al momento del voto, quando sarà, di riunire sotto di sé, come vent’anni fa e come se niente nel frattempo fosse accaduto, le forze sparse del centrodestra. Uno che mise insieme, riuscendo persino a vincere, Bossi e i post-fascisti non ci mette niente ad allearsi con i leghisti divenuti nel frattempo lepenisti, con chi l’ha tradito ottenendo però in extremis il suo perdono, con i cespugli centristi, con i neo-borbonici, con le ultime raffiche di Salò e con chiunque ci stia.
C’è un piccolo particolare, al netto di quel che sarà la futura legge elettorale. Che a sinistra stavolta non ci sono i comunisti. C’è Matteo Renzi, uno difficile da battere muovendo contro di lui un’armata Brancaleone. Per la destra italiana, se questo è lo scenario, si annuncia una lunga notte.
* Editoriale apparso sul “Il Mattino” dell’8 novenmbre 2014.
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