di Emanuele Schibotto*

Nelle scorse settimane mi ritrovavo per lavoro a Caracas, in Venezuela, ed ho potuto osservare lo svolgersi – il 2 e 3 dicembre – del summit multilaterale volto ad istituire una nuova organizzazione regionale fortemente promossa dal Presidente venezuelano Hugo Chavez: la Comunidad de Estados Latino Americanos y del Caribe (CELAC).

Per l’occasione la città è stata vestita a festa: fuochi d’artificio; controlli di sicurezza supplementari; strade ripulite; un grande concerto lirico.  Questo perché all’evento hanno partecipato 33 tra capi di Stato e di Governo dei Paesi dell’America Latina: dal Presidente messicano Calderon alla Presidenta brasiliana Roussef al Capo di Stato colombiano Santos. L’esposizione in prima persona di uomini politici di primo piano,  rappresentanti di governi sia socialisti che conservatori, evidenzia come l’iniziativa incontri un forte interesse – almeno formale – nel contesto regionale. Stati Uniti e Canada non sono stati invitati ai lavori.

Leggendo frettolosamente la stampa si potrebbe pensare che la CELAC sia una creatura di Chavez. In realtà non è affatto così:  l’idea infatti prende corpo oltre un anno fa a Playa del Carmen, in Messico, con l’obiettivo di trovare una risposta regionale coordinata alla crisi economica. Caracas non fungerà nemmeno da sede dell’organizzazione, la quale dovrebbe stabilirsi invece a Panama.  Il Presidente venezuelano è tuttavia il primo e più entusiasta animatore del progetto ed il summit tenutosi a Caracas ne marca il battesimo, attraverso la formalizzazione dell’atto costitutivo. La CELAC, si legge nella Declaracion de Caracas, sarà un “meccanismo rappresentativo di concertazione politica, cooperazione e integrazione degli Stati latinoamericani e dei Caraibi”.

Il progetto in senso lato si presta a tre chiavi di lettura. Anzitutto, emerge l’intento da parte degli Stati fondatori di presentare il CELAC come una alternativa credibile all’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), una organizzazione regionale storicamente chiamata a grandi ambizioni ma che in realtà ha sempre sofferto dell’influenza dominante di Washington (Cuba, per intendersi, non è membro OSA). Il Presidente ecuadoriano Correa, riferendosi al ruolo odierno dell’OSA, ha di recente dichiarato: “Crediamo sia necessario un cambio profondo nel sistema inter-americano, sostanzialmente Latinoamericano, poiché il potere gravitazionale statunitense è palese”. La seconda chiave di lettura porta in risalto non tanto il declino dell’influenza statunitense nella regione quanto piuttosto il maggior peso specifico rivendicato dall’America Latina proprio nei confronti di Washington. Da notare come la CELAC escluda gli Stati Uniti a livello formale perché, stando al criterio geografico, essi si collocano in Nordamerica; sul piano della sostanza invece Washington viene tenuta fuori perché considerata l’origine di una crisi i cui effetti vengono avvertiti in tutta l’America Latina (i Governi di alcuni Stati, quali Venezuela, Bolivia ed Equador, motivano inoltre l’esclusione degli Stati Uniti perché ritenuti un Paese “imperialista”). Infine, la CELAC potrebbe venir interpretata come il tentativo di risposta, per parte messicana, venezuelana e argentina, all’emergere del Brasile quale potenza regionale. Una sorta di impegno collettivo ad opera dei Paesi che in questo momento rivestono una importanza economica e politica minore. Il caso del Brasile è interessante e, qualora il Paese riuscisse a continuare nel prossimo decennio l’importante opera di sviluppo economico odierno, lo si potrebbe accomunare al caso tedesco: la Germania è troppo grande per l’Europa ma troppo piccola per il mondo.

Tornando a Chavez e all’utilità di questa iniziativa per il Venezuela, i giudizi sono discordanti. L’opposizione contesta duramente la CELAC, considerandola inutile. La rivista Zeta, vicina all’opposizione, scrive che la CELAC è nient’altro che la “creazione di un foro, non di una vera organizzazione regionale”.  Il professor Marfè, docente di Studi Italiani presso l’Universidad Central de Venezuela, ritiene invece che Chavez esca a testa alta dal summit. Afferma Marfé: “Al di là degli elementi che da 13 anni a questa parte caratterizzano contenuti e temi della sua propaganda politica, sento di poter affermare che in questa occasione il Presidente Chávez, Caracas ed il Venezuela hanno giocato un ruolo importante nel quadro del continente sudamericano.”

La CELAC, così come tutte le iniziative che portano al dialogo gli Stati, è da accogliere con auspici positivi. Sulla carta le potenzialità di questa organizzazione sono notevoli (pensiamo ai benefici derivanti dall’aumento degli scambi commerciali). Tuttavia, affinché l’organizzazione possa avere successo andranno stabilite, tra le altre, le seguenti condizioni: una leadership chiara, degli obiettivi tanto di lungo quanto di breve periodo, un efficace meccanismo di governance che preveda un apparato sanzionatorio tale da garantirle sufficiente autonomia ed efficienza. Altrimenti, la CELAC risulterà un progetto con ampio potenziale ma inespresso. Dall’America Latina guardino ad un recente fallimento europeo: l’Unione per il Mediterraneo.

* Dottorando di ricerca in geopolitica economica presso l’Università Marconi e Coordinatore Editoriale del Centro Studi di Geopolitica e Relazioni Internazionali Equilibri.net

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