di Alessandro Campi
Molto si sta discutendo in questi giorni su Scelta Civica e sul suo leader Mario Monti. Doveva essere la grande novità delle scorse elezioni politiche, un nuovo partito di centro in grado di convogliare il consenso degli elettori delusi del Pd e del Pdl e di imprimere un nuovo corso alla politica italiana dopo la crisi del bipolarismo. Se ne parla oggi come di una formazione in crisi: attraversata da forti divisioni interne, priva all’apparenza di una strategia unitaria e in forte calo nei sondaggi.
Pur facendo parte del governo di “larghe intese”, Scelta Civica non è riuscita sino ad oggi a qualificare la sua presenza sul piano del programma. Al punto che l’uscita recente di Monti, che ha sollecitato una verifica nell’azione dell’esecutivo e ha spronato Enrico Letta a scelte più coraggiose ed incisive, pena il disimpegno del suo partito, è parsa un modo – in vero piuttosto estemporaneo – per mandare al mondo politico un segnale di vitalità dopo alcune settimane di relativo oblio.
Secondo alcuni l’appannamento del progetto di Scelta Civica non dipende in realtà da ragioni contingenti, ad esempio il mancato amalgama tra le sue diverse componenti interne e un eccesso di personalismo tra coloro che hanno animato il progetto, ma da cause di lungo periodo. Dacché l’Italia si è strutturata, a partire dal 1994, come una democrazia bipolare (per quanto eccentrica) lo spazio politico per una forza di centro, alternativa alla destra e alla sinistra, o concorrenziale con queste ultime, si è drasticamente ridotto (come già aveva dimostrato la parabola elettorale dell’Udc di Casini). E quando, alle ultime elezioni, si è materializzata una “terza forza”, il movimento di Beppe Grillo, essa ha assunto la forma di un partito trasversale e di difficile collocazione secondo le tradizione categorie politiche.
Viene dunque da chiedersi non tanto quale sia l’incidenza attuale di Scelta Civica e quale ruolo possa giocare in una eventuale crisi di governo o in nuove alleanze parlamentari, ma quale possa essere il suo futuro come realtà organizzata, in grado di dare rappresentanza ad un largo settore della società italiana. Insomma, c’è spazio in Italia per un partito di centro che non faccia solo azione di testimonianza politica? E cosa significa essere di centro?
Ci si chiede spesso cosa siano, in politica, la destra e la sinistra. Definire questi due concetti, dicono studiosi e osservatori, è quanto di più difficile si possa immaginare. I significati cambiano a seconda delle epoche storiche, dei contesti geografici e dei criteri di giudizio adottati. Ma provate a definire il centro! Più che difficile l’impresa rischia di risultare impossibile, a meno di non accontentarsi di una descrizione banalmente geometrico-spaziale: il centro è ciò che sta a metà strada tra la destra e la sinistra.
Nonostante ciò qualcuno si è cimentato nell’impresa, descrivendo il centro come il luogo della prudenza, della mediazione, del compromesso (più o meno virtuoso). Chi si pone al centro della contesa politica, si sostiene, rifiuta l’estremismo e le posizioni radicali, tende a stemperare o governare i conflitti per evitare che divengano distruttivi per l’intero sistema politico, non si lascia guidare dai preconcetti ideologici e da una visione astratta della società. Il centro è, nell’accezione più diffusa, lo spazio politico dei moderati, intendendo il moderatismo come uno stile e un atteggiamento mentale nel segno del pragmatismo. Ma è anche lo spazio dei riformisti: di coloro cioè che rifiutano sia l’avventurismo e le fughe in avanti sia la difesa ad oltranza dello status quo.
Naturalmente esistono anche accezioni meno positive del centro. Che secondo alcuni è il luogo per eccellenza della non-decisione, della politica intesa come mediazione infinita, come logica di scambio secondo criteri spesso opachi e affaristici. Chi sta al centro vuole semplicemente sfruttare una rendita di posizione, ponendosi strumentalmente a metà strada tra destra e sinistra, con l’idea di contrattare con entrambi secondo le convenienze del momento. Chi sta al centro non ha ideali da realizzare, per quanto spesso ne professi di altissimi, ma interessi (particolari) da far valere.
Al di là di queste differenze, su quale sia il significato da attribuire a questa categoria, c’è un punto sul quale gli studiosi della democrazia sembrano concordare: sulla, per così dire, centralità del centro nei sistemi politici competitivi. Senza conquistare gli elettori di centro, si sostiene, non si vincono le elezioni: e ciò per la semplice ragione che questi ultimi solitamente rappresentano la maggioranza sociologica e numerica nei diversi Paesi. Non solo, ma è difficile governare società complesse e articolate come quelle contemporanee senza praticare l’arte della mediazione e del compromesso: quando si abbracciano posizioni troppo nette e intransigenti (si tratti di economia o di diritti civili) si rischia di introdurre nel corpo sociale pericolosi elementi di divisione e conflitto. È difficile fare riforme serie e durature partendo da istanze di cambiamento troppo radicali (che di solito si rivelano velleitarie e controproducenti).
Il problema, per tornare all’esperienza italiana recente, è che se il centro rappresenta uno spazio politico strategico non è detto tuttavia che debba incarnarsi in un soggetto politico altrettanto forte e autonomo. Che è esattamente quanto sembra dimostrare l’esperienza di Scelta Civica. Potenzialmente poteva contare su un vasto elettorato, nei fatti il risultato delle urne è stato deludente (e ancora più deludente è stata la sua parabola successiva). Gli elettori di centro in parte sono rimasti fedeli allo schema bipolare della Seconda Repubblica, in parte (visto che non sempre sono moderati e accomodanti nei modi e negli atteggiamenti come li si dipinge) hanno ceduto più allo spirito di protesta di Grillo che al profilo rassicurante del prof. Monti.
Insomma, il centro, come elettorato e blocco di interessi, esiste ed è probabilmente decisivo alle urne: il che spiega perché i partiti di destra e di sinistra tendano, quanto meno nel corso delle campagne elettorali, ad ammorbidire le proprie posizioni con l’idea di conquistarlo. Il centro, come partito o soggetto politico, rischia di essere una presenza marginale: il che spiega perché in Scelta Civica alcuni (i montezemoliani e la componente cattolico-democratica) pare stiano pensando ad un’alleanza con il Pd guidato da Renzi, mentre altri (i montiani e la pattuglia di Casini) pare stiano valutando la possibilità di allearsi con il centrodestra specie se a guidarlo non dovesse essere più Berlusconi.
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