di Michele Marchi
Sembra questo il verdetto del secondo turno delle elezioni regionali francesi. Andando al di là della lettura della prima ora, tutta centrata sul presunto insuccesso del Front National non in grado di ottenere la guida di almeno una regione, si può osservare che, ciascuna delle forze di quello che oramai appare un sistema tripolare, può trarre indicazioni sia positive, sia negative dall’esito dello scrutinio.
Il vincitore di queste regionali, almeno in termini di regioni conquistate, è il centro-destra guidato da Nicolas Sarkozy. Dopo un primo turno piuttosto deludente (27% a livello nazionale) può legittimamente gioire dal momento che guiderà sette regioni (contro la sola Alsazia del 2010) e tra queste le tre più popolose del Paese (Ile-de-France, Nord-Pas-de-Calais e Auvergne-Rhône-Alpes). Le note positive si fermano qui. Il bicchiere mezzo vuoto parla del sostegno determinante dell’elettorato socialista nei tre secondi turni più delicati, laddove il FN aveva sfondato al primo (nord, nord-est e sud mediterraneo). Inoltre quale notizia peggiore, per una forza di destra moderata, quella di veder crescere alla propria destra un partito consacratosi primo partito di Francia dopo il primo turno delle regionali?
Il discorso cambia di poco se si osserva il quadro del PS e lo si allarga alla gauche nella sua interezza. Come correttamente ha dichiarato il segretario del PS Cambadélis, quello socialista è un “successo senza gioia”. Se di successo è forse eccessivo parlare, di sicuro i socialisti “sauvent leurs meubles” (come amano dire i francesi). Cinque regioni sono un bottino magro se confrontato con il “quasi cappotto” del 2010, ma una specie di sogno dopo il pessimo primo turno. Anche qui il bicchiere mezzo vuoto non può però essere trascurato e bisogna allora ricordare il misero 23% del primo turno (che sale ad un altrettanto deludente 37% se si considera tutta la gauche, cioè ecologisti, comunisti e Front de gauche) e un quadro che nel complesso vede il PS alla guida di un Paese che da oltre tre anni, in differenti momenti elettorali, attribuisce i 2/3 delle sue preferenze a partiti di destra e di estrema destra.
Il quadro si completa osservando l’esito del voto dal punto di vista del FN. Anche qui il bicchiere è mezzo vuoto se si considera che la storica conquista di almeno una regione, mai apparsa così vicina, non si è concretizzata. La vera lezione per il FN di questo secondo turno sembra essere la seguente: i francesi lo scelgono al primo turno (per protesta almeno quanto per adesione) ma poi al secondo, al momento della verità, quando dovrebbero garantirgli quella maggioranza indispensabile per governare, lo eliminano. Insomma la normalisation non lo ha ancora reso un “partito normale”,o perlomeno una quota consistente, e ancora decisiva di elettorato, non lo ritiene legittimato a governare. Ma guardare il bicchiere mezzo pieno significa non dimenticarsi che domenica 13 dicembre il FN di Marine Le Pen ha raccolto quasi sette milioni di voti, 700 mila in più del primo turno del 6 dicembre e 400 mila in più del record ottenuto dalla stessa Marine alle presidenziali del 2012 (fino ad oggi punto massimo in termini di voti raccolti). Questo significa aver triplicato il numero dei consiglieri regionali, procedere nella costruzione di una classe dirigente locale e nel lento ma pervasivo radicamento sul territorio, grande novità del FN mariniste.
Quali le ricadute di medio periodo in un quadro così ricco di sviluppi in apparenza contraddittori?
Per Les Républicains il dopo voto regionale segna una sorta di avvio delle lunghe primarie (previste per l’autunno 2016) per la candidatura all’Eliseo. La conquista di sette regioni, insperata dopo il primo turno, concede a Sarkozy un po’ di ossigeno, ma il fuoco di fila dei suoi competitors interni non tarderà ad arrivare. Tra i più temibili vi è Alain Juppé, critico nei confronti dell’ex presidente e della sua linea politica considerata troppo a destra. Di sicuro l’ex sindaco di Bordeaux ed ex ministro dell’economia e degli esteri non esiterà a ricordare che il successo in termini di voti del FN dovrebbe spingere la destra repubblicana ad occupare completamente uno spazio politico di centro e addirittura di sinistra moderata, altrimenti possibile riserva di caccia del presidente uscente Hollande. Nelle prossime settimane insomma dovrebbe esplicitarsi lo scontro tra chi ritiene di dover affrontare il FN aggiungendo al discorso dei LR “più destra” e chi è convinto di poter fornire un’alternativa di governo proponendo “più centro”.
Questa sfida è osservata con grande interesse dal “convitato di pietra” di questo voto, François Hollande. Dall’Eliseo il “comandante in capo” impegnato nella lotta al terrorismo e nella costruzione di una coalizione internazionale anti –Daesh, in realtà analizza tutto con l’obiettivo della rielezione nel 2017. Da un lato egli preferirebbe che emergesse dalla contesa interna al centro-destra la candidatura di Sarkozy. Dall’altro lato egli sembra il regista di ultima istanza del duello oramai aperto all’interno del PS tra il Primo ministro Valls e il segretario Cambadélis, con quest’ultimo desideroso di un’inflessione a sinistra della politica governativa e fautore dell’unione di tutta la gauche, sull’onda dei successi ottenuti da questa formula proprio al secondo turno delle regionali. L’imporsi della linea Sarkozy e il caos ideologico a sinistra, finirebbero per avvantaggiare la tattica attendista e minimalista di Hollande, convinto che il vero obiettivo sia un onorevole piazzamento come secondo al primo turno presidenziale del 2017, per poi riproporre al ballottaggio contro Marine Le Pen la logica del front républicain.
Proprio l’idea del barrage républicain e la filosofia del “frontismo repubblicano”, se perpetrati e non utilizzati occasionalmente, possono confermare la critica frontista di un sistema “chiuso” e dominato da una logica “spartitoria” del potere. Come affermato da Marine Le Pen alla chiusura delle urne il 13 dicembre, il quadro è oramai delineato e la competizione non è più tra destra e sinistra, ma tra “mondialisti e patrioti”. L’idea della diga frontista da opporre allo strapotere delle élites sembra trovare non poche corrispondenze nell’immagine di una Francia marginale e periferica che si rifugia nel voto FN alla quale si oppone una Francia dei quadri delle grandi scuole d’amministrazione, delle professioni liberali e delle metropoli globalizzate, che sceglie indifferentemente la coppia PS/LR. Da questo punto di vista se si osserva da vicino la sociologia elettorale del voto FN (operaio, giovane, poco colto) è quasi impossibile non cominciare a tratteggiare una sorta di “contro-società” frontista, che il vittimismo degli esclusi e la dinamica binaria ed ideologicamente confusa dello scontro “sostenitori versus avversari” del FN finisce per esacerbare.
In definitiva l’errore più grande che le forze di governo dell’oramai logoro bipartitismo transalpino possano commettere sembra quello dell’analisi consolatoria del secondo turno regionale, dopo aver accreditato il panico all’indomani del primo. Non servirebbe a nulla evidenziare che il sistema si è mostrato, grazie ad un mix di retorica politica (barrage e front républicain, spettro di una supposta guerra civile in caso di conquista frontista di una regione) e di ingegneria elettorale, in grado di mantenere ai margini il FN. Tutto ciò per quanto tempo? Una politica “contro” e di argine ha davvero un futuro? Quale la sua efficacia sul medio lungo periodo? L’idea della “terza forza” poteva avere un senso nella Francia della IV Repubblica, una sorta di “Repubblica dei partiti” all’origine della Guerra fredda, minacciata a sinistra dal PCF e a destra dal Rassemblement du Peuple Français insoddisfatto della piega parlamentarista del sistema. Non ha alcun senso se perpetrata nella Francia del XXI secolo, dominata dalle ansie del terrorismo e dalle incertezze di natura economica ed identitaria.
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